Matteo Lippi ovvero la difficoltà d’essere tenore
Uno dei giovani tenori italiani più interessanti e apprezzati a livello internazionale si racconta nell’intervista
di Grazia Lissi
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Nel suo cuore ci sono Alfredo, Rodolfo, Riccardo, Pinkerton, Mcduff. Matteo Lippi, uno dei giovani tenori italiani più interessanti e apprezzati a livello internazionale, ha recentemente interpretato il protagonista de “La Traviata” al Teatro Comunale Pavarotti di Modena, nell'ambito delle manifestazioni “Modena per Luciano”.
In questi giorni avrebbe dovuto debuttare come Macduff in “Macbeth” alla Bergen National Opera, in un nuovo allestimento che vedeva impegnato un altro grande artista italiano nel ruolo del titolo, Roberto Frontali. La produzione è stata cancellata per vari casi di Covid che hanno riguardato un Paese e un teatro sino ad ora poco colpito dalla pandemia.
Matteo Lippi è atteso ancora come Alfredo nei primi mesi del 2021 al Bolshoi. Genovese, classe 1984, una voce ricca di colori, la dizione perfetta, Matteo Lippi sa che la sua agenda si sta riempendo di date «Durante la clausura per l'emergenza sanitaria ero preoccupatissimo per il lavoro, adesso attendo con pazienza i nuovi impegni, bisogna sempre guardare l'orizzonte».
Cosa significa, per lei, interpretare Alfredo?
«L'ho cantato in 150 rappresentazioni in tutto il mondo, a Modena ha assunto un significato particolare, il Teatro di Mirella Freni e Luciano Pavarotti».L'opera è stata in forma di concerto. «Non è semplice mettere in scena l'amore, la morte senza poter tradurre in gesti i sentimenti che agitano il protagonista. L'obbligo giustissimo del distanziamento ti porta a cercare un'intensità anche nei movimenti su cui prima non avevo pensato, lavoro molto sull'interiorità del personaggio».
Quando ha scoperto di avere una bella voce?
«Quando me l'hanno detto, a 16 anni avevo due miti, Freddie Mercury e Alex Baroni, cantavo pop, rock ma ero lontano dalla lirica. Qualche anno dopo durante una serata ho interpretato brani di Frank Sinatra e una simpatica novantenne, esperta di voci, mi ha detto “Lei diventerà un gran tenore”. Mi sono ricordato che mio nonno materno aveva una splendida voce tenorile, la guerra gli aveva impedito di intraprendere la carriera; nella mia famiglia si parlava tanto di questo passato. Ho deciso che sarei stato il primo cantante lirico di casa e ho iniziato a studiare canto seriamente».
E' stato uno degli ultimi allievi di Mirella Freni. Cosa le ha lasciato?
«Una cultura operistica immensa, l'amore per la nostra arte, la capacità di rinnovare il ruolo ogni volta che lo s'interpreta, il rispetto assoluto per il lavoro. È importante ricordare che il nostro è un mestiere “vero”, in Italia non è considerato tale, purtroppo. Mirella era una donna fantastica, un soprano splendido, un'insegnante appassionata, così felice di trasmettere le sue conoscenze a tutti noi, l'ho vista insegnare cinque, sei ore senza uscire dalla sala, totalmente assorta nell'ascolto: la sua gioia si è impressa nel nostro modo di vivere il lavoro».
Molti critici sostengono che ci siano sempre meno voci tenorili di valore. Come risponde?
«È forse difficile trovare tenori lirici con lo “squillo italiano”. La voce di tenore è la più complessa da costruire, il canto lirico non è naturale, va preparato, coltivato. Tutti noi, più o meno, nasciamo baritoni, a secondo delle nostre corde, poi siamo portati a esprimerci in una tessitura piuttosto che in un'altra. La voce tenorile è la più delicata, canta al limite delle corde, è il nostro strumento. Per diventare tenore ci vuole pazienza, un tempo era una virtù oggi meno».
Fra i grandi ruoli che ha interpretato quale sente più vicino?
«Rodolfo ne “La Bohème”, il personaggio con cui ho debuttato, l'ho studiato a lungo con Mirella Freni, parola per parola. Rodolfo è un giovane artista, un sognatore come me. Vorrei interpretare Mario Cavaradossi in “Tosca”, Puccini è il primo autore di cui mi sono innamorato e gli devo molto».
Se non avesse incontrato la lirica quale lavoro avrebbe fatto?
«L'arredatore, da più di 80 anni è l'attività della mia famiglia. Avrei arredato le case dei genovesi, per un breve periodo l'ho fatto e mi è molto piaciuto».
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