Mi strapparono a mia madre e lei mi salutò dicendo: “Fai il bravo, a stasera”
La traduzione della video intervista a Salo Muller, oggi 84 anni, ebreo di Amsterdam, che perse i genitori ad Auschwitz. La storia della sua vita e la sua battaglia per la giustizia
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Marco Vigevani, presidente del Memoriale della Shoah di Milano, Daniela Dana Tedeschi, presidentessa dell'Associazione Figli della Shoah, e Maria Luisa Colledani, giornalista del Sole 24 Ore, dialogano in una video intervista con Salo Muller, autore del libro “A stasera e fai il bravo”.
Salo Muller, 84 anni, ebreo di Amsterdam, perde i genitori ad Auschwitz. Orfano, lo nascondono per tre anni ai nazisti. È sopravvissuto alla fame, alla disperazione, alle lacrime della guerra e dell'abbandono. Poi, è stato fisioterapista dell'Ajax di Johan Cruijff che ha cambiato la storia del calcio, e ora ha chiesto e ottenuto che le ferrovie olandesi risarciscano le vittime e gli eredi di chi con i treni è stato portato a morire nei campi di sterminio.
In questa video intervista ripercorre dunque la sua storia. Ecco la traduzione integrale.
MV: Questa è la storia di un ragazzino che sopravvive alla Shoah, nascosto dalla Resistenza. Penso che Daniela voglia porre alcune domande, specialmente riguardo all'esperienza di un ragazzino e al contesto di privazione della famiglia durante quegli anni e durante la Shoah.
DDT: Buonasera Signor Muller, è un piacere averla qui con noi questa sera
SM: Buonasera e grazie
DDT: Ho letto il suo libro con grande interesse. Penso sia un libro molto interessante e penso sia molto importante per i bambini e gli studenti leggere la sua storia. Leggendo il suo libro e la sua storia, ho visto il racconto della storia di un bambino di sei anni che ha dovuto affrontare momenti terribili durante la sua vita. La perdita dei genitori, il continuo cambiamento del luogo in cui vivere e delle persone con cui vivere, e in particolare penso che successivamente, da adulto, lei ha elaborato questi ricordi nel suo libro guardando alla “great picture”, al quadro più ampio della Shoah, non solo alla sua esperienza personale e penso che questa sia la forza del libro, quella di raccontare la sua storia personale nella grande cornice della storia della Shoah. Che memorie ha della sua infanzia e quale diritto pensa le sia stato più profondamente sottratto?
SM: Ora le racconto la mia storia. Per me il mondo inizia all'età di sei anni. Era il 1942. Un giorno mia mamma mi portò a scuola, mi lasciò e dal quel momento fui solo. Un bambino di sei anni ricorda tutto. Io ricordo tutto. Fu un momento terribile, per qualche giorno stetti con mia zia, la sorella di mia mamma, e mio zio, fu un periodo molto pesante per me. Dovevamo portare la Stella di David, la stella gialla, ogni ebreo in Olanda doveva farlo, per via delle Leggi di Norimberga con cui Hitler decise che ogni ebreo dovesse avere una lettera J di Jood (Giudeo) nel passaporto e portare la Stella Giudaica. Io ero un bambino di sei anni e ricordo che ogni giorno, sui vestiti che indossavo, c'era una stella gialla.Mia madre mi portò a scuola e andò al lavoro e lì era in corso una razzia, un rastrellamento: i soldati tedeschi presero lei e mio padre e li deportarono presso quello che chiamavamo “il teatro”, il teatro ebraico di Amsterdam. E la stessa sera, io ero con i miei zii, due soldati tedeschi vennero da noi e dissero: “Aprite la porta”, “Aufmachen”, in tedesco. “Razzia, tutti gli ebrei devono venire con noi, c'è il camion tedesco pronto qui sotto.” Mia zia disse: “No, non possiamo venire con voi, mia figlia è malata”, aveva la scarlattina. Il soldato tedesco rispose: “Ok, per ora rimanete a casa ma torneremo fra tre settimane a prendervi”. Nel momento esatto in cui stavano uscendo, mi videro, ero nascosto dietro la porta e subito il soldato disse a mia zia “Chi è questo bambino? Non è malato, deve venire con noi”. Lei spiegò che ero il figlio di sua sorella, ma loro dissero che non ero malato, che dovevo andare con loro. Così mi prese sotto il braccio, mi portò sotto e mi caricò sul camion. Quando fui giù vidi tutte le persone che piangevano, alcuni seduti su delle sedie; mi misero sul camion senza nulla, solo con i vestiti che indossavo, e andammo tutti al teatro e quando entrai nel teatro vidi sul palco mio padre e mia madre. Corsi verso il palco, volevo arrampicarmi, presi la mano di mia madre e lì, in quel momento, un'infermiera e due soldati vennero e mi strapparono ai miei genitori per portarmi dall'altro lato della strada, nell'asilo. Dovetti stare lì, in un piccolo letto di legno, per quattro giorni. Ero affaticato, e sentivo la mancanza dei miei genitori. Nello stesso momento in cui portarono me nell'asilo, portarono i miei genitori, e altre persone ovviamente, al treno per deportarli a Westerbork, un campo di lavoro dove rimasero per nove settimane e dopo nove settimane furono mandati con il treno ad Auschwitz. E lì furono uccisi. Mia madre il 10 febbraio e mio padre il 30 aprile. Non ho mai più rivisto i miei genitori. E le ultime parole che mia madre mi disse furono: “Fai il bravo, a stasera”.
DDT: E lei lo è, lo è stato, un bravo ragazzo
SM: Lo spero, ho fatto del mio meglio
DDT: Se posso vorrei chiederle, e penso anche gli studenti vorrebbero, quanto è stato difficile tornare alla vita dopo la fine del Mondo?
SM: Ho dovuto nascondermi presso nove indirizzi diversi, due ad Amsterdam, uno appena fuori Amsterdam poi nelle vicinanze e, gli ultimi due anni, sono stato nel Nord dell'Olanda, in Frisia. Avevo nove anni lì e nel mio decimo compleanno, nel 1946, la Guerra era finita. Durante tutto il tempo della guerra, non ho mai visto persone. Dovevo nascondermi tutto il tempo. Nei letti, nei seminterrati, nei pollai, e non ho mai visto bambini o famiglie, nessuno sapeva che ero in Frisia, dovevo nascondermi continuamente. E solo dopo la fine della guerra vidi per la prima volta altre persone. Il problema era che ero nascosto in una piccola fattoria, dove non c'era nulla. Avevo una stufa nella stanza, c'era una ruota ad acqua esterna, avevo un letto in una nicchia nel muro, dovevo lavarmi in una tinozza, prendendo l'acqua fredda da fuori, e questo fu per tutti i miei anni in Frisia. E ho un visto molte storie, ho visto un giovane uomo colpevole di aver detto al proprietario della fattoria che ero ebreo, minacciando di denunciarlo per ottenere denaro dai tedeschi, e così l'hanno ucciso con un forcone. L'ho visto con i miei occhi. C'erano storie terribili, ma almeno la guerra era finita. E in quel momento rimasi con loro, pensai che potevano diventare i miei nonni, perché erano anziani. Mi piaceva, parlavano frisone che non è olandese, è un dialetto. Mi diedero nuovi vestiti e per la prima volta tornai a scuola, con altri bambini. E mi piaceva.E tutto d'un tratto, un mattino, venne a prendermi il dottore e mi portò dall'anziana donna, andammo dalla beppe, la parola frisone che sta per oma (nonna) mentre zio si diceva omke. Loro cambiarono il mio nome in Jabkib, che significa piccolo Jacob. E il dottore mi disse “Devi seguirmi, abbiamo una sorpresa per te”. Ma non sapevo che sorpresa fosse. Non mi diedero mai un regalo, non festeggiavano mai il mio compleanno, il Natale, e allora lui mi disse “Vieni con me in macchina, andiamo dalla nonna per prendere il regalo”. Non avevo idea di cosa si trattasse. Entrai nella stanza con la nonna e il dottore e nella stanza c'era mia zia. Fu uno shock per me. Non la capivo, parlava olandese e allora io parlavo frisone, il mio dialetto. Non potevamo parlarci. Io piangevo, lei piangeva, fu molto emozionante. E quello fu il punto di partenza del mio nuovo inizio dopo la guerra. Ero molto malato, avevo asma, problemi alla spina dorsale, eczema.E quando tornai ad Amsterdam (non volevo, ma dovetti ovviamente) iniziai a vivere con i miei zii e mia nipote. Un giorno chiesi a mia zia “Nove volte ho dovuto nascondermi. Posso stare con voi?” e lei mi disse “Finché non troviamo tuo padre e tua madre, puoi rimanere” e poi ricevetti una lettera dalla Croce Rossa che confermava “Tuo padre è stato ucciso ad Auschwitz, tua madre è stata uccisa ad Auschwitz.” Rimasi scioccato, fu terribile. Da quel momento lei mi disse “Ascolta, io sono tua zia, lui è tuo zio, chiamaci mamma e papà”. Così ho avuto una nuova madre e un nuovo padre. Ed era ok. E ho riavuto il mio nome.
DDT: Salo e soprattutto Muller. Perché lei ha tenuto il suo cognome di famiglia. Loro l'hanno amata senza portarle via la sua identità. E questo è molto importante.
SM: Sì, loro avevano un altro cognome, il cognome di mia zia e mio zio era Mainicht. Il mio era Muller. Ma a me piace il mio nome, per via dei miei genitori.
MV: Al di là della sua storia personale, nel libro si racconta anche la storia del Collaborazionismo e della Resistenza in Olanda. L'immagine dell'Olanda che abbiamo e che abbiamo avuto per lungo tempo all'estero, a partire dalla tolleranza verso le religioni nell'età d'oro olandese, dal XVII secolo in poi, è quella di un paese tollerante e che ci fu una fiera opposizione al Nazismo. Ma la storia che lei racconta è che ci fu una fortissima collaborazione da parte della polizia e di parte della popolazione, ma anche una fortissima resistenza. Può dirci di più di questa storia di collaborazionismo e resistenza in Olanda?
SM: I tedeschi vennero in Olanda e il popolo in Olanda accettò i tedeschi, ovunque si vedevano soldati tedeschi, e di ogni ebreo, di tutti i centoquarantamila ebrei in Olanda di cui ottantamila ad Amsterdam, solo il dieci, quindici percento sopravvisse all'Olocausto. Il resto fu ucciso. Come fu possibile? Perché tutti i nomi e gli indirizzi degli ebrei erano archiviati in una cartoteca. In Belgio e in Francia non erano disponibili archivi con gli indirizzi degli ebrei. E questa è la ragione per la quale così tanti ebrei sono stati uccisi in Olanda e non in Belgio, non in Francia. L'80% degli olandesi era contro gli ebrei. Tutti, persino la polizia e l'amministrazione, aiutarono i tedeschi a prendere gli ebrei.
MV: Ma c'era una lunga storia di olandesi ed ebrei che convivevano pacificamente e che l'Olanda era un luogo di rifugio per molti ebrei dalla Spagna e da altri paesi. Perché d'improvviso così tanti olandesi iniziarono a collaborare con i tedeschi contro gli ebrei?
SM: Perché? E' molto facile spiegare quello che fecero i tedeschi. Era proibito agli ebrei prendere il treno. Non era consentito loro di andare agli zoo, di sposare uomini o donne non ebree, dovevano vivere in zone specifiche di Amsterdam. Le altre zone erano proibite agli ebrei. Se volevano comprare nei negozi, potevano farlo solo nei negozi ebraici. Quindi era molto facile perché in realtà gli ebrei erano concentrati in zone ebraiche di Amsterdam. E questa è la prima ragione. E, se posso dire, i soldati che trovavano un ebreo guadagnavano 7 guilde e 50 centesimi. Erano un sacco di soldi a quel tempo. Era molto difficile per gli ebrei rimanere vivi. Senza più amici, nemmeno i vicini di casa li aiutarono, fu un momento terribile. E come è potuto succedere? Non lo so esattamente, ma i tedeschi erano così violenti e così aggressivi se non li aiutavi a prendere gli ebrei che fu terribile.
MV: E la Resistenza? Perché non ci racconti anche della Resistenza e di come fu possibile portarti fuori da Amsterdam e se c'era una Rete della Resistenza?
SM: E' vero, c'era una rete ma era veramente pericoloso perché se i tedeschi sapevano che c'era un ebreo nascosto in una famiglia, non prendevano solo l'ebreo, ma tutta la famiglia e li mandavano nei campi di concentramento e quindi tu dovevi essere molto coraggioso se volevi nascondere un ebreo e molti non lo fecero sia perché i tedeschi davano piccole somme di denaro (per trovare gli ebrei nascosti) sia per la propria religione: infatti, se tu eri cattolico o protestante, ciò che volevi fare era dimenticare, e tanti ebrei furono abbandonati durante la guerra pur avendo un nascondiglio. Non era facile avere un nascondiglio. C'erano, se ricordo bene, 48 mila ebrei nascosti durante la guerra e alla fine della guerra ce n'erano solo 15 o 20 mila che si salvarono.
MV: E nel libro non hai parlato di una questione, ma c'era, tra un cattolico e un protestante, un atteggiamento diverso nel considerare gli ebrei? C'era una differenza nell'atteggiamento delle diverse chiese oppure era lo stesso?
SM: No, no, era diverso! Io sono stato sia con famiglie cattoliche che con famiglie protestanti e nella famiglia cristiana io dovevo pregare prima di andare a letto, prima e dopo cena…
MV: No, io intendo se i cattolici avevano un atteggiamento diverso dai protestanti verso gli ebrei…SM: o vuoi dire quello…, sì, i cattolici era meno pronti ad aiutare gli ebrei, i cristiani (protestanti) si comportavano meglio con le persone ebree perché, mentre nella chiesa cattolica nessuno diceva apertamente di aiutare gli ebrei, nella chiesa cristiana il pastore diceva alle persone la domenica mattina: “per favore cercate di aiutare gli ebrei, aiutate i vostri vicini, i vostri amici, e se sono ebrei cercate di aiutarli, non abbiate paura, dovete essere coraggiosi”
MV: Daniela, vuoi tornare alla storia personale di Salo?
DDT: Certo, è veramente emozionante leggere la tua storia e il fatto che noi possiamo davvero sentire la voce di un piccolo bambino di sei, sette, otto anni che attraversa quello che hai vissuto tu. Solo una domanda. Dov'è ora il tuo coniglietto di legno?
SM: Il coniglietto di legno adesso è esposto in una stanza
DDT: dove? Nel museo della Resistenza?
SM: In un museo, il Museo ebraico per i bambini
DDT: Vorrei chiederti poi che cosa vorrebbe dire oggi il piccolo Salo ai bambini? Che cosa vorrebbe dire il Salo di ieri, o forse il Salo di oggi, alle nuove generazioni, ai nuovi bambini, ai nuovi studenti che probabilmente incontri e con cui parli?
SM: Al momento è un po' difficile incontrarli a causa del Covid, ma normalmente tengo 20-25 lezioni a differenti scuole, scuole elementari, scuole superiori e qualche volta mi invitano a raccontare loro tutta la mia storia
DDT: E che messaggio vorresti dare a loro, alle nuove generazioni?
SM: Il messaggio è questo: se una persona vi aiuterà se sarete in una brutta posizione, questa persona ha il dovere di aiutarvi. E se tu sei il dottore giusto e hai le medicine giuste (per curare qualcuno) e vuoi farlo, puoi farlo, se lo vuoi fare, fallo. Non esitate a chiedere un aiuto e chiedete alle persone di aiutarvi. I miei genitori adottivi (il mio secondo padre e la mia seconda madre) mi hanno dato l'opportunità di studiare, ho fatto fisioterapia, mi piaceva. Io volevo inizialmente essere un dottore, ma la mia istruzione non era abbastanza per diventare un dottore, così ho studiato, fortunatamente ho avuto l'opportunità di studiare fisioterapia, ed è stata la cosa giusta per me.In quel momento, verso la fine della guerra, io ero molto stressato e avevo quasi una malattia mentale, perché tutto era nuovo per me, dovevo andare a scuola, dovevo imparare, dovevo stare seduto in classe, non mi era permesso parlare e vedere gli amici, avevo una ragazza, avevo degli amici e mi piaceva giocare a calcio e a tennis, ma no, non potevo perché ero grande, ho iniziato la scuola quando avevo 10 anni, normalmente si iniziava a sei. Fu un periodo davvero duro per me.
MV: Salo, forse eri come privato della tua vita fisica durante il periodo in cui eri nascosto e poi hai riscoperto il tuo corpo e probabilmente il fatto che tu sia diventato un fisioterapista famoso potrebbe avere a che fare col fatto che quando eri un bambino o un ragazzo non hai potuto muoverti, non hai potuto esprimere la tua attività fisica.
SM: Ti devo dire, durante la guerra, dopo un primo periodo con gli zii, miei genitori adottivi, io ero così spaventato che non potevo stare là con loro, quindi hanno deciso di mandarmi in Svizzera, per il mio passato, a Davoo. Andai prima in una casa a Lucerna, c'erano delle persone piacevoli, ebree, e all'inizio dovevo parlare il dialetto Friso, poi ricominciai a parlare Olandese con i miei genitori. E la lingua era il tedesco della Svizzera, era davvero difficile e fu un periodo terribile, mi mandarono prima a Lucerna e poi a Davoo e dovetti stare 5 mesi lontano e poi chiesi alla mia madre adottiva (mia zia) quando sarei tornato ad Amsterdam da loro. Non volevo andare via, volevo stare con loro e quello fu l'inizio di un periodo difficile della mia vita.
MV: Maria Luisa tu sei la persona che ha curato il libro e che ha reso possibile per i lettori italiani leggere la storia di Salo. La parola ora è a te, vogliamo sapere della tua esperienza di curatrice di questo libro e la storia dell'edizione italiana.
MLC: Grazie. Ho scoperto la storia quando Salo ha iniziato la sua battaglia contro le Ferrovie Olandesi ed ero veramente sorpresa di questa storia perché non avevo mai letto qualcosa di simile come una battaglia contro le Ferrovie, e questo era veramente importante e mi ha fatto nascere la curiosità di leggere il libro. Questa è la prima volta che incontro Salo, quindi potresti raccontarci come è iniziata la tua battaglia contro le Ferrovie Olandesi e che cosa è accaduto dopo?
SM: Ok, durante la guerra i tedeschi hanno aperto una banca, una banca d'affari, la Lippman Rosenthal, e tutti gli ebrei dovevano mettere là i loro diamanti, i soldi, ogni cosa che possedevano, i loro averi, e poi i Tedeschi li mandarono a Westerbrok. Il campo di Westerbrok fu costruito con i soldi ricevuti dagli ebrei: i tedeschi prendevano i soldi dalla banca, la Lippman Rosenthal Bank, e pagavano là tutti i fornitori che lavoravano al campo di Westerbrok, che così fu costruito. Tutte le persone, gli ebrei, che sono stati deportati ad Auschwitz, a Sobibor, a Dachau, a Mauthausen in treno hanno dovuto pagare il loro biglietto, non con i soldi nel portafoglio, ma le Ferrovie ricevettero i soldi dai Tedeschi, quei soldi che avevano preso dalla banca Lippman Rosenthal, i soldi degli ebrei. Tempo fa lessi un articolo sul giornale relativo alle Ferrovie Francesi che avevano pagato 60 milioni di dollari agli ebrei americani, così ho pensato: “Ehi, se lo hanno fatto le Ferrovie Francesi, perché non anche le Ferrovie Olandesi?” e ho iniziato a scrivere lettere al Ceo, al presidente e al direttore, e la risposta era sempre negativa perché sostenevano di aver già fatto abbastanza di aver costruito stazioni, di aver messo i fiori sulle strade per la festa del 4 maggio (in ricordo delle vittime della seconda Guerra Mondiale) e che questo per loro era sufficiente. E sì, qualcosa è stato fatto per la collettività e per tutte le generazioni degli ebrei, ma io volevo che restituissero i soldi alle persone e ai sopravvissuti dell'Olocausto. E dopo una causa con un bravo avvocato, essi finalmente risposero che avevo ragione e che avrebbero dato quei soldi, così pagarono 7.000 sopravvissuti alla guerra.
MV: Questo è particolarmente interessante perché noi abbiamo il Memoriale della Shoah a Milano, il posto dove è il memoriale di Milano è sottostante la Stazione Centrale ed è esattamente il posto dove i treni partivano: i treni erano riempiti di persone sottoterra e poi i vagoni erano elevati sui binari (attraverso un ascensore) e partivano per i campi di concentramento. Quindi il Memoriale è ospitato dalle Ferrovie Italiane, ma devo confessare che non so se c'è mai stata una class action italiana, chiedo a Daniela che forse ne sa più di me, c'è mai stata una class action dei sopravvissuti ebrei italiani contro le Ferrovie dello Stato? C'è stata, Daniela?
DDT: No, io non penso, non che io sappia.
SM: Allora la faccio io per voi!
DDT: che bel pensiero! Iniziamo!
SM: Sapete, in questo momento, io sto lavorando contro le Ferrovie tedesche. Fecero la stessa cosa con gli ebrei in Olanda, perché i treni in Olanda partivano da Amsterdam e finivano al confine tedesco-olandese. La seconda parte del trasporto era dal confine olandese ai campi, quindi quella parte era anch'essa pagata dagli ebrei, gli ebrei hanno pagato i tedeschi per andare ad Auschwitz, per andare a Sobibor, quindi sto lavorando con le Ferrovie tedesche. Io spero alla fine allo stesso modo di vincere esattamente come con le Ferrovie olandese.
MV: Questo è veramente coraggioso da parte tua…
DDT: veramente entusiasmante…
MV: Noi dobbiamo ricordarci che nella più grande storia della Shoah, Raul Hilberg ha iniziato la sua grandiosa ricostruzione storica precisamente dalle Ferrovie, che è proprio l'inizio del suo libro “La storia della distruzione degli Ebrei d'Europa”, quindi io penso che questo sia realmente il nucleo della storia della deportazione. Maria Luisa, questa è la prima volta che incontri Salo di persona?
MLC: E' la prima volta e io sono veramente emozionata perché per me è davvero una lunga storia, sono due anni che aspetto di vedere il libro tradotto in Italiano e quindi sono veramente contenta.
SM: Davvero grazie lei è molto gentile con me, io le sono profondamente grato per tutte le cose che ha fatto e le parole che ha detto per me.
MLC: Ho presentato subito il libro ai miei amici e colleghi dei giornali sportivi, perché penso che la tua storia debba ispirare molti giovani, perché la tua lotta contro le Ferrovie, la tua storia nello sport, la tua storia di sopravvissuto, molta parte della tua vita che è davvero interessante. Mi piace la tua storia.
SM: Grazie, grazie
MV: Maria Luisa, Salo, noi non abbiamo ancora svelato una parte importante della vita di Salo, che è il suo periodo nell'Ajax. Chi vuole raccontarci di più? o Maria Luisa vuoi fare tu delle domande a Salo perché questa è davvero un'importante parte della sua vita, Salo è davvero una grande figura nel panorama sportivo in Olanda.
MLC: Tu eri nella migliore squadra di calcio in Europa in quel periodo, negli anni Settanta l'Ajax era esattamente il team più forte d'Europa. Che tipo di sport, che calcio insegni tu e quale è stato il momento migliore del periodo in cui sei stato nell'Ajax?
SM: così tanti momenti… io iniziai con il mio professore di scuola, che era già fisioterapista dell'Ajax. Durante le lezioni egli si accorse che ero in gamba, in particolare nei massaggi, e mi chiese di andare con lui a occuparmi dei ragazzi e dei giocatori e io lo aiutai nei massaggi. Dopo questo primo periodo, egli disse che era abbastanza per lui e voleva ritirarsi, e mi chiese se io volevo restare. Gli risposi che naturalmente volevo restare, ero un ragazzo di Amsterdam e mi piaceva l'Ajax e quindi io nel 1961 diventai il fisioterapista dell'Ajax. A quel tempo era un posto normale, divenne invece il migliore negli anni Settanta con l'allenatore Michels, egli fu l'allenatore per otto anni con me. Noi ne facemmo il miglior posto, il miglior team, e arrivarono Johan Cruyff, Piet Keizer, Sjaak Swart, Bennie Muller, e vincemmo ovunque in Europa. Per sei volte abbiamo giocato in Italia, contro Milan, Juventus, Napoli.
MLC: cosa ricordi del nostro paese?
SM: La prima cosa che ricordo è la lingua, amo la vostra lingua, è bella come una canzone che risuona quando mi parlano. Mi piace la gente e mi piace il cibo, mi piace tanto il cibo. E non sempre i giocatori italiani, ma hanno il cuore e l'attacco e la difesa, questo non è stato un bene per l'Ajax! Io amo quei tempi.
MV: Ma poi perché la tua love story con l'Ajax è finita così bruscamente, perché?
SM: Ti dico cos'è successo. In quel tempo ho conosciuto una bella ragazza, una ragazza ebrea di Amsterdam, lei viveva a Toronto, in Canada. Quindi ci siamo sposati, abbiamo avuto due bambini e un giorno lei mi disse: “Tu lavori 60 ore alla settimana, ma noi non abbiamo abbastanza soldi, dobbiamo avere più soldi per vivere” e allora siamo andati da un consulente finanziario che mi ha detto: “Salo, lo sai, non guadagni abbastanza, il tuo salario è 2 gilde e 75 centesimi per un'ora, non è sufficiente, il tuo salario è pari a 000”. Allora il consulente scrisse una lettera all'Ajax spiegando: ” Salo Muller vuole stare nel vostro club naturalmente, ma lui vuole essere assunto”. Perché io ero nell'Ajax e guadagnavo qualcosa alla fine del mese, ma non ero assunto come un impiegato della squadra e io ribadii che mi sarebbe piaciuto essere assunto, ma i dirigenti mi risposero di no, perchè gli impiegati all'Ajax avevano anche i benefits, avevano molte cose oltre allo stipendio. Mi dissero che ero molto importante per la loro squadra, ma non potevano assumermi. Allora gli dissi che ero costretto a dimettermi perché avevo una famiglia, avevo dei figli, avevo una moglie. E così iniziai la mia pratica di fisioterapista privato. Ed è stata la migliore cosa al mondo che abbia fatto, avevo uno studio famoso e noto. E tutti gli sportivi famosi, i giocatori di hockey, i giocatori di basket, i nuotatori, tutti venivano al mio studio.
MV: Salo, chi è la voce che non possiamo vedere al di fuori dello schermo, che ti suggerisce alcune parole? Di chi è la voce? Sentiamo una voce!
SM: Non ho capito… ah! E' la mia bella moglie!
DDT: Lady Connie!
LC: Sì, piacere!
ALL: Piacere!
MV: Conosciamo la sua storia dal libro, ma è un piacere conoscerla di persona!
LC: Grazie molte! Continuate con lui!
DDT: Vorrei chiedere qualcosa a Salo se posso… Io lavoro nell'Associazione Figli della Shoah e gli argomenti legali sono veramente importanti. Quando decidesti di raccontare la tua storia, perché e quando lo decidesti?
SM: Ho ricevuto una telefonata dal Museo della Shoah. C'era un progetto di Steven Spielberg, il progetto della Shoah, con le persone che raccontavano la Shoah registrando un video per Spielberg. Io risposi che non avevo mai raccontato la mia storia, nella mia famiglia non parlavano mai della Guerra, non si parlava della guerra perché mia zia e mio zio avevano perso tutta la loro famiglia e quindi non si voleva parlare della Guerra. E così io risposi che mi sarebbe piaciuto parlare della mia storia e mandai il video a Spielberg e ricevetti una lettera, non da Spielberg ma dalla sua organizzazione, che diceva che la mia storia era davvero importante e che dovevo cercare di scrivere un libro su di essa. Ed è quello che ho fatto!
DDT: e noi la ringraziamo tutti per questo!
SM: grazie a voi per quello che state facendo per il mio libro. Grazie!
MV: Non so se ci sono altre domande, comunque noi saremo veramente felici di accoglierla quando questo Covid finirà, speriamo presto, noi saremmo veramente felici se Salo verrà a trovarci a Milano e assaggerà del buon cibo italiano e sentirà un po' di parole italiane. Saremo veramente felici di accoglierlo nella nostra città.
SM: Grazie, grazie davvero e faccio una promessa. Se sarà possibile per me e mia moglie, noi verremo a trovarvi a Milano, perché mi piace Milano, molto!
MV: E noi saremo davvero felici di accoglierti!
MLC: E grazie per il tuo libro e per la tua vita!
SM: Grazie e scusate per il mio cattivo inglese, ho fatto del mio meglio!
ALL: Era perfetto!
SM: Grazie! A presto!
ALL: A presto!
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