Microbrand globali che vengono dal passato. E rinascono in rete
di Giampaolo Colletti
2' di lettura
Un’impresa impossibile da realizzare, gli dicevano. Eppure Paolo Santoprete, imprenditore gelatiere 43enne, non si è mai arreso. Oggi è a capo dell’Antica Gelateria Matteo, azienda artigianale alla terza generazione, aperta dal nonno della moglie. Paolo ha pensato vent’anni fa di vendere online il gelato grazie al ghiaccio secco. Il primo test è del 1999. Un ecommerce prima dell’e-commerce: «Iniziammo quasi per scherzo e arrivarono i primi ordini». Oggi Antica Gelateria Matteo tra stabilimento e punto vendita conta 25 collaboratori per un fatturato di oltre un milione di euro e ogni anno produce 60mila chili di gelato in vaschetta e 180mila chili di fruttini gelato. «È la nostra specialità: frutta ripiena di gelato, ovvero frutta fresca svuotata e riempita di gelato fatto con la stessa polpa del frutto». Lo stabilimento è a cinque chilometri da Baronissi, nel salernitano: quattrocento metri quadrati di laboratorio in open space con produzione propria e celle di stoccaggio della merce.
A ripensare il proprio lavoro è stata anche Claudia De Davide, 45enne archeologa a capo di Akhet. Dalla Valle d’Aosta col team di archeologi studia la terra per capire il passato, ma adottando le tecnologie del futuro, quelle che consentono analisi predittive. Perché questi professionisti negli scavi adottano scanner, droni, software: «Applicando metodi statistici si può ridurre l’impatto ambientale, concentrando l’intervento dove ne vale davvero la pena».
Competenze verticali che vanno oltre il tempo, rendendo contemporanei i mestieri del passato. A Torino la 30enne Paola Fagnola ha ripensato la legatoria di famiglia nata nel 1955 nel centro storico. Ad eccezione del papà la squadra è al femminile ed è composta da una decina di professioniste. La bottega si sviluppa su due sedi e il laboratorio è di trecento metri quadrati: «Non si tratta di uno spazio buio e polveroso, ma di un luogo importante per lavorare e anche per incontrare». Qui si organizzano workshop e in questo modo il dialogo col cliente si trasferisce dalle piattaforme digitali a quelle fisiche. E la legatoria diventa un luogo di confronto con la comunità.
Perché in fondo è nella rete territoriale, che diventa anche virtuale, la chiave per interpretare queste imprese dei wwworkers disseminate per tutta Italia. Si tratta di artigiani e piccoli imprenditori che ripensano il made in Italy grazie alle tecnologie. E così la vendita diventa grande quanto il mondo intero perché verticalizza l’offerta, segmenta la clientela, specializza le competenze, operando per nicchie ad alto valore aggiunto. «Le grandi aziende dovranno ripensare il modo di lavorare e trasformarsi guardando a queste piccole e agili realtà», ha dichiarato poche settimane fa al Financial Times Matthew Meacham di Bain & Company. Ecco allora botteghe, sartorie, laboratori che puntano sull’unicità e sulla territorialità, promuovendosi ovunque grazie a rete e social media. Sono i global microbrand, secondo la definizione coniata dal pubblicitario inglese Hugh MacLeod. Radici sul territorio, arrivando dappertutto.
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