Meloni lancia la convention di Milano: quante chance ha davvero di diventare premier?
La leader Fdi è oggi la più accreditata candidata del centrodestra per Palazzo Chigi e la Conferenza programmatica in corso al Mico di Milano è il suo “predellino”. Ma i suoi alleati le daranno filo da torcere
di Barbara Fiammeri
I punti chiave
4' di lettura
È sempre un errore sottovalutare i propri avversari. Anzi, inizialmente Silvio Berlusconi e Matteo Salvini non la consideravano neppure una avversaria. Piuttosto una presenza utile, con i suoi Fratelli d'Italia, per imporsi sui candidati del fronte opposto ma destinata a rimanere all'interno dei confini del Raccordo anulare che, per chi non lo sapesse, è l'anello stradale che circonda Roma. Giorgia Meloni invece è oggi la più accreditata candidata del centrodestra per Palazzo Chigi e la Conferenza programmatica di Fdi in corso al Mico di Milano è il suo “predellino”. Aver scelto la Capitale economica per lanciare la sfida così come la presenza di tante personalità della destra liberale e non (da Giulio Tremonti a Marcello Pera, da Carlo Nordio a Luca Ricolfi) ne è la conferma.
Berlusconi e Salvini alla finestra
Berlusconi e soprattutto Salvini – che alla kermesse non sono stati invitati - dovranno farsene una ragione. Il Cavaliere in realtà non è infastidito più di tanto. Anzi, dall'alto dei suoi 85 anni, la prospettiva che dopo di lui nel centrodestra sia una donna a ricevere il testimone di candidato premier probabilmente non gli dispiace neppure. Per Salvini, che nell'estate del Papeete aveva già assaporato l'ingresso alla Presidenza del Consiglio da Prime minister, il piatto invece è decisamente più indigesto. A distanza di tre anni dalle europee del 2019 la Lega ha più che dimezzato i suoi consensi passando dal 34% a meno del 17. Una discesa costante parallamente alla crescita di Fratelli d'Italia, che nel frattempo ha conquistato il primato nella coalizione di centrodestra e se la batte con il Pd per quello nazionale, viaggiando sopra il 20%.
Il travaso di voti dalla Lega a Fdi
Non c'è bisogno di interrogare esperti di flussi elettorali per capire che una parte significativa dei voti persi dalla Lega sono andati al partito di Meloni. E poiché la roccaforte del Carroccio resta il Nord e la Lombardia in primis, questo travaso minaccia anche lo zoccolo duro del partito fondato da Umberto Bossi. Del resto un anno fa, alle comunali che hanno confermato sindaco Beppe Sala (oggi sul palco del Mico per un saluto), Fdi ha mancato il sorpasso per un soffio (10,7 contro 9,8).
Il radicamento nella borghesia di destra
Il successo di Fratelli d'Italia ha dunque un radicamento che oggi va ben oltre i confini della destra sociale movimentista in cui Meloni politicamente nasce. In questi anni l'ex ministra della Gioventù ha lavorato e studiato per farsi interprete delle esigenze, delle istanze di un mondo che fino a ieri guardava alla Lega e cioè le piccole imprese, i lavoratori autonomi, i professionisti, quella borghesia di destra rimasta delusa dal salvinismo ma anche dall'antipolitica M5s.
Non basta essere all’opposizione per guadagnare voti
Certo ha ragione chi sottolinea – come i suoi (ex?) alleati di centrodestra - che è facile guadagnare dall'opposizione, quando non si hanno responsabilità di Governo. È senz'altro vero, ma fino a un certo punto. Tant'è che la Lega ha continuato a perdere e Fdi a guadagnare anche quando entrambi erano all'opposizione del governo giallo-rosso mentre Forza Italia proprio da quando sostiene Mario Draghi è tornata a crescere. Dunque, non basta essere all'opposizione.
Un’ascesa che nasce da lontanto
Questa ascesa per ora apparentemente inarrestabile nasce da lontano. C'è un fil rouge che si intravedeva fin da quando Fdi cominciò a muovere i primi passi. Non è certo stato casuale che Meloni tra i partecipanti al suo progetto politico abbia voluto accanto a sé non solo rappresentanti delle varie correnti della destra tradizionale, come Ignazio La Russa e Fabio Rampelli, ma anche ex forzisti ed ex democristiani apprezzati come Guido Crosetto e Raffaele Fitto che proprio sul fronte economico-produttivo ma anche internazionale hanno contribuito ad aprire porte che fino ad allora erano rimaste chiuse e che in prospettiva potrebbero rivelarsi decisive.Basti pensare all'attuale contesto internazionale. Meloni – contrariamente a Berlusconi e Salvini – non ha mai vantato né dovuto prendere le distanze da precedenti rapporti con Vladimir Putin.
La linea atlantista
La sua linea atlantista è molto netta e emerge non solo dai suoi consolidati legami con i repubblicani statunitensi, che invece sono sempre rimasti molto freddi con l'omologo leghista, ma anche dal sostegno alla posizione di Draghi, a partire dal sì all'inasprimento delle sanzioni verso Mosca e all'invio di armi agli ucraini, verso le quali Salvini mostra a giorni alterni la sua insofferenza. Il leader della Lega continua ad essere in sintonia con Marine Le Pen, che però proprio per i suoi rapporti poco trasparenti con Mosca (a partire dal finanziamento del suo partito) l'hanno certamente penalizzata nella corsa per l'Eliseo. Non così Meloni che a Strasburgo, quando è entrata al Parlamento europeo con il suo modesto 6,4% (allora fu comunemente ritenuto un successo), evitò accuratamente di mischiarsi nel gruppo di Identità e democrazia, dove assieme ai leghisti siedono lepenisti e altri partiti di estrema destra come i tedeschi di Afd . Approdò invece all'Ecr, il gruppo dei Conservatori riformisti nel quale i Tories inglesi, prima della Brexit, erano il drappello più importante e che ora ha nei polacchi di Diritto e Giustizia, il partito del premier Mateusz Morawiecki, la rappresentanza più numerosa. Con loro Meloni ha costruito un rapporto forte che l'ha portata alla presidenza del partito dei Conservatori e a respingere i numerosi tentativi di Salvini e dell'ungherese Victor Orban (il più filo Putin tra i capi di governo della Ue) di dar vita a un unico gruppo della destra europea.Ora viene però la parte più difficile. Quel che dimostra proprio l'esperienza di Salvini e prima di lui di M5s e di Matteo Renzi è che si può in poco tempo raggiungere la vetta ma ancor più velocemente precipitare.
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