L’ANALISI

Metodo Consip da rilanciare

di Giorgio Santilli

4' di lettura

È ormai scontato che le inchieste giudiziarie e i loro riverberi politici porteranno a un ricambio in Consip. Al tempo stesso, la relazione sulla spending review promuove a pieni voti il «metodo Consip», gamba irrinunciabile della revisione della spesa.

È un mercato da 3mila miliardi di euro l’anno quello per la realizzazione delle infrastrutture nel mondo che diventa di 8mila miliardi se si comprende l’intero sistema delle costruzioni, con le abitazioni e l’edilizia produttiva, commerciale, terziaria. Un mercato che nel ventennio 2000-2020 è cresciuto in modo spettacolare, con un sostanziale raddoppio, dai 4.744 miliardi annui di inizio secolo agli 8.827 previsti per la fine di questo decennio. In questo universo, il peso delle infrastrutture è andato sempre crescendo, passando da una quota del 28,7% nel 2000 alla quota attuale del 33,3%, mentre si è andata drasticamente riducendo la quota per le abitazioni, dal 41,2% al 35 per cento. Una conferma - che arriva dai numeri del sistema informativo Cresme/Simco con cui l’istituto di ricerca monitora il mercato mondiale delle costruzioni - del ruolo che la “connettività” sta avendo nel nuovo sviluppo planetario. Operazione gigantesca di redifinizione delle mappe infrastrutturali globali.

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«La nostra griglia di infrastrutture oggi - afferma il geopolitologo indiano Parag Khanna nel suo celebre saggio “Connectography” - include approssimativamente 64 milioni di chilometri di autostrade, 2 milioni di chilometri di oleodotti e gasdotti, 1,2 milioni di chilometri di ferrovie, 750.000 chilometri di cavi Internet sottomarini che collegano i tanti centri nevralgici, per popolazione ed economia, del mondo. Al contrario - continua - abbiamo solo 250.000 chilometri di confini internazionali». E «secondo alcune stime l’umanità costruirà più infrastrutture nei prossimi quarant’anni che nei quattromila passati». Con una previsione di spesa annua, che secondo Khanna, toccherà entro il 2025 gli 8mila miliardi annui e dà il senso di dove vada il mondo se confrontata con i 1.750 miliardi di spesa globale annua destinata agli armamenti. «La competizione per la connettività sarà la corsa agli armamenti del XXI secolo», una partita giocata con il ruolo centrale della logistica e della supply chain.

In questo scenario di crescita tumultuosa e di relazioni che si intrecciano in un reticolo sempre più fitto a dispetto dei nuovi nazionalismi e dei neoprotezionismi, il G7 Trasporti organizzato dall’Italia oggi e domani a Cagliari rilancia una questione decisiva - insieme a quella tecnologica - per lo sviluppo globale e locale: la sostenibilità economica, sociale e ambientale delle infrastrutture.

Graziano Delrio ripropone con la scaletta del vertice ai colleghi ministri dei Grandi il «valore sociale» delle infrastrutture inteso in termini di impatti occupazionali (ma anche di eliminazione del dumping sociale, tema molto sentito in Europa per l’autotrasporto), di diritto universale alla mobilità o di strumento di integrazione nei fenomeni migratori. Ma nel discorso del ministro c’è un riflesso europeo (e nazionale): per superare il gap che ancora oggi separa l’Europa dal resto del mondo - la crescita del settore europeo è prevista nel 2016-2020 a un ritmo medio annuo del 2,2% contro il 4,4% dell’Africa, il 3% dell’Asia e il 2,9% del Nord America - c’è la necessità di riscoprire il valore dell’investimento pubblico, troppo spesso contrastato da Bruxelles e dalle capitali del Vecchio continente con politiche di austerity ottuse. Discorso rivolto certamente a Berlino e a Parigi in quella ricerca di una nuova Europa che punta maggiormente sullo sviluppo.

L’Europa deve tornare a correre e per farlo serve riscoprire la sostenibilità economica che significa realizzare le opere soltanto dove garantiscono migliori servizi per i cittadini. Non si dimentichi che le infrastrutture non devono essere altro se non “contenitori di servizi”. Bisogna riscoprire la sostenibilità sociale, quindi la possibilità di aumentare l’accessibilità fisica dei luoghi ma anche la possibilità che ha l’investimento pubblico di creare occupazione, lavoro, cultura, crescita. Perché l’Europa ha smarrito questa concezione dell’investimento pubblico trincerandosi troppo spesso dietro esercizi di contabilità fini a se stessi e non è certo il Piano Juncker la soluzione a questo limite. Infine bisogna riscoprire la sostenibilità ambientale per garantire una nuova fase dello sviluppo che punti a riqualificare il patrimonio esistente e a riorientarlo non solo verso e con le nuove tecnologie ma soprattutto verso un più ottimale uso delle risorse (anzitutto territoriali). Poco importa se si parla del vecchissimo parco italiano di bus pubblici o di patrimonio edilizio da riconvertire anche con il successo dei bonus fiscali sperimentati nel nostro Paese.

In altre parole, la sfida che Delrio porta a Cagliari è quella che gioca da due anni in Italia: umanizzare le infrastrutture per superare quel distacco, quella frattura, quella separazione che negli ultimi due o tre decenni si è registrata fra i cittadini, il lavoro, le esigenze della popolazione da una parte e il processo progettuale e costruttivo dall’altra. L’Alta velocità oggi come le autostrade negli anni ’60 offrono una rivoluzione del servizio che pure non è stata percepita mentre l’opera era in corso. Umanizzare è democratizzare con l’introduzione del dibattito pubblico, favorire la partecipazione dei cittadini e delle imprese alle decisioni, al monitoraggio, alla cooperazione. Umanizzare è ridare valore a una pianificazione che guardi solo allo sviluppo di servizi per i cittadini e per le imprese e al progetto che deve farsi carico e contenere le esigenze della domanda. Avvicinare l’offerta (con tutto il suo portato di innovazione tecnologica) alla domanda.

Difficile aspettarsi dal documento finale del G7 misure concrete. L’obiettivo è cominciare a tracciare una strada nuova che tenga insieme la grande corsa globale alla connettività con strumenti progettuali sostenibili e rigorosi, capaci di dare alla politica strumenti di decisione e ai cittadini il dividendo infrastrutturale che spetta loro.

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