mercoledì la votazione al senato

Mes, Crimi rassicura: il governo non cadrà. Nel M5S possibili sei voti contrari

Il reggente pentastellato: «Verso risoluzione unitaria». Pd: «Mes più vantaggioso»

di Manuela Perrone

Gualtieri: ok a riforma Mes non implica la decisione di usarlo

3' di lettura

«Sono assolutamente fiducioso che ci sarà un voto positivo, sarebbe incomprensibile che l’Italia esercitasse un veto mentre si sta battendo contro i veti di altri Paesi sul Recovery Plan». Ai microfoni di SkyTg24 il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, fa mostra di ottimismo sullo snodo dell’appuntamento del 9 dicembre alle Camere, quando sono in programma le comunicazioni del premier Giuseppe Conte alla vigilia del Consiglio europeo. E per avvalorarlo Gualtieri usa la stessa argomentazione a cui sta ricorrendo il titolare della Farnesina Luigi Di Maio per placare la fronda interna che impensierisce la maggioranza. «Come potete indebolire Conte che deve trattare sul Recovery Fund se poi ci comportiamo come Ungheria e Polonia?», è stata la domanda rivolta ai parlamentari del Movimento riuniti in assemblea venerdì sera.

La guardia resta alta

I duri e puri scalpitano, il sottosegretario all’Economia, Alessio Villarosa, ha proposto di far votare gli iscritti su Rousseau. Ma il reggente pentastellato Vito Crimi si è detto convinto che «ci sarà una risoluzione unitaria di maggioranza che guarderà oltre» la riforma e che «il governo non cadrà». In quel «guarderà oltre» c’è la strategia a cui si lavora: scrivere un testo soft che si limiti a richiamare il ruolo centrale del Parlamento, cui spetterà la ratifica della riforma del Mes dopo la firma ufficiale prevista a fine gennaio.

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Dal M5S sono convinti che alla fine quelli che mercoledì potrebbero votare contro la risoluzione al Senato, dove i numeri della maggioranza sono risicati, si ridurranno al massimo a sei. Questo eliminerebbe il problema contingente, come spiega il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti: «Le ipotesi di crisi mi sembrano il frutto di un equivoco. A differenza del voto sullo scostamento di bilancio, che richiede il sì di una maggioranza assoluta (161 su 321 a Palazzo Madama), il voto sulla riforma del Mes richiede solo la maggioranza relativa: i sì devono solo battere i no». Secondo Ceccanti, «i sì possono oscillare ragionevolmente tra i 155 e i 160 sommando i gruppi M5S, Pd, Iv, Autonomie e larga parte del Misto, pur detraendo una quindicina di senatori M5S. I no si collocano invece intorno ai 140-145 al massimo sommando al centrodestra cinque dei 15 dissidenti M5S». Senza considerare Forza Italia, dove molti potrebbero sfilarsi dalla scelta di Berlusconi di aderire all’asse con Salvini e Meloni e far mancare il proprio voto.

Ma il tema, sostengono in molti, non è il 9

Se veramente sei pentastellati votassero insieme all’opposizione rischiererebbero di essere espulsi dal M5S, facendo pericolosamente abbassare l’asticella della maggioranza sotto il “quorum” della metà più uno dei componenti dell’Aula. E poi a gennaio, quando la revisione del Salva Stati andrà ratificata, la situazione si riproporrà tale e quale, senza più la via di fuga della procrastinazione.

Non solo. Superare lo scoglio della riforma non significa superare quello del prestito sanitario del Mes, su cui la tensione tra gli alleati resta altissima. Lo prova il botta e risposta al vetriolo tra Matteo Renzi e Crimi. «È allucinante non prenderlo, si risparmiano 300 milioni l’anno», ha sottolineato il leader Iv replicando alla tesi del reggente M5S secondo cui è meglio fare un nuovo scostamento. «Con il Mes si risparmiano 300 milioni ma si ipoteca il futuro degli italiani come per la Fornero», ha attaccato Crimi. Ma anche il segretario Pd Nicola Zingaretti ha insistito: «È più una battaglia ideologica. Il Mes è una linea di credito molto vantaggiosa».

Sullo sfondo il sempiterno nodo del rimpasto

Conte ha invitato chi lo vuole a uscire allo scoperto. Venerdì Iv sembrava aver deposto le armi, ieri Renzi le ha imbracciate di nuovo: «Conte ha detto che ha i migliori ministri, contento lui contento tutti, ma serve un salto di qualità». Se ne riparlerà, forse, in un nuovo vertice tra il premier e i leader dei partiti di maggioranza invocato dai capigruppo dopo lo stallo di tutti i tavoli sull’agenda fino al 2023. Ed è Di Maio a indossare i panni del pompiere anche all’esterno: «Il compito della politica davanti a una crisi non è quello di perdersi in polemiche, serve unità».

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