Intervista

Marino Vago: «Le regole in arrivo sono un’occasione per studiare nuovi modi di produrre»

Il presidente di Smi commenta le disposizioni per lo smaltimento dei rifiuti tessili: «Bisogna lavorare su componenti più semplici e che diano la garanzia di essere sostenibili»

di Giulia Crivelli

3' di lettura

A novembre Marino Vago passerà il testimone al collega imprenditore («e amico», sottolinea) Sergio Tamburini, amministratore delegato del gruppo Ratti. Nei mesi che lo separano dall’assemblea pubblica di Sistema moda Italia (Smi) l’attuale presidente dell’associazione continuerà a impegnarsi perché il tessile benefici delle risorse del Pnrr e possa restare volano economico e di immagine del Paese. Accanto ai fondi di emergenza per le Pmi (si veda anche Il Sole 24 Ore del 15 luglio), sono in arrivo quelli europei e l’autentica svolta in senso sostenibile è una delle chiavi per rispettare i parametri di Bruxelles e, ancora più importante, per proiettare il tessile nel futuro. Degli obiettivi da raggiungere fanno parte a pieno titolo quelli sulla circolarità e la gestione dei rifiuti tessili.

Smi rappresenta circa 45mila imprese, che danno lavoro a 400mila persone. Molte aziende sono pmi e tante sono micro-imprese. Nel complesso, questa parte della filiera del tessile-moda-accessorio (Tma) è pronta per la scadenza del 1° gennaio 22?
La maggior parte degli associati e la filiera nel complesso è conscia dei cambiamenti necessari e si sta attrezzando. Non sarebbe corretto dire che siamo già tutti pronti, ma è lecito dire che stiamo facendo le riflessioni che servono e programmando, se occorre, gli investimenti opportuni. L’incertezza delle norme però non aiuta e ovviamente tutto è molto più difficile dopo un anno come il 2020, dal quale ci vorrà ancora tempo per riprendersi.

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Come valuta l’introduzione dell’obbligo di smaltimento dei rifiuti tessili?
Lo spirito della norma è giusto e ben venga ogni stimolo delle autorità e di chi ci governa, a livello nazionale o europeo, a investire in un percorso di sostenibilità ambientale. È importante però ricordare che su questi temi il tessile-abbigliamento è impegnato da anni e in passato ha anticipato regole e leggi in nome del rispetto per l’ambiente, il territorio, le persone. In questo nuovo obbligo però vedo anche qualche pericolo, perché non sono mai le leggi a spaventarmi, bensì la loro applicazione.

Cosa, esattamente, la preoccupa?
Smaltire i rifiuti tessili, come principio di sostenibilità, va benissimo. Sappiamo tutti che le nostre economie devono trasformarsi da lineari a circolari. Ma non vorrei che nel nome della sostenibilità si finisse per fare qualcosa di non sostenibile. Mi spiego: non tutti i tessili da smaltire sono prodotti all’interno dell’Unione europea o con componenti chimici che rispettano gli standard del regolamento Reach e in genere le regole messe a punto a Bruxelles. Se però i rifiuti tessili che verranno smaltiti non possono dare queste garanzie, come accade per molti prodotti che arrivano dall’Asia o da altre aree del mondo, l’impatto sull’ambiente del processo di smaltimento potrebbe essere negativo.

Per le aziende che vantaggi ci saranno dalle nuove norme?
Credo si tratti di una grande opportunità, di un’occasione per trovare nuovi modi di produrre e di progettare ogni elemento che contribuisce al prodotto finito. A patto, come dico sempre, che ci si muova in una logica di filiera e che le aziende a valle siano consapevoli del cambiamento necessario. I capi finiti e gli accessori sono diventati sempre più sofisticati, un puzzle di componenti e di materie prime. Occorre abbandonare questa logica della complessità, questa esagerazione scambiata per necessità di stupire il mercato.

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