Michele Spina, chi è il supercommissario che ha creato il modello Scampia
Ha smantellato le piazze di spaccio guadagnandosi la fiducia dei residenti. Il nuovo questore di Napoli lo indica come esempio da seguire. E ha ispirato l’ultimo libro dello scrittore Daniele Sanzone, filosofo rapper degli ’A67
di Donata Marrazzo
I punti chiave
- Dall’occupazione militare dei camorristi al risanamento
- Madre dolore, la Scampia di Daniele Sanzone
- Michele Spina, il supercommissario di Scampia
- Le Vele, da sette a tre
- La logistica criminale
- L’operazione Murena
- Spina, bisogna studiare i territori, poi adottare la strategia
- Sanzone, serve lavoro e cultura
5' di lettura
Come ha fatto Scampia a togliersi di dosso lo stigma di piazza di spaccio più grande d’Europa? Com’è riuscita ad andare oltre la narrazione di Roberto Saviano che con il suo best seller Gomorra, cui è seguito il film di Matteo Garrone e l’omonima serie televisiva trasmessa da Sky, ha raccontato le attività criminali che la camorra svolgeva sul territorio? Come ha potuto diventare un modello di risanamento e controllo di un’intera periferia, tanto da essere indicata dal nuovo questore di Napoli Maurizio Agricola come esempio da seguire per il Parco Verde di Caivano?
Dall’occupazione militare dei camorristi al risanamento
Contro l’occupazione militare dei camorristi ci sono voluti anni di pattugliamenti, indagini, blitz, arresti, di «prevenzione esecutiva», per citare le parole del commissario di Polizia Michele Spina che per primo è riuscito a smantellare a Scampia il mercato della droga. Con l’appoggio della rete delle associazioni impegnate nel contrasto alla criminalità, di preti di strada e cittadini comuni. Più recentemente hanno dato un input positivo anche le iniziative di Restart Scampia, progetto che ha finanziato, nell’ambito del Patto per lo sviluppo della Città Metropolitana di Napoli, il completamento di alcune opere edilizie, con l’inaugurazione, un anno fa, di alcuni corsi della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Federico II. Ma la rigenerazione di una periferia degradata e infiltrata dalla criminalità è un processo lungo e mai definitivo. La sorveglianza speciale del territorio continua, mentre il governo prima taglia i fondi del Pnrr per la riqualificazione (150 milioni di euro, comprese le risorse per le periferie, fondi europei e Pon Metro), poi rassicura sulle coperture: dovrebbero rientrare nel decreto Recovery di novembre.
Madre dolore, la Scampia di Daniele Sanzone
In ogni caso, negli anni è cambiata la visione del territorio, è emersa un’altra idea di Scampia, rielaborata anche in chiave culturale dal filosofo rapper Daniele Sanzone, frontman della band ’A67, autore di “Madre Dolore. La prima inchiesta del commissario Del Gaudio” (Les Flâneurs Edizioni), in cui restituisce al suo quartiere una dimensione di normalità, lasciando ai margini i fatti di camorra, «che è proprio quello di cui Scampia oggi ha bisogno», afferma Sanzone. Al centro della storia, il suicidio di una donna, su cui indaga Mirco Del Gaudio, ex pugile, nuovo, fascinoso, inquieto protagonista del “noir mediterraneo”, che trasporta lo scrittore napoletano nel solco di Jean-Claude Izzo e Manuel Vazquez Montalbàn: «Amava l’aria che si respirava di notte a Scampia, la solitudine che provava nel correre su quegli stradoni deserti illuminati male dalle luci gialle dei lampioni. Per l’Italia quel labirinto di strade tutte uguali rappresentava il male assoluto, un male familiare che combatteva prima dentro di sé e poi fuori». A ispirare Sanzone è stato proprio Michele Spina, con cui l’autore ha stretto negli anni un forte sodalizio.
Michele Spina, il supercommissario di Scampia
«Beh, con alcune differenze - sottolinea il commissario, in pensione da qualche settimana - Sicuramente io non mi faccio gli spinelli. E non pratico la boxe, sono cintura nera di Judo», precisa ridendo. Dal 2007, per sei anni, Spina ha dato il tormento ai clan: la sua attività non si svolgeva in ufficio, ma per strada. «Prima mi sono guardato intorno, ho cercato di capire come funzionava il sistema, tra le piazze di spaccio del lotto G, quelle del TA e TB, le Case dei puffi del lotto P, così denominate perché costruite male, troppo basse per starci dentro, e le Vele. Poi, con i miei uomini, sono entrato in azione».
Le Vele, da sette a tre
Le Vele, in cui sono stati ambientati romanzi, film e serie televisive che hanno spettacolarizzato tutto il male che c’era, cancellando però anche il buono che nel quartiere veniva realizzato, sono diventate il simbolo del degrado di Scampia: erano sette e nelle intenzioni dell’architetto Francesco Di Salvo, che le ha progettate negli anni ’70, avrebbero dovuto essere il più grande complesso di edilizia economica e popolare del Sud realizzato con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno. Una risposta al disagio abitativo della periferia Nord di Napoli, secondo la visione urbanistica di Le Corbusier: la casa come una “macchina da abitare”, con appartamenti e spazi per la vita in comune. Di fatto, si sono trasformate in un ghetto. Oggi ne restano tre (in attesa di essere abbattute), le altre sono state demolite.
La logistica criminale
«Una mattina – ricorda Spina - mi sono imbattuto in una donna anziana, con le sporte della spesa, che non poteva entrare nel suo condominio perché i pusher avevano chiuso il portone dall’interno. Erano cancelli di ferro montati dagli spacciatori, per cui i residenti, per raggiungere il proprio appartamento, dovevano bussare, farsi riconoscere e passare accanto ai tossici in fila per l’acquisto di una dose. Alcuni abitanti, sotto minaccia, ma adeguatamente ripagati, in caso di blitz, erano costretti a nascondere i criminali oppure la droga o le armi. Quella volta, per consentire alla signora di entrare, io me ne sono andato, ma ho capito - continua il commissario - che dovevamo agire scardinando la loro logistica. Non c’erano solo i cancelli, ma anche dossi per rallentare l’arrivo delle nostre pantere, muri e scantinati adibiti a stanze per il buco, visto che lo spaccio era prevalentemente di eroina. C’erano anche gabbie con i pitbull, perché i cani contribuivano con i loro latrati ad allertare gli spacciatori. Insomma, per muoversi con maggiore facilità, costruivano delle vere e proprie infrastrutture. Quando noi venivamo intercettati, le vedette gridavano “Vattè” e i pusher chiudevano i cancelli».
L’operazione Murena
L’operazione Murena nel luglio del 2011 ha portato all’arresto di 30 persone: «Tutte in un colpo solo. Avevamo le telecamere e uomini nascosti anche sui pianali degli ascensori». Nel 2013 le piazze di spaccio di Scampia non esistevano più, la gente aveva stabilito un rapporto di fiducia con le forze dell’ordine e aveva cominciato a denunciare. Chi è venuto dopo Michele Spina, da Cristiano Tatarelli a Bruno Mandato, ha continuato a muoversi seguendo la sua tattica. Alcuni gruppi criminali si sono trasferiti a Caivano. Ma chi è rimasto ha tentato di rimettere in piedi lo spaccio. Così alcune piazze sono tornate operative, sfruttando anche i social.
Spina, bisogna studiare i territori, poi adottare la strategia
«Non so se il mio metodo possa essere realmente replicabile a Caivano - spiega Spina - bisogna stare sul posto, scoprire quali siano i punti di vulnerabilità del sistema criminale. Solo dopo si può studiare una strategia. Ed è necessario avere dalla propria parte la comunità. A Scampia più dell’80% delle persone è gente perbene. E noi ci siamo mostrati onesti, leali e rispettosi della dignità di tutti, anche di chi veniva arrestato. Questo il territorio lo ha percepito».
Sanzone, serve lavoro e cultura
«L’ho capito anch’io. Prima li guardavo con diffidenza - ammette Sanzone - poi ho compreso il senso di quello che stavano facendo. Era il bene di Scampia, dei fragili, dei diseredati. Per questo mi sono avvicinato a Michele Spina. E forse anche per questo ho scritto un libro mettendomi nei panni di chi un tempo non avrei mai voluto essere. Oggi Scampia è una realtà diversa, comunque complessa, in cui operano tantissime associazioni. Non ha bisogno di semplificazion,i né di luoghi comuni. Qui serve cultura e lavoro. A nessuno piace vivere nell’illegalità. Ma se ti fanno credere che Scampia è solo racket, rapine, prostituzione e droga, il rischio è che alla fine ti adegui».
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