Manovra, nel 2020 spinta al Pil limitata allo 0,3%
Verso la Nadef. Effetto espansivo quasi solo dallo stop all’Iva, che pesa per il 66% della manovra. Obiettivo crescita a 0,5-0,6%, si tratta con la Ue per un deficit al 2,1-2,2%
di Marco Rogari e Gianni Trovati
Verso la Nadef. Effetto espansivo quasi solo dallo stop all’Iva, che pesa per il 66% della manovra. Obiettivo crescita a 0,5-0,6%, si tratta con la Ue per un deficit al 2,1-2,2%
3' di lettura
La ruota dei numeri sulla finanza pubblica italiana entra nell’ultimo giro prima della Nota di aggiornamento al Def (Nadef) attesa fra giovedì 26 e venerdì 27 settembre in consiglio dei ministri. A ballare ancora sono soprattutto i dati sul Pil 2020. Ma un dato è chiaro. La spinta alla crescita per il prossimo anno non potrà andare oltre lo 0,2-0,3% di Pil, e sarà in larga parte contabile: nel senso che la distanza fra la dinamica del Pil tendenziale, cioè a legislazione invariata, e quella programmatica da realizzare grazie alla manovra sarà prodotta quasi esclusivamente dallo stop agli aumenti Iva da 23,1 miliardi oggi inclusi nei calcoli del Def.
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In pratica, si dovrebbe puntare a un obiettivo non inferiore al +0,5-0,6%, partendo da un tendenziale quasi piatto, intorno allo 0,3%: dopo un 2019 destinato a chiudersi poco sopra lo zero.
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Congelare l’aumento Iva peserà per il 65% sulla manovra
Questa volta del resto il sentiero è strettissimo. La montagna dell’Iva da scalare quest’anno è doppia rispetto a quella di fine 2018 (12,5 miliardi), e supera di un terzo anche le “clausole” record gestite due manovre fa (poco meno di 17 miliardi). Un record del genere porta il dossier Iva ad assorbire oltre il 65% della manovra, contro il 40% scarso dell’anno scorso. E ha una doppia ricaduta: da un lato evitare aumenti più alti produce in tabella un effetto “espansivo” maggiore, dall’altro resta poco per le altre misure, a partire dal taglio al cuneo fiscale che dovrebbe pesare intorno ai 5 miliardi. Proprio per questa ragione già dalle scorse settimane il premier Conte e il ministro dell’Economia Gualtieri hanno voluto sottolineare l’«orizzonte triennale» del programma. Perché grandi svolte nel primo anno sono impossibili.
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Rapporto Debito/Pil a livelli record
A muovere la girandola delle tabelle che ingombrano i tavoli delle riunioni al Mef sono anche le due novità arrivate lunedì targate Istat e Bankitalia. A pesare è soprattutto la seconda, che ha alzato da 132,2% al 134,8% del Pil il livello del debito 2018 . L’aumento nasce dalla revisione dei calcoli chiesta da Eurostat, che include nel conto anche gli interessi maturati sui Buoni postali infruttiferi. Si tratta di 58,2 miliardi a fine 2018. Ma c’è un effetto collaterale positivo: nei prossimi quattro anni arriverà a scadenza una fetta importante di questi vecchi titoli, aiutando a far scendere la curva del debito/Pil.
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Perché per il resto la discesa reale del debito/Pil avrà bisogno di più tempo. Su quest’anno la Nadef sarà costretta a certificare un’ulteriore risalita rispetto ai calcoli di aprile a causa delle mancate privatizzazioni. Per l’anno prossimo era stato messo in calendario un taglio dell’1,3%, appeso però a una doppia variabile. Una risalita della crescita nominale fino al 2,8%, complicata da raggiungere in questi venti freddi della congiuntura, e una nuova tranche di privatizzazioni intorno ai 6 miliardi. Questo secondo fattore potrebbe ricomparire nel programma del Conte-2, come ipotizzato nelle scorse settimane dallo stesso presidente del Consiglio.
L’obiettivo flessibilità
L’assetto finale della tabella con gli indicatori di finanza pubblica dipenderà dall’esito delle discussioni in corso in queste ore al Mef e sull’asse Roma-Bruxelles. Sulla crescita, Bloomberg ha citato anche l’ipotesi di un tendenziale allo 0,2%, più basso dello 0,3-0,4% su cui si è lavorato fin qui. Il balletto dei decimali si riproduce anche sul deficit: in questo caso la base di partenza è intorno all’1,6% del Pil, cinque decimali sotto il 2,1% previsto ad aprile. E proprio intorno al 2,1% dovrebbe attestarsi il punto di arrivo grazie a un nuovo turno di “flessibilità” che sarebbe concessa da Bruxelles, anche se nel governo si punta ad arrivare anche a quota 2,2%.
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