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Maremmachevini: dai Supertuscan al Ciliegiolo, in mostra la Doc con 10 denominazioni

di Giambattista Marchetto

5' di lettura

Una rassegna di 130 etichette prodotte da vitigni internazionali e autoctoni, in ogni caso pura espressione del territorio d'origine: la Maremma. E contestualmente uno spaccato sui prodotti più tipici, come i formaggi e i salumi e, naturalmente, l'olio extravergine d'oliva.

È solo alla seconda edizione, eppure Maremmachevini - rassegna enoica organizzata a Castiglione della Pescaia, nel Grossetano, dal Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana - è già un must per gli appassionati, winelover e operatori. Domenica 11 e lunedì 12 giugno, all'Hotel Roccamare, 41 produttori della DOC saranno presenti all'appello: Agricola del Nudo, Berretta, Colle Petruccio, La Pierotta, Pian del Crognolo, Bruni, Poggiolella, Basile, Belguardo, Cacciagrande, Vini di Maremma, De Vinosalvo, Acquaviva, Fattoria di Magliano, Il Casalone, Le Mortelle, Mantellassi, Frantoio La Pieve, La Biagiola, La Chimera d'Albegna, La Cura, La Selva, Mambrini, Monterò, Montauto, Morisfarms, Muralia, Podere San Cristoforo, Poggio Cagnano, L'Apparita, Prato al Pozzo, Rocca di Frassinello, Roccapesta, Sassotondo, Simona Ceccherini, Le Sode di Sant'Angelo, Tenuta Casteani, Tenuta La Badiola, Tenuta Rocca di Montemassi, Val delle Rose, Val di Toro.

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“Torniamo dopo il successo della prima edizione - afferma il presidente del Consorzio Edoardo Donato - con l'evento che coinvolge ristoratori, enotecari, sommelier e stampa internazionale, ma anche semplici appassionati incuriositi dalle molteplici sfumature e dal grande patrimonio enogastronomico che il nostro territorio è in grado di offrire”. L'iniziativa è aperta al pubblico e ad ingresso libero - www.consorziovinimaremma.it.

DOC frammentata in 10 denominazioni

Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana nasce nel 2014 dopo una lunga gestazione che ha portato al conferimento della DOC, grazie anche all'investimento sull'area di brand quali Antinori o Frescobaldi o Zonin. Ad oggi conta 261 aziende associate, di cui 186 viticoltori (per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), un imbottigliatore e 74 aziende “verticali” - che vinificano le proprie uve e imbottigliano i propri vini - per un totale di 5,5 milioni di bottiglie prodotte all'anno.

La DOC copre un territorio molto ampio, il terzo areale in Toscana dopo Chianti e Brunello, ma frammentato in 10 denominazioni con estensioni di colture da 2 a 1500 ettari. “È l'unica area toscana nella quale il Sangiovese non risulta determinante - rimarca il presidente Donato - abbiamo una ricchezza enologica unica, dai vitigni internazionali (Merlot, Cabernet Sauvignon) al Ciliegiolo autoctono, senza contare che sul Vermentino il nostro territorio quasi insidia la Sardegna”. Con un terroir così diversificato - dalle colline metallifere al clima costiero - la produzione non ha una omogeneità complessiva e proprio sulla molteplicità delle specificità sta puntando il Consorzio per creare un'identità di territorio, di cultura, di esperienze. In questo senso Maremmachevini traccia la strada per una DOC che investe sul rapporto stretto tra vini e gastronomia tradizionale (dalla norcineria ai formaggi) e ambiente (dai parchi alla cost), per attrarre ed esportare un brand che rappresenti più una visione del mondo che una serie di prodotti.

Dai Supertuscan al recupero del Ciliegiolo

La varietà dell'offerta di vini in Maremma è ampia e spazia dalla nicchia alla grande produzione, dai cosiddetti SuperTuscans fino alla riscoperta dei vitigni autoctoni. La qualità è comunque una costante. Da un lato ci sono aziende come Monteverro, nate con un investimento mirato e studiato, in questo caso di Georg Weber, collezionista di bottiglie pregiate, che ha deciso di diversificare gli investimenti di famiglia rispetto al florovivaismo in Germania. Nel creare questa tenuta-gioiello da 50 ettari (di cui attualmente 30 vitati), gli intenti erano dichiarati: creare vini d'eccellenza. La famiglia Weber oggi guida la Cantina con un team di livello internazionale: l'enologo Matthieu Taunay, Michel Rolland e Jean Hoefliger come consulenti, il direttore generale Michael Voegele. E uno staff tutto locale, che conosce il terreno, in tenuta e in cantina.

Georg Weber si è formato enologicamente sui grandi vini di Bordeaux, ma il suo obiettivo è creare vini unici, che traggano ispirazione dai grandi Cru “rivisitati” nella luce e nel suolo della Toscana del sud. Il 2008 ha visto la prima vendemmia e le successive raccolte si propongono di conquistare chi investe sull'invecchiamento. Oggi l'azienda ha sei etichette (tutte biologiche in fase di certificazione): Monteverro e Terra di Monteverro, (Cabernet Sauvignon e Franc, Merlot e Petit Verdot), Tinata (Syrah e Grenache), Chardonnay, Verruzzo (Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Franc, Merlot) e Vermentino. I mercati di riferimento sono Europa e Nord America, ma l'Asia sta crescendo (soprattutto Cina e Pakistan) e le bottiglie Monteverro sono state le prime in Italia con il QRcode che ne permette la tracciabilità. Tutti investimenti che - parola di Georg - “si fanno per i figli, perché l'azienda potrà essere grande e acquisire valore solo sul lungo termine”.

È stata probabilmente dettata dall'istinto la scelta di Antonio Camillo che, dopo una vita passata nelle vigne altrui, ha scelto un vigneto di ciliegiolo sopra Capalbio, in località Vallerana, per varare la propria casa vinicola. Ed è proprio sul ciliegiolo - un tempo usato solo come taglio per il Morellino - che Camillo sceglie di investire energie e passione. Lavorando solo con vigneti vecchi, è premiato dai risultati: il suo Vallerana alta (ciliegiolo in purezza) ha ottenuto i Tre bicchieri. È forse ancora più affascinante la scelta del giovane Alessandro Gobbetti, che qualche anno fa ha scelto di abbandonare Londra e una carriera nell'industria cinematografica per dedicarsi alla piccolissima tenuta di Poggio Cagnano, a Manciano. Sulle colline impervie a ridosso del borgo, proteggendo le vigne nei 3 ettari vitati da cinghiali e caprioli, i Gobbetti producono oggi 8mila bottiglie l'anno e puntano a rimanere una boutique, anche se con l'estensione della superficie vitata si attende un raddoppio anche della produzione (con evoluzione prima al biologico e poi al bodinamico). A Poggio Cagnano si ragiona in chiave di microvinificazione, con piccoli lotti che vengono curati con un'attenzione sartoriale con il supporto dell'enologo Francesco Petacco e del cantiniere Achille Marodin, giocando su un primo e poi un secondo passaggio in tonneau francesi necessari ad arrotondare i tannini derivati dalla forte mineralità dei terreni. La nostra produzione limitata permette di attuare processi di vinificazione separati anche per la medesima varietà di uva, controllando ogni passaggio manualmente.

Il 2016 ha segnato la prima annata per il Vermentino (300 bottiglie), mentre il lavoro sul Ciliegiolo e la lunga macerazione del Sangiovese danno una spiccata personalità ai rossi di Manciano. Il cru Altaripa (1500 bottiglie di Sangiovese in purezza) esprime l'aroma del territorio nel suo colore rubino, nei profumi intensi e nella rotondità che si esprime all'assaggio; anche l'Arenario gioca sulla purezza, in questo caso del Cabernet Sauvignon, con una complessità che potrebbe spingere le 1500 bottiglie ad esprimere un buon potenziale con l'invecchiamento; infine il Selvoso (2500 bottiglie) gioca sul blend di uve Cigliegiolo, Sangiovese e Merlot vinificate in piccole porzioni e accostate per creare un gioco vivace. “Il Ciliegiolo sarebbe fantastico in purezza - chiosa Alessandro Gobbetti - ma per il momento abbiamo una produzione così contenuta che rimane nel blend”.

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