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Manovra, Bankitalia: con nuova Irpef in media 600 euro in più per le famiglie. Il debito crea vulnerabilità

Istat: sgravio per 800mila mamme, 8,4% delle donne occupate

Articolo aggiornato il 13 novembre 2023, ore 20:00

La legge di Bilancio allontana i pensionamenti anticipati

7' di lettura

«Nelle nostre valutazioni le misure espansive» della manovra «ammonterebbero a 7 miliardi nel 2023, 34,7 nel 2024, 20,9 nel 2025 e 17,8 nel 2026; le coperture sarebbero pari a 3,9 miliardi nell’anno in corso, 19,0 nel 2024, 16,3 nel 2025 e 21,6 nel 2026». Lo ha detto il vice capo dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia Andrea Brandolini in audizione alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato sulla manovra.

«Concorrono alla definizione della manovra complessiva, oltre al disegno di legge di bilancio, anche gli interventi contenuti nel dl Anticipi e nei due schemi di decreto legislativo attuativi della delega sulla riforma fiscale deliberati in via preliminare dal cdm lo scorso 16 ottobre», ha aggiunto.

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Bankitalia: con nuova Irpef reddito famiglie +1,5% nel 2024

Brandolini ha detto che «le modifiche alle aliquote contributive e all’Irpef comporterebbero un incremento del reddito disponibile familiare rispetto alla legislazione vigente dell’1,5% in media nel 2024 (circa 600 euro annui). Quasi tre famiglie su quattro ne trarrebbero benefici; gli altri nuclei non subirebbero variazioni significative di reddito».

Obiettivo privatizzazioni difficile da realizzare

Sulle privatizzazioni il vice capo dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia ha detto che «è un obiettivo difficile da raggiungere. Non è specificato» nella manovra e nemmeno nella Nadef. «Tipicamente abbiamo fatto poche privatizzazioni in Italia rispetto a quello che intendevamo fare. Quindi questo è ambizioso e vedremo come potranno essere realizzate e quali saranno i beni soggetti a privatizzazione».

Su cuneo serve orientamento, rischio scostamenti

Secondo il vice capo dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia «lo sgravio contributivo, la voce che assorbe più risorse nell’attuale manovra, ha natura transitoria, come nello scorso biennio, con un impatto limitato al prossimo anno. Per evitare di dover ricorrere tra un anno a bruschi aumenti delle aliquote contributive o a nuovi scostamenti di bilancio, sembra opportuno definire nei prossimi mesi l’orientamento per il medio termine».

Debito crea vulnerabilità, riduce spazi se shock

Brandolini ha ricordato che «la decisione di attuare una manovra espansiva, associata a un piano di privatizzazioni, implica che il rapporto tra il debito pubblico e il Pil scenda solo marginalmente nel prossimo triennio. L’elevato livello del rapporto è un elemento di vulnerabilità per il Paese; riduce gli spazi di manovra per fronteggiare eventuali shock avversi e alza il costo del debito anche per i prenditori privati, con effetti negativi sulla competitività dell’intera economia italiana».

Tagli spesa realizzabili ma selezionare misure

Quanto alla revisione della spesa, «rispetto all’ammontare della spesa primaria (oltre 1.000 miliardi nel 2022), l’entità dei tagli disposta dalla manovra appare realizzabile - ha affermato Brandolini -. Se verranno effettuati utilizzando analisi approfondite, che selezionino le misure sulla base dell’efficacia e ne migliorino l’efficienza, non andranno a detrimento della qualità dell’intervento pubblico».

Corte Conti: manovra su sentiero stretto, esposta a intemperie

Tra gli auditi oggi, anche la Corte dei conti. La manovra per il prossimo triennio «si muove all’interno di un sentiero molto stretto in cui devono trovare un difficile equilibrio spinte ed esigenze diverse». Lo ha detto il presidente della Corte dei Conti Guido Carlino in audizione alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato. «Tale disegno viene perseguito utilizzando i margini disponibili in un quadro tendenziale che presenta spazi molto contenuti», ha osservato Carlino, che ha aggiunto: «L’equilibrio tra i diversi fabbisogni che viene descritto rimane quindi molto esposto alle intemperie di una congiuntura economica e sociale difficile».

Anci: preoccupati per tagli, Comuni rischiano non chiudere bilanci

«Se si tagliano le risorse ai Comuni nella situazione di inflazione in cui si trova il Paese, le strade sono due: o aumentare le tariffe o ridurre i servizi, con tutto quel che ne consegue a discapito della qualità della vita dei cittadini e delle comunità». Lo ha detto il sindaco di Novara e delegato Anci alla finanza locale, Alessandro Canelli, parlando del Ddl di bilancio davanti alle commissioni Bilancio di Senato e Camera. «Siamo molto preoccupati – ha spiegato Canelli – e disponibili a collaborare con il Governo per trovare soluzioni di minore impatto sulle risorse correnti locali, tenendo conto dei vincoli finanziari generali. I Comuni – ha continuato il delegato Anci – sono colpiti dal fenomeno inflattivo che ha portato maggiori costi su tutti i settori: dai servizi mensa, all’assistenza anziani, dal costo del lavoro, all’adeguamento dei contratti collettivi fino ai servizi di trasporto pubblico. Con il taglio paventato nel disegno di legge di bilancio 2024 – ha aggiunto – i 200 milioni annui di riduzione, ora previsti per cinque anni, si andranno ad aggiungere ai 100 milioni di taglio della spending review già stabilita da leggi precedenti per il triennio 2023-25». «Noi – ha quindi ricordato Canelli – abbiamo soluzioni tecniche che abbiamo già proposto al Mef e al ministro Giorgetti, confidando che nel corso dell’esame parlamentare della legge di bilancio l’impatto della manovra sulle risorse correnti dei Comuni possa essere mitigato, se non invertito. Senza una riflessione più attenta sulla finanza locale saranno molti i Comuni non in grado di chiudere i bilanci».

Istat, sgravio per 800mila mamme, 8,4% delle donne occupate

Le mamme interessate dalla decontribuzione prevista in manovra sono circa 800mila: 600mila con due figli (a cui spetta una decontribuzione sperimentale per il 2024) e 214mila con tre o più figli (per le quali lo sgravio è invece stabilito a livello strutturale). Insieme, si tratta del 27,8% delle madri lavoratrici dipendenti con almeno un figlio minore, il 10,0% delle donne lavoratrici dipendenti e l’8,4% delle donne occupate. Sono i numeri forniti dall’Istat nel corso dell’audizione sulla manovra presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato.

Le lavoratrici dipendenti madri di due figli (almeno uno di età inferiore ai 10 anni) con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico) rappresentano il 73,7% delle lavoratrici interessate dalla misura; nel 41% dei casi si tratta di lavoratrici con contratto part-time, nel 56,9% risiedono al Nord (il 20,4% nel Mezzogiorno) e nell’83,2% dei casi hanno un’età compresa tra i 35 e i 49 anni (le under 35 sono il 14,5%). Le lavoratrici madri di tre o più figli (almeno uno di età inferiore ai 18 anni) con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico) rappresentano il 26,3% delle lavoratrici interessate dalla misura; hanno un contratto part-time nel 42,1% dei casi e, rispetto al gruppo precedente, vivono più frequentemente al Nord (il 61,1%); esse sono mediamente più anziane, considerando che circa un quarto (24,5%) ha almeno 50 anni (contro il 2,4% del gruppo precedente).

In entrambi i gruppi, ha evidenziato l’Istat, la quota delle italiane supera il 90%, arrivando al 92,6% tra le lavoratrici dipendenti madri di due figli (almeno uno di età inferiore ai 10 anni) con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico). Ridotta (rispetto al totale delle donne occupate) è la quota di lavoratrici che svolgono una professione non qualificata (in particolare tra le lavoratrici dipendenti madri di due figli con almeno uno di età inferiore ai 10 anni e con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico), così come inferiore alla media è quella delle operaie e artigiane; superiore alla media è invece la quota di coloro che svolgono professioni qualificate e tecniche (in entrambi i gruppi sopra il 41%).

38% medici ha oltre 1.500 pazienti, preoccupa carenza

L’offerta di medici di medicina generale, dal 2011 al 2021 «palesa un trend in sensibile diminuzione con una riduzione media annua dell’1,2%», tanto che la percentuale di medici che assistono un numero di pazienti superiore al valore soglia (1.500) è andata aumentando in maniera significativa (dal 15,8% del 2004 al 38,2% nel 2020). Secondo l’Istat, per i medici di medicina generale «vi è la preoccupazione di una carenza nel prossimo futuro, quando un numero consistente di professionisti andrà in pensione senza che ci sia stato un adeguato ricambio generazionale, in conseguenza di una scarsa attrattività della professione, meno remunerata rispetto ai medici specialisti». Stesso ragionamento anche per gli infermieri.


Verso una sintesi del Governo

È l’ultima tornata di audizioni davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Dopo Confindustria e Bankitalia, lunedì 13 novembre sarà la volta della Corte dei conti e dell’Istat; martedì 14 novembre sarà la volta dell’Ufficio parlamentare di Bilancio e per chiudere del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Dopodiché toccherà al governo fare una sintesi delle richieste emerse e mettere mano ad uno stringato pacchetto di emendamenti. La raffica di scioperi e manifestazioni in arrivo spingerebbero a dei ritocchi in particolare alla stretta alle pensioni degli statali, norma tra le più contestate.

Il nodo pensioni

Il governo, come anticipato nei giorni scorsi sul Sole24Ore, starebbe valutando dei ritocchi alla norma che, che ricalcolando l’assegno, colpirebbe una platea complessiva di 732mila dipendenti pubblici, di cui 150mila medici e infermi. La pista più accreditata al momento per arginare le proteste, ma anche la più complicata per le coperture da trovare, è quella di colpire con i tagli soltanto i sanitari e gli altri dipendenti pubblici - tra i quali i più numerosi sono i lavoratori degli enti locali - che decideranno di andare in pensione in anticipo. Chi invece dovesse raggiungere la pensione di vecchiaia non dovrebbe subire nessuna riduzione dell’assegno pensionistico. La seconda via su cui spinge soprattutto la Lega (ma non solo) è quella di rinviare il taglio di almeno un paio di anni, anche perché i risparmi della misura all’inizio saranno ridotti: nel 2024 a esempio si stimano soltanto 11,5 milioni di minore spesa per le casse dello Stato, ma fino al 2043 la misura pesa per ben 2,3 miliardi.

Tra scioperi e richieste

E che il tema pensioni (ma non solo) scaldi i sindacati lo si è visto dalla raffica di scioperi territoriali in agenda. Cgil e Uil hanno annunciato astensioni di 8 ore tra venerdì 17 novembre e il primo dicembre, mentre la Cisl manifesterà il 25 novembre a Roma. Anche i sindacati dei medici hanno annunciato uno stop per il 5 dicembre contro la stretta all calcolo delle pensioni prevista dalla manovra. Rilievi alla manovra arrivano anche dal mondo dell’industria che pur ritenendo la ex Finanziaria “ragionevole”, ha detto nei giorni scorsi il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, spinge per misure in favore degli investimenti al momento dirottate nella revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (e comunque i 5 miliardi per il piano Industria 5.0 non sono risorse sufficienti).

I giudizi internazionali

Intanto vanno avanti gli “esami” per la manovra italiana. Incassata la conferma del rating sul debito pubblico da parte di S&P e dalla consorella Usa Fitch, il governo attende settimana prossima il giudizio di Moody’s, poi il 21 novembre ci sarà il verdetto sulla legge di Bilancio della Commissione Ue. E se sulla scena interna si registrano le fibrillazioni delle piazze, sul fronte europeo non regna certo la calma. Le trattative per la riforma del Patto di Stabilità sul compromesso presentato dalla presidenza spagnola di turno dell’Ue vanno avanti. Se si trovasse un consenso Madrid convocherebbe una riunione straordinaria dei ministri delle Finanze Ue a novembre per consentire il via libera dei leader al Consiglio di dicembre e scongiurare il ritorno delle vecchie regole di Maastricht dal primo gennaio. Ma la strada (anche qui) è ancora in salita.


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