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Mercato del cotone di nuovo nel caos negli Stati Uniti

di Sissi Bellomo

(Ansa/Ap)

3' di lettura

Il mercato del cotone è di nuovo nel caos. La situazione non è ancora drammatica come nel 2008 o nel 2011, quando la speculazione fece infiammare e poi precipitare le quotazioni della fibra, con conseguenze drammatiche per gli operatori commerciali. Ma volumi di scambio e volatilità sono anche oggi alle stelle all’Intercontinental Exchange (Ice). E i future si sono già spinti ai massimi da tre anni, toccando quota 87,18 cents per libbra a inizio settimana, con un guadagno del 12% in sole tre sedute. In seguito è subentrata una brusca correzione, ma gli acquisti potrebbero ripartire se l’Usda oggi confermerà il forte ritmo delle esportazioni dagli Stati Uniti.

L’attuale andamento del mercato sembra poca cosa rispetto a ciò che accadde tra il 2010 e il 2011, quando il prezzo del cotone quadruplicò nel giro di 6 mesi, superando 2 $/libbra – un record dai tempi della Guerra di secessione americana – per poi dimezzarsi nei 4 mesi successivi. Alle violente oscillazioni, come emerse in seguito, avevano contribuito anche hedge fund cinesi, che furono multati dalla Commodity Future Trading Commission (Cftc). Ma a soffrire, come già nel 2008, quando ci furono analoghi scossoni sul mercato, furono soprattutto i commercianti di fibre e le industrie tessili, con diversi casi di bancarotta e forti perdite in bilancio persino per i colossi del trading, come Glencore, Cargill o Louis Dreyfus.

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Anche il rally odierno ha una forte componente speculativa: all’Ice i volumi di scambio hanno superato 109mila contratti lunedì, aggiornando il record storico che resisteva da novembre 2010. Anche l’esposizione rialzista dei fondi è da primato, con 10 posizioni lunghe per ogni posizione corta.

Intanto cominciano a manifestarsi evidenti segnali di disagio tra le società del settore. Molte industrie tessili americane nei mesi scorsi – quando era convinzione diffusa che il prezzo del cotone fosse destinato a scendere – avevano sottoscritto contratti in cui “prenotavano” forniture da acquistare a valori di mercato. Il rally le ha prese in contropiede, ma rinviare gli approvvigionamenti non è servito. Dallo scorso settembre la fibra è rincarata del 30% e adesso il tempo stringe: i contratti vanno onorati entro luglio, quando si conclude la stagione in corso, oppure rinegoziati, sborsando una penale.

Restano 4,62 milioni di balle (da 480 libbre o circa 218 kg) prenotate ma non ancora pagate dalle filature. E ad aggravare le cose non c’è molto cotone in giro negli Usa: le esportazioni sono in aumento del 76% rispetto alla stagione passata e secondo l’Usda raggiungeranno 14,5 milioni di balle, lasciando scorte finali di appena 3,2 milioni di balle nel Paese.

Le società di trading che hanno venduto a termine il cotone ( proteggendosi sul mercato dei future) sono intanto sotto pressione anche per i margin call: l’Ice ha alzato più volte i margini di garanzia, tanto che nel complesso il conto è arrivato a superare 260 milioni di dollari al giorno. Il provvedimento è mirato a stimolare la chiusura di posizioni, con relativa consegna fisica. Ma i magazzini di borsa accettano solo cotone «made in Usa», che per l’appunto scarseggia: una situazione che minaccia di durare fino all’autunno, quando arriverà il prossimo raccolto.

A quel punto tuttavia il mercato potrebbe prendere di nuovo una tendenza ribassista. I prezzi elevati hanno spinto infatti gli agricoltori (americani e non solo) a seminare molto più cotone. E nella prossima stagione, secondo l’Usda, la produzione potrebbe aumentare del 12% negli Stati Uniti (a 19,2 milioni di balle) e del 7% a livello globale (a113,2 milioni di balle).

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