Introvabili, care, non certificate: il gran caos delle mascherine nella fase 2
A quasi una settimana dall'inizio della “fase 2” il presidio medico chirurgico a prezzo statale, praticamente obbligatorio per affrontare il post lockdown, è ancora un miraggio per molti. La conferma arriva dall'ultima indagine di Altroconsumo
di Vittorio Nuti
6' di lettura
Tra polemiche, inchieste e ritardi, ancora introvabili le mascherine chirurgiche a prezzo calmierato di 50 centesimi di euro (61 Iva inclusa), ultimo esempio di pasticcio all'italiana. A quasi una settimana dall'inizio della “fase 2” (partita lunedì 4 maggio) il presidio medico chirurgico a prezzo statale, praticamente obbligatorio per affrontare il post lockdown è ancora un miraggio per molti. La conferma arriva dall'ultima indagine di Altroconsum o secondo cui le mascherine a prezzo politico si trovano solo in una farmacia su quattro.
La prova di acquisto delle mascherine ha interessato 200 tra farmacie e parafarmacie e 60 supermercati di 10 città italiane. Disponibilità e prezzi sono stati verificati tra il 4 e il 6 maggio a Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma e Torino. Le mascherine “di Stato” a prezzo calmierato risultavano effettivamente in vendita in una farmacia su quattro (il 26% del campione), in calo rispetto a due settimane fa, quando le mascherine erano presenti in due farmacie su tre (66%).
Quando reperibili, le mascherine chirurgiche avevano un prezzo di vendita di 61 centesimi di euro, solo in cinque farmacie i prezzi sono risultati più alti. Il maggiore problema riscontrato dall'indagine di Altroconsumo è quello della distribuzione, disomogenea e con profonde differenze da città a città.
Più incoraggianti le verifiche presso i supermercati che, sulla scia dell'aumento delle richieste, hanno cominciato ad includere le mascherine chirurgiche tra gli articoli in vendita sugli scaffali. Dei 60 supermercati contattati, in 27 avevano mascherine a disposizione (45% dei casi). La tipologia più diffusa è risultata quella chirurgica (27%) venduta in media a 1,03 euro, seguita dalla lavabile (17%) in vendita a un prezzo medio di 3,43 euro. Le mascherine FFP1 o FFP2 erano presenti in soli quattro punti vendita a circa 6 euro.
In campo 100mila punti vendita
Niente, in realtà, faceva presagire un avvitamento del genere: con gente a caccia di mascherine, articolo indispensabile per il lavoro e la vita sociale ma introvabile come il Sacro Graal. A far ben sperare era stato l'accordo con farmacisti, distributori di prodotti farmaceutici e tabaccai annunciato dal commissario per l'emergenza Domenico Arcuri ai primi di maggio per la vendita delle mascherine presso 20mila punti vendita della grande distribuzione, 30mila farmacie e parafarmacie e 50mila tabaccherie. Prezzo al pubblico: 50 centesimi, con la garanzia di un indennizzo ai negozianti che avessero già provveduto a rifornirsi a prezzi più alti. Il tutto al netto dell'Iva.
L’idea del “prezzo consigliato” a 1,5 euro
In attesa di uno stop all’Iva sulle mascherine per tutto il 2020 (come annunciato dal ministro dell’Economia Gualtieri), al prezzo base si deve infatti aggiungere l'Imposta sul valore aggiunto del 22%, che porta il “prezzo finito” a 61 centesimi. Per vedere l’azzeramento dovrà èrima entrare in vigore il “Decreto Rilancio” (già “Decreto Aprile”, mai nato), che dovrebbe vedere la luce nei prossimi giorni. Un disallineamento tra annunci e norme che certo ha contribuito ad accrescere la confusione. Anche perché nel documento preparatorio del provvedimento in circolazione in queste ore è spuntata l'ipotesi di introdurre un obbligo temporaneo, per i produttori di mascherine e disinfettanti, di indicare il prezzo massimo di vendita consigliato.
In pratica, il prezzo finale di vendita al consumo praticato dai rivenditori finali non potrà comunque superare l'importo fissato dal decreto. In particolare, il prezzo indicato nella bozza è di 1,50 euro per le mascherine chirurgiche, che arrivano fino a 9,50 euro per le FFP3 con valvola. La violazione sarebbe punita con sanzioni amministrative e nei casi più gravi con la sospensione dell'attività di vendita. I controlli spetterebbero alla Guardia di Finanza.
Milioni di mascherine senza certificato Ce
Al netto del “nodo Iva”, esaurite le poche scorte disponibili in qualche punto vendita, le mascherine a 50 centesimi sono divenute praticamente introvabili già nei giorni successivi al 4 maggio. O si trovavano in vendita solo in pacchetti di 5, 10 e 50 pezzi, con un costo variabile dai 3 ai 30 euro. Per quale ragione? Tutto un problema di ordini, merce e certificazioni, legate a uno stock presunto di 12 milioni di mascherine erroneamente ritenute già disponibili per la vendita ma in realtà in gran parte (9 milioni di pezzi) bloccate perché prive del marchio CE o perché non conformi a quanto previsto dall'Istituto superiore di sanità. Quindi non vendibili nell'immediato dalle farmacie.
Dopo un duro confronto, con rimpallo di responsabilità e chiarimenti sull'intoppo, giovedì 7 maggio il commissario Arcuri e le società di distribuzione hanno raggiunto una nuova intesa che prevede la consegna ai farmacisti di tutta Italia di 1,5 milioni di pezzi da sabato 9 maggio, e altri 3 milioni nella settimana dell'11 maggio. Decisivo, per superare l'impasse, la disponibilità di un fornitore, che metterà le mascherine a disposizione a 38 centesimi al pezzo. I distributori le “gireranno” con un guadagno di 2 centesimi alle farmacie, che loro volta le pagheranno 40 centesimi. Il ricavo per i farmacisti sarà di 10 centesimi, rispettando così il prezzo di vendita al pubblico di 50 cent più Iva. Dal 18 maggio dovrebbero invece essere in distribuzione 10 milioni di pezzi a settimana, in attesa che a fine mese la produzione di mascherine chirurgiche “autartiche” vada a regime, evitandoci l'importazione dall'estero, sempre più difficile con il passare dei giorni.
Contratti per 354 milioni di euro
Quando si parla di mascherine chirurgiche individuali per affrontare la “fase 2”, il sovrapporsi di normativa, responsabilità e burocrazia riguarda anche la Protezione Civile. Il Dipartimento, ha spiegato Angelo Borrelli in audizione alla Camera, ha siglato finora 52 contratti per la fornitura di 354 milioni di mascherine, annullandone poi 13 per un totale di 37 milioni di dispositivi. Dei 52 contratti - per un valore complessivo di oltre 354 milioni -, 22 sono stati trasferiti al Commissario per l'emergenza Arcuri, per i quali risultano “prestazioni ancora da esigere”.
Certificazioni Inail, poche validazioni
Passando ai controlli, al 4 maggio, secondo un monitoraggio Inail, i dispositivi di protezione individuale validati erano solo 96 su un totale di 2.458 pratiche processate (il 4%). Nella maggioranza dei casi le contestazioni riguardano prodotti che, sulla base della documentazione presentata, non risultano conformi ai requisiti di qualità e sicurezza per la protezione di lavoratori e operatori sanitari.
Come dimostrano i dati diffusi dall'Inail, lo sforzo dell'apparato per garantire la circolazione di materiale di protezione individuale testato e certificato, rispondente ai requisiti di qualità prescritti dalla legge, è senz'altro lodevole. Ma appare eccessivo, in tempi di emergenza, se lo stesso presidente dell'Iss Silvio Brusaferro in conferenza stampa invita i cittadini ad utilizzare “anche mascherine confezionate in proprio”, suggerendo agli italiani di ispirarsi, per l'autoproduzione “fai da te”, ai video diffusi dai Centers for desease control.
Il fronte giudiziario
Non poteva mancare, in questo pasticcio all'italiana, il risvolto giudiziario, immancabile quando l'emergenza crea spazi di manovra per il malaffare. Un primo fronte è legato alle decine di sequestri, in tutta Italia, di mascherine irregolari o non certificate, vendute spesso tramite siti web a prezzi esorbitanti rispetto ai costi di produzione e di distribuzione. Da qualche giorno, la Procura di Roma sta invece indagando sull'affidamento diretto da parte della Regione Lazio di una commessa da 35,9 milioni di euro per la fornitura di 9,5 milioni di mascherine (di cui 11 milioni di euro già versati), nell'ambito dell'emergenza coronavirus. Strumenti di protezione mai arrivati, se non in piccolissima parte, nel Lazio. Sempre a Roma, i magistrati indagano: l'accusa è tentativo di frode nelle pubbliche forniture.
A Savona i magistrati indagano sull'attività della Only Logistics Italia, società amministrata dall'ex presidente della Camera, Irene Pivetti, indagata per ricettazione, frode nell'esercizio del commercio, vendita di cose con impronte contraffatte e violazioni alla legge doganale. Secondo l'accusa non solo avrebbe importato dalla Cina mascherine con marchi e certificazioni contraffatte, ma lo avrebbe anche fatto in regime di esenzione Iva grazie a un maxiordine da 25 milioni di euro della Protezione Civile.
Per approfondire:
● Fase 2, dalle mascherine a 50 centesimi a dove fare tamponi e test: 5 cose da sapere
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