Marketing, così nell’era del soft power le marche affinano l’arte della persuasione
Secondo Brand Finance Ferrari, Lamborghini e UnipolSai sono le aziende che declinano meglio la capacità di attrarre e coinvolgere pubblici mentre l’Italia si posiziona al nono posto nel mondo
di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano
I punti chiave
5' di lettura
Al bando il marketing molesto di un tempo. Oggi in Australia una canguretta saltellante e colorata, accompagnata da una voce femminile icona cinematografica, sintetizza al meglio il nuovo potere della persuasione. Così Rose Byrne, ambasciatrice dell’ente turistico australiano, interpreta il personaggio d’animazione Ruby. Il cartoon è presentato come nuova mascotte del continente. Obiettivo: spingere i turisti a visitare le bellezze di questa terra piagata negli ultimi anni da una serie di incendi che hanno distrutto migliaia di ettari di verde. Una contro-narrazione empatica e coinvolgente rispetto a quella drammatica dell’emergenza ambientale. Bisogna dimenticare il passato: soltanto due anni fa aveva fatto il giro del mondo il rendering dedicato alla mappa degli incendi in Australia elaborato dal grafico Anthony Hearsey, designer tedesco di fama mondiale, firma del New Yorker e autore di una mappa con il continente stretto da una morsa di fuoco. La sua immagine ha immortalato gli incendi ed è stata realizzata partendo dai dati rilasciati dalla Nasa, uniti a quelli della piattaforma governativa MyFireWatch.
La viralità di quello scatto bidimensionale per molti analisti ha tenuto alla larga milioni di turisti. In questo contesto si inserisce come risposta questa campagna intitolata “Come and Say G’day”. Così oggi il continente geograficamente per noi più lontano sceglie uno dei simboli che lo rendono più noto al mondo. Ruby il canguro augura a tutti una buona giornata in questa campagna definita epica dalla bibbia americana del marketing AdWeek. «L’Australia vuole che il mondo sappia che è un posto dove vedere incredibili panorami e fare amicizia attraverso il lancio di una campagna globale guidata da un canguro animato, accompagnato nel suo viaggio da un unicorno», ha scritto Stephen Lepitak. Eppure non tutti ne sono rimasti affascinati. «È questo il meglio che abbiamo per promuovere il turismo in Australia? Canguri? Ma veramente le persone visitano Londra per il Big Ben e New York per l’Empire State Building? Come australiana, mi sento frustrata nel notare che si proponga sempre lo stesso stanco messaggio», ha commentato Elisa Choi, economista australiana e uno dei profili più seguiti sui social.
L’arte di persuadere
Tutto il mondo è paese, si potrebbe dire. Ma ogni paese prova a giocare le proprie carte per coinvolgere pubblici connessi e talvolta distratti. Così oggi è il soft power – quell’abilità di persuadere, convincere, attrarre e persino cooptare – a diventare una leva di marketing per posizionarsi su mercati globali. Il soft power, da sempre l’altra faccia del potere contrapposto all’hard power, valuta l’influenza sottile, penetrante, suggestiva. La definizione è legata al lavoro pionieristico del politologo statunitense Joseph Nye dell’Università di Harvard. Ma se da sempre è stata applicata alla capacità di influenzare i comportamenti degli attori nell’arena internazionale – siano essi Stati, corporazioni, comunità, pubblico – attraverso l’attrazione o la persuasione piuttosto che la coercizione, oggi può essere traslata ai brand.
È quanto emerge anche dal Global Soft Power Index 2023 di Brand Finance, che ha mappato i dati di 101 Paesi nel mondo, effettuando interviste ad un campione di quasi 112mila consumatori. Al centro della valutazione di Brand Finance ci sono la forza relativa e il valore finanziario dei “marchi nazione”, messi a confronto con quell’impatto determinato dal soft power. Dalla classifica emerge come il brand Italia sia molto forte, collocato al nono posto tra i Paesi più influenti nel mondo. Ma perdiamo appeal tra gli investitori esteri che sono attenti anche al sistema di governance in cui abbiamo margini di miglioramento. A livello di singole aziende Ferrari, Lamborgini e UnipolSai sono quelle che valorizzano al meglio gli elementi di persuasione e reputazione, ovvero quel soft power che determina l’attrazione verso i pubblici. «Oggi il valore monetario del brand Italia è pari ad oltre 2.300 miliardi, allineato alla posizione nella classifica per PIL. Ma si esprime debolezza della governance e quindi risultiamo meno attraenti di altri Paesi. Dalle nostre analisi le marche italiane sono forti grazie alla buona attività di branding e al patrimonio storico culturale esistente», afferma Massimo Pizzo, managing director Italia di Brand Finance. I brand nel mondo che meglio incarnano questo soft power sono quelli del lusso, dell’alimentare, del turismo. «Ma il soft power – e in particolare la forza del brand nazione – può favorire o penalizzare quelle marche commerciali e viceversa. I punti di forza percepiti dell’Italia dai consumatori internazionali – ad esempio la bellezza, l’arte e la cultura – sicuramente favoriscono quelle aziende del lusso e tutti coloro che hanno un collegamento con i punti di forza italiani», precisa Pizzo.
La classifica italiana
Quest’anno i primi 100 brand nostrani hanno aggiunto un valore cumulativo in valore del marchio di 19 miliardi di euro, +12% rispetto allo scorso anno. I brand del lusso sono quelli con la maggiore crescita. Tra questi spiccano Lamborghini, Prada e Gucci. La percezione ancora oggi è condizionata da qualità e prezzo, un po’ dai fattori emozionali, eccetto che per alcuni ambiti specifici come il lusso. «Per attrarre i consumatori, le marche dovrebbero puntare maggiormente sugli elementi emozionali per aggiungere valore alla qualità. L’attuale forte attenzione alla sostenibilità non guidata da un purpose significativo sembra poco efficace. Ecco perché le aziende dovrebbero provare a guidare il cambiamento, non necessariamente subirlo», conclude Pizzo.
Ancora una volta torna in campo il potere della persuasione. Anche se per alcuni esperti qualcosa sta cambiando: pochi giorni fa Janah Ganesh sul Financial Times ha raccontato come proprio il soft power sia passato di moda a seguito del mutamento degli equilibri geopolitici internazionali. Le bussole che dovrebbero orientarci appaiono impazzite in questo mondo instabile, anche se l’arma vincente resta il coinvolgimento, il convincimento, l’attrazione. Lo sostiene da tempo anche Seth Godin, che si scaglia contro le aziende moleste nei confronti di cittadini e consumatori. «Sono arrivate al capolinea perché avranno sempre più successo quelle realtà che non infastidiscono. Oggi non c’è più spazio per gli squali».
19 mld - La crescita
Le prime 100 marche italiane hanno incrementato il loro valore di 19 miliardi di euro anno su anno. Solo la crescita dei primi 50 brand si attesta a 15 miliardi. I brand del lusso sono quelli che registrano la performance migliore. Tra questi spicca il +149% di Lamborghini (4,1 miliardi di euro). C’è poi l’incremento del +50% del valore di Prada, che quest’anno raggiunge i 4,6 miliardi di euro.
La classifica del valore
Gucci si conferma al primo posto tra i brand italiani con un valore pari a 17,2 miliardi di euro e una crescita anno su anno del 10%. Nella terna delle migliori realtà con le performance economiche di valore ci sono anche Enel ed Eni. A seguire Intesa Sanpaolo, Generali Group, Poste Italiane, Ferrari, Tim, Conad, Prada.
L’indice del soft power
Brand Finance ha stilato anche la classifica dei brand che meglio sintetizzano quel soft power in grado di attrarre e influenzare i pubblici, indipendentemente dal loro valore economico. Al vertice c’è Ferrari: il cavallino rampante si conferma come il brand italiano più significativo, con un rating di AAA+, unico in classifica ad ottenerlo. Inoltre si posiziona a livello globale come l’ottavo insieme a Instagram, YouTube e Google. Nella terna della classifica italiana sul soft power ci sono anche Lamborghini e UnipolSai. A seguire Gucci, Martini, Moretti, Iliad Italia, Poste Italiane, Maserati, Barilla. Il brand Italia nel suo complesso è al nono posto nel mondo.
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