Martin Parr, 50 anni di carriera del fotografo che fa le capriole con la realtà
Poco prima di compiere 71 anni, il 10 maggio, riceverà il Photo London Master of Photography 2023. E alla Somerset House, per l’appuntamento più atteso di primavera, una selezione dei suoi lavori.
di Cristina Dalloro
6' di lettura
Anche Martin Parr ha un cassetto in cui tiene i suoi segreti: ad esempio, che cosa ha visto a uno degli ultimi garden party della regina Elisabetta. Ovviamente aveva con sé la Nikon di ordinanza, ma l'accordo è che resti tutto molto confidenziale. «Per ora, almeno». C'è un accenno di malizia bonaria mentre si collega dalla sua fondazione, a Bristol. Sono giorni intensi, perché si sta preparando agli eventi di maggio: poco prima di compiere 71 anni riceverà a Londra il Photo London Master of Photography 2023, attribuito a un artista vivente per il suo contributo alla fotografia.
Alla Somerset House, che ospita l'appuntamento di primavera più atteso dagli appassionati del genere, ci sarà anche spazio per una selezione dei suoi 50 anni di carriera: il reportage di una vita, verrebbe da riassumere, un concentrato di Britishness attraverso la lente del suo osservatore più acuto. E anche il più beffardo: «È un tema che salta sempre fuori. Ma il senso dell'umorismo è puro istinto: nessuno te lo può insegnare. Lo eserciti quando capisci che la gente è una fonte inesauribile di piccole follie, materiale che dà solo grandi gioie».
Pizzicando tra i suoi grandi classici vengono fuori la serie dei sandali abbinati ai calzini e quella degli affollamenti ai buffet, gli approfondimenti sulla vita da spiaggia all'inglese (The Last Resort, 1983-86, dalla serie dedicata a New Brighton, è stata battuta da Sotheby's nel 2021 per 21.420 sterline) e pure il rossetto che macchia i denti impegnati in un sorriso, prova dell'imperfezione quotidiana della vita reale (Zurich, dalla serie Common Sense, 1997, da 3.500 a 4.500 euro). Ma ci sono anche le campagne pubblicitarie, Gucci in testa, realizzate scegliendo i modelli tra la gente per strada, per rendere la moda più credibile. Un'opzione volutamente terra terra, nel segno dell'anti-cliché. «Certo, devi avere al tuo fianco il producer giusto, che capisce dove vuoi arrivare, ma quando succede è una soddisfazione».
È da un po' che Parr non frequenta quel genere di set: «L'età e la salute mi hanno messo dei paletti. Però il processo che seguo è lo stesso, da sempre. Prima devo avere in testa l'immagine giusta per renderla accattivante, con i colori e la composizione adatta. Poi, posso sovvertire le regole, e vedere l'effetto che fa». Vestito sempre nello stesso modo, «anonimo, in grigio, blu o beige», senza nemmeno la velleità di passare inosservato, spiega: «Qualcuno definisce le mie foto come fictional: lo sono perché l'uso del flash esagera il risultato e mostra qualcosa che l'occhio umano non potrebbe cogliere naturalmente. Ma non c'è mai una volontà di travisare il contenuto, è piuttosto un'interpretazione: estrarre l'essenza di un'immagine serve a veicolare il senso del racconto».
Nella serie Small World Martin Parr ha spinto il gioco dei ribaltamenti in un'altra direzione ancora: all'incrocio tra cultura globale, turismo di massa e pretesa di unicità. Negli anni in cui si viaggiava senza remora, un selfie avrebbe certificato che una certa meta era stata raggiunta: possibilmente, ci sono il soggetto e il paesaggio, e nessun altro; la prova di una vacanza perfetta. Ma se sei lì apposta per fare il contrario e ti piace mostrare cosa c'è oltre la cornice, ne approfitti: memorabile lo scatto dei turisti che fingono di reggere con le mani la torre pendente di Pisa; ripresi con una prospettiva più ampia, fanno tutti la stessa identica cosa nello stesso identico istante. Ed è lo stesso significato del paesaggio a fare una capriola: sono i turisti a rendere interessante la torre, non viceversa.
Fa apparire tutto facile: lo è stato? «Sulla lunga distanza non direi che le cose siano state così difficili. Basta attenersi al piano, essere coerenti e cercare di mantenere un punto di vista interessante. È questa la sfida: ecco perché realizzo i progetti con fotocamere diverse e più tipi di obiettivi. Serve a tenermi aggiornato e mi mantiene giovane e fresco, per quanto ormai io sia diventato un po' lento». Considera: «A questo punto del percorso, comunque, posso dire che sono stato fortunato a incontrare tanta umanità. E che ho avuto una vita fantastica».
Maestro del sottotono, Martin Parr non sa che farsene dei vanti: per lui parlano i fatti e i numeri. Due anni fa ha ricevuto la nomina a Commander of the British Empire per volere di Sua Maestà. L'anno scorso è arrivato in libreria A Year in the life of Chew Stoke Village, riferito all'anno, il 1992, passato nel villaggio del Somerset: è l'ultimo libro, preceduto però da altri 117. Dagli anni Settanta il suo nome è legato a 400 mostre, di cui 52 monografiche, e compare nelle collezioni di una cinquantina di musei. Membro dell'agenzia Magnum, ne è stato per un certo periodo anche il presidente. Lo hanno voluto come curatore di festival – era ai Rencontres d'Arles, guest director, nel 2004 – e come docente universitario. Ma insiste: «Tutto vero, ma alla fine mi interessa solo fotografare. L'insegnamento e la curatela sono entrati nel mio curriculum perché mi incuriosiva la sfida, così come la regia dei documentari, ma quel che ha contato di più è stato interagire con il mondo attraverso l'obiettivo». Perciò sente forte la responsabilità di testimoniare i tempi: da qui, il lavoro sugli archivi e la Martin Parr Foundation.
Di materiali storici ne ha in quantità: «Ho una buona memoria: salvo sorprese, ricordo che cosa ho fatto. La mia prima foto ha al centro mio padre, in piedi, su una lastra di ghiaccio, in bianco e nero. La prima a colori era invece per un compito in classe, all'inizio degli anni Settanta, a Manchester. Una donna con un cappotto rosso davanti a una cassetta della posta». Di solito ti accorgi quando hai davanti lo scatto giusto, dice. Vale anche per le foto mancate: «Capita di continuo, ovvio, ed è seccante. Vedi la situazione, ma perdi l'attimo: è una battaglia perenne, se vuoi chiamare così la determinazione che ti tiene agganciato al desiderio di portare a casa il risultato». Oggi, al mercato delle aste, i suoi lavori più ricercati, con punte di apprezzamento in crescita del 60 per cento, non sono quelle per cui è più famoso, ma i lavori in bianco e nero dei primi anni, «quando nessun museo avrebbe preso in seria considerazione altro che quello: perciò il colore era bandito».
Ancora oggi gli piace rimettere mano ai provini e considerarli con uno sguardo aggiornato: perciò non ha esitato davanti alla proposta di Lee Shulman. Filmaker, quest'ultimo ha cucito un progetto, The Anonymous Project, attorno a una prima scatola di vecchie foto di gente sconosciuta. Da allora le raccoglie e seleziona le più significative: Martin Parr le ha messe in relazione con le proprie in un dialogo visivo, Déjà View. A Conversation in Colour, diventato un libro e una mostra (l'anno scorso a Cortona On The Move). E poi c'è la Martin Parr Foundation: aperta nel 2017, intende preservare l'esistente e sostenere il futuro, includendo gli autori che lavorano in Gran Bretagna e Irlanda. La fondazione ha infatti una sua collezione di opere, pubblica libri, vuole rendere il mezzo accessibile a tutti e organizza mostre. Dopo A Year in the life of Chew Stoke Village, chiusa il 9 aprile, sarà la volta di The Dynamic, con le foto di Sebastian Bruno, dal 20 aprile al 2 luglio. Sono entrambe storie di comunità. La permanenza di Martin Parr a Chew Stoke nasceva da un incarico del Telegraph Magazine. The Dynamic era invece un giornale locale del Galles: un riferimento, finché ha sostenuto la linea anti Brexit nella località che più ha votato per l'uscita dall'Europa. «La macchina fotografica è lo strumento che uso per connettermi con ciò che mi circonda», ribadisce. «Il mondo cambia continuamente, anch'io non sono più quello di prima: la fotografia ricostruisce la trama di quella trasformazione e permette di capirla».
Intanto nello studio attiguo alla fondazione ci si prepara a ricevere gente: dopo il passaggio a Londra e prima della festa di compleanno, Martin Parr sarà a disposizione di chi vuole un ritratto in quello stile inconfondibile: iperrealista, flashato, colorato, esagerato. Non succedeva da tempo, ma la voglia non manca. E nemmeno i props: molti arrivano già con un'idea, gli animali da compagnia, gli oggetti che vorrebbero includere nella foto ricordo. È capitato con una pizza gonfiabile. Poi è stata la volta dei Rikishi, i lottatori di sumo. L'invito è a prenotare, sapendo che anche cani e conigli sono i benvenuti: in numero accettabile, beninteso. Martin saprà certo farsi capire, anche da loro.
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