Manovra, riprendere il filo delle riforme
Nell'ultimo anno, che tutto è stato tranne che bellissimo, su molti fronti si sono registrate pause (per esempio nella concorrenza, nel credito), se non addirittura passi indietro (in particolare su privatizzazioni, pensioni e sanità)
di Andrea Goldstein
3' di lettura
Come osservato da Fabrizio Pagani (29 agosto), l’accumularsi di segnali preoccupanti per l’economia globale, con ripercussioni negative per quella italiana, rende opportuno abbinare a politiche monetarie europee accomodanti una politica fiscale espansiva. Ed effettivamente questa strategia oggi appare fattibile politicamente, anche se la chance non arriverà all’Italia come manna dal cielo.
Sul problema più scottante del momento, c’è un consenso intorno al che fare, ma è relativo. All’Europarlamento, Christine Lagarde ha messo in guardia sulla futilità di lasciare tutto sulle spalle della politica monetaria («the European Central Bank is not the only game in town») e pertanto invocato un policy mix più equilibrato. Se ciò incita a un cauto ottimismo, non si può però dimenticare che l’Eurozona ha vissuto 10 anni di montagne russe.
Senza una riflessione approfondita su ciò che è stato fatto male, o che addirittura si è rivelato controproducente, non c’è nuovo tandem di leader a Bruxelles e Francoforte che possa magicamente risollevarne le sorti. Lo ha ripetuto Mario Draghi il 12 settembre: la trasparente e coerente applicazione del quadro di riferimento dell’Unione europea per la governance economica e fiscale, nel tempo e nei vari Paesi, resta essenziale per consolidare la capacità di tenuta della zona euro.
Compito non agevole quando le divisioni all’Eurotower sono sotto gli occhi di tutti. Se il Banco de España, per la prima volta nella storia, è venuto allo scoperto per appoggiare la revisione «di tutti gli strumenti a disposizione della Bce», dall’altro ci sono le dimissioni di Sabine Lautenschläger e la fronda di altri membri del Consiglio.
In Italia, la finanza pubblica, al netto ovviamente della neutralizzazione delle clausole di aumento dell’Iva, lascia spazio solo per aggiustamenti nella composizione della spesa, privilegiando quelle per l’istruzione, come ben spiegato sempre su queste colonne da Vincenzo Galasso e Andrea Gavosto. Forse per un po’ di deficit per una credibile e scaglionata riduzione delle aliquote per il ceto medio.
Sono anche le priorità del progetto di budget 2020 della Francia – aumento delle spese per scuola (+1,9%) e università/ricerca (+1,7%), e 9 miliardi di euro abbondanti di riduzione delle imposte per le famiglie. Per gli investimenti infrastrutturali, la priorità è migliorare la capacità di assorbimento dei fondi europei (cfr. Sole 24 Ore, 11 febbraio), ancor più che destinare risorse aggiuntive.
Ma in ogni caso i margini di manovra sono proporzionali alla credibilità degli impegni assunti dalle autorità – verso gli italiani, ben prima che i mercati, la Commissione o Berlino – per ridestare gli spiriti animali tricolori. Qualcosa va infatti lasciato alle generazioni future (a meno che continuino paralisi demografica e fuga dei cervelli, nel cui caso grazie alla decrescita tra un secolo metà del Paese sarà felicemente tornato allo stato di natura).
In una collettanea pubblicata a ridosso delle elezioni dello scorso anno e che contiene nel titolo la scadenza teorica della XVIII legislatura (Agenda 2023, il Mulino), si constatava come a fronte di innumerevoli e ben noti problemi, parecchi progressi fossero stati fatti sul piano delle riforme strutturali dopo la crisi. Si notava altresì come i due fondamentali problemi della produttività (fonte di crescita e di benessere, malgrado le teorie farlocche che continuano a circolare) bassa e degli investimenti che languono hanno radici comuni in regole spesso farraginose, ridondanti, costose e di difficile applicabilità, oltre che in capitale umano che, a tutti i livelli, è debole rispetto ad altri paesi simili al nostro.
L’Italia, culla delle corporazioni, corrisponde bene al ritratto del “Rentier capitalism” fatto da Martin Wolf sul Financial Times del 18 settembre; e non a caso è anche uno dei paesi in cui la diseguaglianza del reddito è più cresciuta dal 1981 al 2008.
Nell’ultimo anno, che tutto è stato tranne che bellissimo, su molti fronti si sono registrate pause (per esempio nella concorrenza, nel credito), se non addirittura passi indietro (in particolare su privatizzazioni, pensioni e sanità). Ma, come potrebbe testimoniare Arianna, non è mai troppo tardi per riprendere a tessere il filo, in piena coscienza che, come per Teseo, le fatiche sul percorso delle riforme sono numerose. Per uccidere il Minotauro, che nel Bel Paese assume spesso le sembianze del trasformismo, ci vogliono coraggio, coerenza e solide istituzioni – parola che in greco ha la stessa radice di Teseo.
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