bussola & timone

Mes: la riforma non peggiora le regole in vigore

L’intervento dell’allora ministro dell'Economia e delle Finanze all’Assemblea annuale dell’Abi il 10 luglio 2018

di Giovanni Tria

Il fondo Mes, ecco le cifre sottoscritte dall'Italia e dagli altri Paesi aderenti

6' di lettura

Nel mio intervento all’Assemblea annuale dell’Abi il 10 luglio 2018 ebbi ad affermare: «Per quanto l'Italia non sia contraria a un’evoluzione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è importante sottolineare che alcuni interventi inciderebbero profondamente sugli assetti istituzionali, con sovrapposizioni e possibili ripercussioni negative sui mercati finanziari, anche perché questi interventi non sarebbero compensati da corrispondenti progressi sul fronte della condivisione dei rischi. Mi riferisco in particolare alle proposte sulla trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità in un Fondo monetario europeo, che rimarrebbe un’istituzione intergovernativa, con compiti di sorveglianza fiscale e di gestione di procedure di ristrutturazione del debito sovrano. L’evoluzione del Meccanismo europeo di stabilità deve essere valutata nel quadro di un approfondimento sulle funzioni e gli strumenti di cui sarà dotato, con l’obiettivo di addivenire a una governance sufficientemente bilanciata».

Gli ultimi 18 mesi
Ebbene, un anno dopo, nel testo della bozza di revisione del trattato del Mes sottoposto al giudizio del Summit dei capi di stato e di governo il 21 giugno 2019, che peraltro rappresentava la traduzione nel testo normativo di accordi già presi a dicembre 2018, non erano più presenti gli elementi critici che avevo evidenziato circa un anno prima. Si trattava del risultato di un negoziato impegnativo condotto con fermezza dall’Italia, su alcuni temi appoggiata da altri paesi e anche dalla Commissione, negoziato che ha condotto al prevalere di una posizione più equilibrata e razionale in cui le “linee rosse” poste dall’Italia non sono state valicate. Colpisce come molti commentatori continuino ad avanzare critiche come se queste correzioni non fossero state apportate.
Il Summit prese atto delle revisioni proposte al Trattato e invitò l’Eurogruppo, di cui fanno parte i ministri delle finanze, a continuare i lavori per arrivare a un testo finale da porre in approvazione entro il dicembre dell’anno in corso, da sottoporre successivamente alla ratifica dei singoli Parlamenti dei paesi europei a cui spetta la parola definitiva.

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L’evoluzione dei negoziati
Lo “statement” del Summit precisava, peraltro, che, come richiesto dall’Italia, nei mesi successivi si sarebbe dovuto proseguire nei negoziati seguendo un approccio complessivo in una logica di “pacchetto” con riferimento ai tre ambiti delineati nel dicembre precedente - revisione del Trattato Mes, introduzione dello strumento di bilancio per la competitività e convergenza (cosiddetto budget dell'area Euro) e l’Unione bancaria, inclusa l’assicurazione europea sui depositi (Edis). In altri termini si richiedeva che l’accordo finale dovesse riguardare il “pacchetto” nel suo insieme. Ho l’impressione che i negoziati non siano avanzati di molto in questi altri ambiti. Tutto ciò è noto, così come da tempo è noto il testo di cui si discute in quanto pubblicato molti mesi fa.
A mio avviso, peraltro, il testo di cui si parla non contraddice le indicazioni di indirizzo al governo contenute nella risoluzione del Parlamento italiano sulla conduzione del negoziato, risoluzione approvata alcuni giorni prima del Summit del 21 giugno, ma successivamente alla riunione dell'Eurogruppo in cui si definì il testo da sottoporre al giudizio del Summit stesso.

I tentativi di revisione
Entrando nel merito della bozza di testo approvato, va ricordato che la revisione del Trattato Mes era richiesta essenzialmente per istituire il meccanismo di supporto comune (common backstop) al Fondo di risoluzione unico per le banche, che era stato concordato già nel 2013 al fine di integrare le risorse del Fondo stesso in caso di insufficienza di risorse nell'eventualità di una crisi bancaria di dimensioni rilevanti. A fronte di questa decisione, considerata da vari Paesi come parte di un percorso di “condivisione dei rischi” oltre che di garanzia per la stabilità finanziaria europea, furono avanzate proposte di revisione di alcune parti del trattato Mes presentate come compensative dal lato della “riduzione dei rischi”. In realtà queste proposte erano inaccettabili essenzialmente perché avrebbero aumentato la percezione di rischio dei debiti sovrani e, quindi, avrebbero contraddetto la motivazione stessa che aveva condotto alla istituzione del Mes come meccanismo in grado di stabilizzare i mercati. Queste proposte sono completamente sparite dalla bozza di revisione del Trattato. Come è stato ugualmente eliminato il tentativo iniziale di sovrapporre le competenze del Mes, istituzione intergovernativa, alle competenze di coordinamento delle politiche economiche e di valutazione della sostenibilità dei debiti pubblici che sono propri della Commissione, la quale agisce come organo politico.

I poteri reali
Al Mes viene solo concesso di svolgere un’attività di valutazione in supporto alla Commissione ai fini della valutazione della capacità di restituzione dei prestiti ottenuti dallo stato richiedente. Ciò a garanzia dei creditori, che sono gli stati membri che forniscono le risorse e che garantiscono collettivamente per lo stato in difficoltà che ricorra al sostegno del Mes. D’altra parte, un compito di valutazione della sostenibilità del debito era già presente nel Trattato in vigore e questo principio è stato ribadito tenendo ferma la necessità di un adeguato margine di giudizio. Modifiche al Trattato esistente riguardano, in misura limitata, le condizioni di concessione delle linee di credito “precauzionali” già previste nel Trattato vigente per i Paesi in situazione economica e finanziaria particolarmente solida che debbano fronteggiare shock temporanei. La revisione riguarda una maggiore rapidità di accesso allo strumento ma un maggior controllo dei requisiti di accesso.

Questo è lo stato dei fatti. Si possono avere, come è naturale, diverse opinioni sul Mes, e sulla sua utilità per l’Italia e l’Europa, come è certamente legittimo che qualcuno ritenga che questo trattato debba essere modificato in altre direzioni. Tuttavia sono convinto che le revisioni contenute nella bozza non peggiorano il trattato vigente, come temuto all’inizio dei negoziati sulle questioni di fondo richiamate.

Sono necessarie a questo punto alcune considerazioni.

Primo, l’Italia non deve ricorrere al meccanismo salva-Stati: il nostro debito è perfettamente sostenibile e non è lontanamente ipotizzabile la possibilità di una sua ristrutturazione. Aver ottenuto che non si parli di procedure di ristrutturazione di debiti sovrani significa semplicemente che è prevalso il buon senso, poiché sarebbe contradditorio creare dubbi nei mercati quando si istituisce un meccanismo diretto a tranquillizzare i mercati stessi. Smettiamola di dire che il meccanismo salva Stati parla di noi.

Secondo, l’Italia ha già contribuito in misura proporzionale al proprio peso economico, e quindi in modo rilevante, a salvare altri Stati (Irlanda, Portogallo, Spagna, Cipro, Grecia) sia mediante il il Mes, sia mediante i precedenti strumenti di intervento (Esfs e Efsm), ma non è affatto prevedibile che essa debba ricorrervi. Vorrei ricordare che attualmente il mercato accetta tassi negativi per acquistare il nostro debito. In ogni caso penso che non sia sbagliato che il Mes utilizzi in modo oculato le risorse che gli Stati membri, tra cui l’Italia, mettono a disposizione per stabilizzare i mercati.

Terzo, il trattato Mes, sia quello vigente sia quello eventualmente revisionato, è frutto di un accordo e non risponde quindi pienamente ai desideri di nessuno dei singoli sottoscrittori. Si tratta sempre di trovare una soluzione nell’interesse comune, con l’alternativa di tirarsi fuori dalle istituzioni comunitarie. Ma allora lo si deve dire apertamente, analizzandone bene le conseguenze. Vi è a tal proposito da ricordare che, oltre ai buoni argomenti, in un negoziato conta la forza contrattuale. Nell’autunno del 2018, nonostante gli avvertimenti, l’Italia attraversava una situazione complessa con i mercati finanziari che scontavano un pericolo, del tutto inesistente ma avallato da alcune esternazioni improvvide, di intenzioni di uscita dall’Unione monetaria. Il negoziato riuscì ugualmente per i buoni argomenti, superando il pericolo di totale isolamento che avrebbe avuto ripercussioni negative sui mercati.

Quarto. L’Italia, dopo la recuperata fiducia dei mercati conseguente all’aggiustamento strutturale di bilancio effettuato in luglio, si è trovata in posizioni di maggior forza per affrontare il prosieguo dei negoziati sugli altri punti cruciali del pacchetto di riforme, quale quello, inaccettabile, del tentativo di introdurre una valutazione di rischio sui titoli sovrani detenuti dalle banche. Sarebbe quindi bene concentrarsi su questa ulteriore fase dei negoziati. Tuttavia, qualunque sia la decisione che verrà presa nella libera determinazione di governo e Parlamento, penso che senso di responsabilità dovrebbe sconsigliare di creare allarmismi infondati con un dibattito che, mentre si negozia duramente per evitare che si creino percezioni distorte sui rischi sovrani, rischia di innescare proprio quella percezione fuorviante che si vuole evitare. Si tratta di una trappola in cui sembrano cadere anche commentatori in genere avvertiti.

Vorrei, infine, far notare che il consenso manifestato dal Summit di giugno sul testo di accordo sul Mes non ha provocato alcun effetto sul mercato dei titoli sovrani i quali, in Italia, proprio in luglio hanno visto al contrario un ritorno di domanda estera e una caduta dello spread rispetto ai titoli tedeschi.

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