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Marie-Claire Daveu: «La sostenibilità di Kering nasce in gran parte in Italia»

Dai materiali alternativi al second hand, la responsabile del dipartimento Sostenibilità del gruppo francese spiega quali saranno i suoi prossimi, ambiziosi obiettivi. E rivela: «L’84% della nostra produzione nasce in Italia»

di Chiara Beghelli

Gucci collabora con la cooperativa calabrese “Nido di seta” per il rilancio della storica filiera della seta nella regione

3' di lettura

Nomen omen, nel nome è custodito il destino di chi lo possiede. Una frase antica, che nel 2013 contribuì a ispirare l’evoluzione del gruppo Ppr, quando decise di cambiare strategia, puntando sul segmento del lusso, e insieme il suo nome: “Kering” evocava il verbo caring, in inglese “prendersi cura”, e la civetta nel nuovo logo evocava l’animale simbolo della lungimiranza, simbolo dell’antica dea Atena. Un anno prima Marie-Claire Daveu era stata nominata responsabile dello sviluppo sostenibile del gruppo, un dipartimento nato già nel 2003, quando sostenibilità era un termine quasi relegato alla comunità scientifica.

Nel “prendersi cura” del secondo gruppo mondiale del lusso, 20,4 miliardi di euro di ricavi nel 2022, c’è stato anche il lancio, cinque anni fa, di “Crafting Tomorrow’s Luxury”, una road map di obiettivi e strategie per abbattere l’impatto ambientale del gruppo entro il 2025: «Contestualmente al lancio della nostra strategia abbiamo deciso che ogni due anni avremmo pubblicato un aggiornamento sugli obiettivi raggiunti, ma anche sugli aspetti più complicati e le sfide più urgenti - dice Daveu -. È una questione di credibilità: devi saper portare dei dati misurabili e su base regolare».

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Marie-Claire Daveu è dal 2012 direttrice dello Sviluppo Sostenibile e delle Relazioni Istituzionali Internazionali del gruppo Kering

Dopo il primo aggiornamento del periodo 2017-2020, mercoledì è stato diffuso quello relativo al 2020-2023, che evidenzia il raggiungimento di importanti risultati: «Per esempio, il gruppo usa energie da fonti rinnovabili al 100% - prosegue la manager -. L’obiettivo del 100% di tracciabilità dei nostri materiali è vicino, siamo al 95%. Ma soprattutto, abbiamo già raggiunto nel 2021 il taglio del 40% delle nostre emissioni, fissato al 2025. E ora, visto che gli effetti del cambiamento climatico si stanno espandendo a gran velocità, abbiamo elevato ancora le nostre ambizioni: vogliamo abbattere il nostro impatto di un altro 40% entro il 2035».

Le direttrici di questa strategia sono multiformi: «Per esempio, punteremo sull’agricoltura rigenerativa, useremo l’intelligenza artificiale per definire la produzione e monitorare in modo più efficace l’inventario e il sell through dei marchi- aggiunge Daveu -. Daremo priorità al valore dei nostri prodotti sul loro volume, investendo sulla loro qualità e durabilità. Miglioreremo ancora il livello di tracciabilità delle materie prime, investiremo nella ricerca di materiali alternativi e in circolarità (come dimostra il lancio del Gucci Circular Hub in febbraio, nda), sviluppando nuovi servizi e canali: per esempio, lavorando sugli archivi dei marchi (come accaduto già con Gucci Vault e con Bottega Series, nda), sulla riparabilità, sviluppando il second hand, motivo per cui nel 2021 abbiamo deciso di investire in Vestiaire Collective (rilevando una quota del 5%, nda)».

Visto che la sfida più urgente è la mancanza di tempo, continua Daveu, bisogna puntare sulla collaborazione, «mobilizzare le energie anche oltre il perimetro di Kering, perché se vogliamo cambiare paradigma non possiamo farlo da soli». In questo senso va il lancio nel 2019 del Fashion Pact, un’iniziativa per proteggere il pianeta che comprende oggi oltre 250 aziende della moda e del tessile, ma anche piani più recenti, come il “Climate Fund for Nature” da 300 milioni, creato insieme a L’Occitane, e il “Regenerative Fund for Nature”, per portare pratiche di agricoltura rigenerativa in 1 milione di ettari distribuiti in tutto il mondo: «Abbiamo coinvolto già 840mila ettari in sei Paesi, con benefici per oltre 60mila persone», nota la manager. E in questo percorso, l’Italia è e sarà sempre più cruciale: «Il 92% dei nostri fornitori è basato in Europa, l’84% in Italia. Dunque sì, possiamo dire che la nostra sostenibilità nasce in gran parte nel vostro Paese».

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