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Meccanochimica: una svolta green nell'industria farmaceutica?

Le opportunità offerte da questa metodologia scientifica spiegate dagli scienziati italiani impegnati nel progetto da 7,7 milioni di euro che coinvolge anche Merck e Novartis

di Michela Moretti

8' di lettura

Ci sono tre nomi di chiara origine italiana tra quelli presenti in un gruppo di ricerca al lavoro per attuare una rivoluzione scientifica capace di incrementare la sostenibilità dell'industria farmaceutica, una delle maggiori fonti di emissione in atmosfera di diossido di carbonio, superiore perfino all'intero settore automotive. Evelina Colacino insegna Chimica Organica e Green Chemistry all'Università di Montpellier, Francia; Francesco Delogu, chimico fisico, è professore ordinario di Chimica presso la Facoltà di Ingegneria e Architettura dell'Università degli Studi di Cagliari, Italia; Sabrina Spatari canadese di origini italiane, è professore associato presso la Facoltà di Ingegneria Civile e Ambientale del Technion – Israel Institute of Technology.

I tre ricercatori, insieme ad alcuni colleghi europei, stanno lavorando per portare nel ciclo di produzione dei farmaci una metodologia “pulita” dalle radici molto antiche, la meccanochimica. Questa metodologia è capace di attivare trasformazioni chimiche mediante l'applicazione di forze meccaniche, che portano compressione, taglio e attrito. Con tali metodi, i ricercatori hanno già dimostrato che è possibile sintetizzare il principio attivo di un farmaco senza l’utilizzo delle classiche reazioni chimiche in cui si impiegano solventi, con un risparmio di energia, una riduzione delle emissioni inquinanti di quasi il 90% e un contenimento dei costi altrettanto rilevante. Con l’obiettivo che, cambiando il modo in cui produce i propri composti, l’industria farmaceutica europea possa diventare molto più eco-sostenibile e competitiva, indipendente da distorsioni di mercato legate a eventi imprevedibili come le pandemie e alle produzioni di principi attivi in paesi non europei.

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È significativo che ci siano italiani nel team di scienziati che sta disegnando la nuova rotta green per l’industria del farmaco: l’Italia è, infatti, il primo produttore di farmaci in Europa. Un percorso in linea con gli obiettivi della Commissione europea di ridurre drasticamente le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Le potenzialità della meccanochimica sono infatti al centro di un ambizioso progetto europeo, chiamato Impactive, che ha ottenuto 7,7 milioni di euro di finanziamento dalla Commissione europea tramite il programma Horizon.

Alla regia di Impactive, che coinvolge 11 nazioni, c’è la professoressa Colacino. Se si tratti di una scienza che impatterà davvero sull'industria farmaceutica lo vedremo nel corso dei prossimi quattro anni. Intanto, gli studi alla base del progetto sono promettenti, e hanno convinto due big pharma europee, la svizzera Novartis e la tedesca Merck, a salire a bordo.

La meccanochimica e il contributo italiano al suo sviluppo

La macinazione, uno dei metodi della meccanochimica, può essere considerata una delle prime metodologie chimiche consapevolmente usate dagli esseri umani. Strumenti tradizionali come il mortaio e pestello sono stati utilizzati già nell’Età della Pietra. La meccanochimica fu utilizzata dagli egizi e dai greci, tramandata da famosi scritti, come quelli di Vitruvio e Plinio il Vecchio, fino al medioevo quando se ne sono perse le tracce, sovrastata dalla pratica dell’utilizzo del calore come strumento per realizzare reazioni chimiche.

Riscoperta nell’800, è stato poi il premio Nobel Wilhelm Ostwald a introdurre in un suo trattato del 1919 il termine “meccanochimica”, affiancandola alle altre scienze chimiche. Nel corso del ’900 si è imparato a farne i più svariati utilizzi. A parte la fondamentale applicazione in ambito metallurgico, per esempio per la creazione di super leghe, la meccanochimica è oggi usata dai biologi per estrarre il Dna dalle cellule; nell’industria aerospaziale per combinare materiali di per sé difficili da legare così da ottenere materiali innovativi con proprietà e prestazioni adatte all'utilizzo in condizioni estreme; per la preparazione di composti organici e inorganici.

Nonostante i primi studi sistematici delle reazioni meccanochimiche risalgano alla fine del XIX secolo, lo sviluppo è stato ritardato fino agli anni ’60. Le ricerche si sono sviluppate parallelamente, senza nessun tipo di convergenza tra le varie branche della scienza, per decadi. Solo negli ultimi 30 anni, si è assistito a un aumento graduale degli scambi di idee tra studiosi di aree precedentemente non correlate. L'interesse nei confronti del campo di ricerca è cresciuto a ritmi spasmodici e con esso la comunità scientifica coinvolta, a vario titolo, negli studi.

I tre ricercatori hanno avuto un ruolo in questo sviluppo multidisciplinare. Spiega Delogu: «Negli anni ’90 ho avuto il privilegio di vivere la seconda grande ondata di interesse verso la meccanochimica. Dopo un breve periodo di stasi, la comunità dei chimici di sintesi ha cominciato a interessarsi a questa scienza e da allora c’è stata un’enorme spinta in avanti».

La condivisione di know-how e di conoscenze in questo vasto campo di ricerca ha portato la chimica organica Evelina Colacino all’idea di utilizzare la meccanochimica come processo per la sintesi di principi attivi di farmaci. Dopo un passato come ricercatrice nell’area della chimica farmaceutica e un’esperienza nell’industria, Colacino si avvicina alla chimica green nel 2005 in ambito accademico e nel 2006 comincia a fare esperimenti di meccanochimica sintetizzando principi attivi di farmaci già esistenti sul mercato: «Volevo vedere se la meccanochimica funzionava in questo ambito. Mi si è aperto un mondo - sostiene -. Questa tecnologia è rapida, pulita, veloce, spesso non ci sono sottoprodotti ed è economica. Dai solventi green, che pure impattano sull’ambiente, sono passata verso un metodo senza più solventi, un vero e proprio cambiamento culturale». Far digerire l’idea alla comunità scientifica di riferimento non è stato facile: «All’inizio i giornali scientifici di impatto rifiutavano i lavori, pensando che stessimo inventando tutto». Fino a quando un articolo che riporta il successo di una sperimentazione di Colacino per la sintesi di un antiepilettico attraverso la meccanochimica appare su The Journal of Organic Chemistry dell’American Chemical Society, ottenendo il consenso degli scienziati del settore.

Il punto di svolta si raggiunge nel 2019, quando l'ufficio Cost (Cooperation in Science and Technology) della Comunità europea riconosce l'importanza strategica delle metodologie meccanochimiche approvando una Cost Action che ha visto, e ancora vede, la partecipazione di 140 tra innovatori e ricercatori a studi volti, tra l’altro, alla scalabilità della meccanochimica per la produzione industriale di agenti farmaceutici. Evelina Colacino coordina l'Action e da questa, nel 2022, nasce una pubblicazione che segna uno spartiacque nella storia della ricerca in questo ambito: nell’articolo apparso sulla rivista scientifica Sustainable Chemistry and Engineering Colacino, Delogu, Spatari e i loro colleghi riportano gli esiti di una sperimentazione per la sintesi del principio attivo di un antibiotico per le infezioni delle vie urinarie già sul mercato, la nitrofurantoina, dimostrando l’enorme potenzialità green insita nelle metodologie meccanochimiche.

La Commissione europea, visti questi primi risultati, ha creduto nelle potenzialità di questa metodologia e nell’ottobre del 2022 ha dato il via al primo progetto finanziato mai realizzato per valutare la scalabilità della meccanochimica nella grande industria farmaceutica. Si tratta di una sfida tutt’altro che semplice: i ricercatori dovranno rispondere a diverse istanze, dallo studio del modo in cui avvengono le reazioni meccanochimiche, alla verifica della riproducibilità dei processi e all’ottimizzazione di questi su piccola scala e su scala via via più larga. Per l’industria farmaceutica sarà un’occasione d’oro, pressata come è dalla Ue che, attraverso il Green Deal, chiede di riportare la produzione di farmaci all’interno dei confini europei e di ridurre drasticamente l’impatto ambientale derivante dai suoi processi.

Le prove del metodo green

Perché lo studio pubblicato nel 2022 sulla rivista dell’American Chemical Society è così importante? Spiega Colacino: «Per la prima volta, in assoluto, applichiamo il sistema di valutazione del ciclo di vita di un prodotto a uno studio di meccanochimica per calcolare l’impatto ambientale di questa tecnologia rispetto ai metodi tradizionali. Abbiamo messo a confronto il metodo classico a base di solventi con quello meccanochimico - in questo caso di estrusione - per la sintesi del principio attivo nitrofurantoina. Abbiamo studiato, per ciascuno dei due metodi, tutto il ciclo di vita del principio attivo, dall’intera filiera di sintesi di ogni reagente fino alla reazione chimica stessa per ricavare il composto, e ne abbiamo misurato quantitativamente l’impatto sul riscaldamento globale, l’eco-tossicità e i costi».

Insieme a un altro ingegnere italiano, Giacomo Cerfeda, Sabrina Spatari ha eseguito una serie di calcoli sulla base di tutte le informazioni e risultati prodotti dall’equipe di chimici: «Con il metodo che utilizza solventi, per produrre 1 kg di principio attivo si sono prodotti 603 kg di CO2. Con l’estrusione abbiamo prodotto soltanto 74 kg di CO2».

Stessi risultati si sono ottenuti per l’ecotossicità terrestre, cioè l’inquinamento di acqua, terreno e aria. Questo è dovuto soprattutto alla riduzione della quantità di reagenti utilizzati e a un abbattimento della quantità di rifiuti prodotti mediante il processo meccanochimico. I ricercatori hanno quindi stimato il potenziale annuale delle emissioni di gas serra per la produzione commerciale di nitrofurantoina: se si utilizzasse la meccanochimica si avrebbe una riduzione dell'85%. Hanno, inoltre, calcolato il costo annuale, che passerebbe da 162.000 dollari con il metodo che utilizza solventi a 19.000 dollari con la meccanochimica. «Non ho più costi per l’abbattimento dei rifiuti o legati all’utilizzo di un eccesso di materie prime», precisa Colacino. Su una scala più ampia, pensando ai costi di produzione e vendita di certi farmaci, si può immaginare un risparmio di milioni di dollari da parte delle industrie farmaceutiche.

Il progetto Impactive e la risposta dell’industria

Da queste premesse, come detto, è partito il progetto Impactive, che coinvolge Francia, Germania (con il Bam di Berlino e il Max Planck Institute di Mülheim), Italia (con il Consorzio Interuniversitario per lo Sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase, Csgi, sedi di Cagliari, Firenze, Parma e Salerno), Olanda, Belgio, Irlanda, Estonia, Spagna, Portogallo, Svizzera e Israele. I ricercatori si stanno concentrando su 6 farmaci già sviluppati e messi in commercio dalla grande industria: si tratta di anticancro, farmaci per il diabete e antipertensivi. I sei principi attivi verranno ora sintetizzati usando la meccanochimica. La scelta si è basata sull’importanza di tali farmaci nei percorsi di cura e sulle interlocuzioni con l’industria farmaceutica rispetto la necessità di migliorare i processi di produzione quei principi attivi. Evelina Colacino avrà le redini del progetto e dialogherà con i diversi centri di ricerca e le industrie farmaceutiche coinvolte. Francesco Delogu, a coordinamento dell'unità di ricerca del Csgi, metterà a disposizione una conoscenza trentennale dei meccanismi della meccanochimica e delle strumentazioni utilizzabili. Il tentativo sarà quello di dare risposte a domande ancora aperte. Cercherà, cioè, di comprendere che cosa accade a livello di meccanismo di sintesi, in prospettiva di uno scale-up industriale:

«Partiremo dalla sintesi in laboratorio, sintetizzando pochi milligrammi di composto, per poi passare alla scala pilota e a scale ancora maggiori. Durante questo processo dovremo descrivere che cosa avviene all’interno del reattore, ovvero come evolve nel tempo la reazione chimica, per arrivare a un modello utile alla progettazione dell’impianto su scala industriale. È una sfida, perché si tratta di osservare reazioni che avvengono nell’ordine di microsecondi, cioè alla velocità di un milionesimo di secondo».

L’obiettivo dei ricercatori che fanno parte del progetto Impactive è quello di poter giungere a un prototipo che l’industria, ad esempio Novartis e Merck, possa utilizzare. E si auspica di creare modelli pre-industriali per ognuna delle sei molecole che si intende sintetizzare, ma completare il processo anche per una sola molecola sarebbe già un successo.

Quanto dovrà investire, però, l’industria farmaceutica per portare questa tecnologia al suo interno? «Poco, nel complesso - sostengono Colacino e Delogu -. Le case farmaceutiche sono già in possesso della strumentazione. Mulini a sfere ed estrusori sono utilizzati per mescolare composti o ridurre la granulometria delle polveri. Naturalmente, si dovrebbero riconvertire gli impianti e affrontare i costi associati all’autorizzazione della produzione sulla base della nuova tecnologia. Sono costi che ora l’industria è disposta, in principio, a sostenere per la forte necessità di cambiare paradigma».

«Nell’ultimo anno e mezzo, l’industria farmaceutica ha veramente alzato l’attenzione verso l’utilizzo della meccanochimica nella sintesi di farmaci - spiega Colacino - Alcune aziende ci hanno aperto le porte e ci hanno fatto utilizzare la loro strumentazione. Ora le aziende ci contattano per lanciarsi nell’uso di questa tecnologia». La rivoluzione è tanto a livello industriale, quanto accademico e culturale: «Abbiamo introdotto per la prima volta l’insegnamento della meccanochimica medica nell’Università e l'abbiamo promossa a livello internazionale anche grazie a delle Training Schools. Gli scienziati del futuro avranno le competenze e la mentalità per innovare tramite metodi green».

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