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Marcegaglia: «Transizione energetica essenziale ma serve approccio non ideologico»

La presidente e ad di Marcegaglia Holding a tutto campo. «Bene il governo finora, ma serve qualche iniziativa più strutturale e più sostegno alle industrie energy intensive. Draghi è la persona giusta senza se e senza ma»

di Celestina Dominelli

Emma Marcegaglia e Alberto Faustini

6' di lettura

La transizione energetica è una strada imprescindibile per l’Italia e le sue aziende, ma è necessario un approccio «non ideologico», su una linea di neutralità tecnologica, che valuti costi e benefici ma anche l’impatto per le filiere industriali schiacciate dal peso degli effetti della crisi energetica amplificata dal conflitto russo-ucraino. Emma Marcegaglia, presidente e amministratrice delegata di Marcegaglia Holding, nonché ex presidente di Eni, del B20 e di Business Europe, va dritto al punto, dal palco del Festival dell’Economia di Trento, rispondendo alle domande di Alberto Faustini, direttore dell’Adige.

Rincari materie prime ai massimi, c’è preoccupazione

«Il 2021 è stato molto buono con il manifatturiero che ha fatto bene e gli investimenti sono saliti - esordisce esaminando l’andamento complessivo dell’economia -. Processi che hanno fatto aumentare gli ordini. Ora c’è preoccupazione: gli aumenti dei prezzi delle materie prime e dell’energia sono iniziati prima della guerra. Per esempio le materie prime siderurgiche sono andate ai massimi degli ultimi 20 anni e la crisi ucraina ha acuito e reso duraturi questi effetti».

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La transizione energetica è un tema enorme

L’imprenditrice usa parole chiare per analizzare la complicata congiuntura e l’impatto pesantissimo del conflitto. E la sua disamina si sofferma molto sulla transizione energetica che, precisa, «personalmente, ma lo dico anche a nome delle imprese, dobbiamo assolutamente fare. C’è un tema di responsabilità sociale delle imprese e gli imprenditori seri ce l’hanno ben presente», spiega l’imprenditrice perché, aggiunge, è «un tema enorme, che cambia completamente l’assetto di come produciamo».

Costi per 1100 miliardi per implementare le tecnologie green

Ma attenzione, appunto, a come sarà portata avanti dal momento che a questo percorso sono associati costi molto significativi, aggiunge la Marcegaglia citando alcune stime di Confindustria e di altre agenzie governative. «Per l'Italia l'implementazione delle tecnologie per la decarbonizzazione costa 1.100 miliardi di euro, quindi una enormità e non sempre questo è chiaro».

Su decarbonizzazione niente approcci ideologici

Insomma, per la numero uno di Marcegaglia Holding, la strada che porta alla neutralità carbonica non può essere abbandonata, ma va portata avanti con studi seri su costi e benefici, valutando l’impatto sulle filiere industriali, nonché i prezzi di energia, materie prime e terre rare, «su cui - aggiunge - rischiamo di aumentare la nostra dipendenza dalla Cina e lì fanno questo usando energia a carbone». La Commissione Europea, ragiona la Marcegaglia,«dice che l'Europa deve essere all'avanguardia e ha ragione, ma non mi piace l'approccio ideologico in cui non si calcola il costo e l'impatto sulle filiere industriali italiane. Le scelte sulle auto elettriche, per esempio, possono distruggere la filiera auto, che in Italia è un'eccellenza. Se andiamo avanti così rischiamo di non fare la decarbonizzazione, rischiamo di distruggere delle filiere». C’è un tema di sostenibilità aziendale, incalza, «che va coniugato con un tema di sostenibilità sociale. Abbiamo un’opportunità in Europa, perché abbiamo una leadership mondiale sulle tecnologie green che ci viene riconosciuta, ma dobbiamo agire in modo serio».

Bene il governo finora, ora più politiche strutturali

Il direttore dell’Adige le chiede poi di commentare l’azione condotta fin qui dal governo Draghi e la risposta è molto chiara. «L’esecutivo si sta muovendo nella direzione giusta, ma consiglierei qualche iniziativa più strutturale. Il Repower Eu suggerisce di scommettere maggiormente sul gas nazionale: credo sia una strada da battere. E servono operazioni, come quelle avviate dalla Francia, a supporto delle industrie energy intensive che sono in grande sofferenza». E per le quali, ricorda la Marcegaglia, Confindustria aveva proposto un prezzo calmierato per l’energia elettrica a fronte di investimenti delle aziende nelle rinnovabili, rimasta però nei cassetti. Gli imprenditori, prosegue, « stanno cercando alternative per tenere in piedi la propria azienda. Il mondo si sta fermando: non dobbiamo essere pessimisti ma realisti e capire come affrontare i problemi. Andare avanti è complicato, con l’inflazione lo è ancora di più. In Italia non ci sarà una recessione grave ma un forte rallentamento».

Pnrr: tema è che succederà dopo. Draghi è la persona giusta

Quindi un passaggio su Draghi che è, dice senza troppi giri di parole, «è la persona giusta, senza se e senza ma. Mi sarebbe piaciuto vedere alcune riforme del Pnrr più incisive, ma c'è una compagine di governo e siamo già in periodo elettorale. Draghi è stimato a livello internazionale e questo conta, perché le decisioni si prendono in Europa e in Usa, ha capacità di fare. La mia preoccupazione è cosa succederà dopo», perché «oggi siamo in linea con il Pnrr, ma il grosso del piano verrà nel 2023 e io sono un po' preoccupata». E quindi servono politiche più strutturali, ma «all’Italia serve anche un’enorme quantità di investimenti privati. Occorre mettersi tutti attorno allo stesso tavolo e decidere. Il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, lo sta già facendo, ma bisogna farlo anche di più. Il problema è il tempo che non si può perdere».

Avanti con la diversificazione. Eni è grande asset nazionale

Lo sguardo dell’imprenditrice si sposta poi su un tema, quello del gas, che conosce molto bene, essendo stata alla presidenza di Eni dal 2014 al 2020. «L’Italia ha due temi. Innanzitutto ha una forte dipendenza dal gas nella produzione energetica. Secondo: abbiamo un settore manifatturiero più esteso di altri Paesi e questa industria consuma gas. Terzo: su 70/75 miliardi di metri cubi di gas di consumo italiano, 29 miliardi di metri cubi arrivano dalla Russia. Credo che il governo stia facendo bene ad andare a diversificare le fonti di gas perché ritengo che il gas continuerà a essere centrale nella transizione ecologica. Va bene, dunque, diversificare ma farlo non è semplice. E l’esecutivo ha portato avanti un lavoro importante diversificando in Algeria, in Congo, e ancora in Egitto grazie all’Eni che è un grande asset nazionale e che è il primo produttore di gas e petrolio in Africa».

Più gas nazionale. Sì a fusione nucleare e cattura della CO2

La Marcegaglia insiste sulla necessità di spingere sul pedale della produzione nazionale. «Nel 2000 l’Italia produceva 20 miliardi di metri cubi di gas, oggi siamo a 3,5 miliardi di metri. L’Eni in 18 mesi può farne 2,2 miliardi. Perché non produciamo più gas nazionale? Certo - aggiunge - dobbiamo spingere di più anche sulle rinnovabili, ma io credo che la strada maestra sia quella di usare tutti i metodi, investendo anche sulla fusione nucleare o sulla cattura della CO2 (Ccus), su cui la nostra azienda sta scommettendo molto attraverso la partecipazione a un progetto pilota a Ravenna con Eni, Snam e alcuni cementieri».

L’impegno green del gruppo da Ravenna alla Svezia

Ma Ravenna non è l’unico tassello dell’impegno del gruppo sul fronte della decarbonizzazione. «Noi ci crediamo moltissimo - spiega - e siamo l’unico imprenditore di questo settore che ha già investito in un progetto della startup siderurgica H2 Green Steel che punta a produrre dal 2024 l’unico acciaio al mondo a emissioni zero. Investiremo nel più grande elettrolizzatore al mondo e saremo non solo investitori nel capitale ma compreremo una parte importante di questo acciaio green per commercializzarlo nel Sud Europa».

La globalizzazione va monitorata, attenzione ai regionalismi

Poi un passaggio sulla globalizzazione che, è la sua riflessione, «va monitorata meglio, ma non torniamo alla guerra fredda che non serve all’Italia e all’Europa. A me fanno paura certe dichiarazioni come quelle del segretario americano al Tesoro Janet Yellen che dice “faremo business solo con i paesi amici”. Sono parole che mi preoccupano. Noi dobbiamo senz’altro rivedere le regole della globalizzazione, dobbiamo evitare che crei più diseguaglianze, ma attenzione a dire che non commercializziamo a livello ampio perché questo alla lunga porterebbe solo depauperamento e, come sempre accade in questi casi, a perderci sarebbe soprattutto chi sta peggio, vale a dire i Paesi più poveri».

In Russia andiamo avanti finché si potrà

Il direttore dell’Adige chiede lumi sulla situazione del “braccio” russo del suo gruppo che vale l’1% del fatturato. «Noi, a differenza di tanti altri altri che hanno chiuso, abbiamo deciso di tenere l’azienda aperta. È evidente che ci sono più difficoltà perché l’economia russa sta rallentando e Mosca avrà un problema grosso a medio termine perché è un paese che vive prevalentemente di gas, petrolio e minerali e non ha alcuna capacità tecnologica. Fino a quando sarà possibile, la terremo aperta ma vedo un rallentamento dell’economia russa».

Giovani: aziende li attraggano di più e li paghino meglio

Poi la Marcegaglia torna su un tema a lei molto caro, quello dei giovani e della loro formazione. «Nei nove anni di presidenza della Luiss vedo ragazzi che credono molto, più della mia generazione, ai valori, alla transizione energetica, alla qualità della vita e al sociale. Il mio spaccato è quello di ragazzi seri che hanno visione diversa. Ma c’è nel nostro paese un nodo molto serio perché abbiamo il 20% di giovani che né studiano e né lavorano e abbiamo una bassissima percentuale di laureati rispetto ad altri Stati. C’è quindi un tema di ragazzi che vanno portati nel mercato del lavoro. Bisogna che le aziende li attraggano di più, li paghino di più, ma occorre anche fare formazione in modo serio e far sì che domanda e offerta si incontrino meglio».

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