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Microcredito in Russia, risparmiatori italiani nella trappola di Zaim

Dal prestito di 30 milioni al piano per l'Ipo a Londra alla liquidazione dell'asset: la vicenda Zaim Credit System e l'investimento polverizzato

di Laura Galvagni

(michaklootwijk - stock.adobe.com)

4' di lettura

Microcredito in Russia. Su questo avevano investito parte dei loro denari, qualche anno fa, vari risparmiatori italiani che ora si ritrovano all’improvviso con un pugno di mosche in mano. E tutto questo non tanto per gli effetti devastanti della guerra scatenata da Mosca in Ucraina, che tutto ha rimesso in discussione, ma per un gioco di specchi che, sostanzialmente, ha fatto scomparire l’asset su cui avevano scommesso. Ora, però, quegli stessi risparmiatori vogliono provare ad uscire dalle secche. E il primo passo è stato mettere nero su bianco quanto accaduto presentando un esposto alla Fca, l’autorità di vigilanza inglese, e anche alla sezione market abuse dell’Lse. Perché l’asset in questione era la partecipazione chiave di una società quotata all’Aim di Londra, Zaim Credit System, sulla quale il gruppo di investitori italiani aveva puntato le proprie fiches.

Il piano di espansione

Per capire meglio la vicenda è indispensabile partire dall’inizio. JSC Nokssbank, istituto di credito russo, qualche anno fa ha deciso di dare ulteriore spinta al mercato del microcredito mettendo in atto un ambizioso piano di espansione di una realtà di cui era il principale azionista. Per farlo, con il supporto di Siro Cicconi, attuale ceo di Zaim Credit System, ha raccolto 30 milioni di mezzi freschi tramite il collocamento di un prestito a investitori privati, tra questi gli stessi italiani che hanno poi partecipato anche al secondo step di questa operazione. Con i denari raccolti l’istituto ha aperto circa 300 filiali Zaim Express.

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L’ampliamento del business, siamo più o meno nel 2017, però non ha funzionato e la banca si è trovata con la necessità di ristrutturare il debito. E qui entra nuovamente in scena Cicconi, vecchia conoscenza dell’istituto russo nonché anello di congiunzione con il gruppo di investitori italiani. Di fatto il manager ha proposto di rilevare Zaim Express a zero, e di farsi il carico del debito (30 milioni) avviando una ristrutturazione completa dell’attività: filiali chiuse a favore di una totale digitalizzazione del business. Un riassetto che è partito da Zaim Holding (società su cui è stato scaricato il debito da 30 milioni) che a sua volta si è ritrovata con il 100% di Zaim Credit System, socia unica di Zaim Express.

LE IPO DI PIAZZA AFFARI
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La quotazione

Il passo successivo è stato quotare, tramite aumento di capitale, sul mercato Aim di Londra il 30% di Zaim Credit System. Collocamento al quale hanno partecipato gli stessi investitori italiani che avevano sottoscritto parte del debito. In tutto sono stati raccolti circa 3 milioni di euro che sono poi stati messi a disposizione della società per sostenere il debito della controllante e favorire il business. Le cose sembravano funzionare. Al punto che stando all’ultima semestrale disponibile, giugno 2022, Zaim Express, come emerge dall’esposto, registrava un utile semestrale di oltre 1 milione di sterline con un patrimonio netto di 6,5 milioni di sterline. E la controllata Zaim Credit System capitalizzava 11,5 milioni di sterline.

Lo stop

Il 28 settembre 2022, però, Zaim Plc ha chiesto la sospensione della quotazione «in attesa di istruttoria sul controllo di Zaim Express consapevole di una discrepanza in merito alla titolarità del capitale sociale e riscontrando un mancato effettivo controllo operativo su Zaim Express».

Che cosa è successo? Secondo quanto sono riusciti a ricostruire gli investitori italiani anche grazie al supporto dello stugdio legale Pavia e Ansaldo, di fatto la perdita delle quote sarebbe la conseguenza di un contratto di finanziamento stipulato da Zaim Credit con la russa JSC Nokssbank. Tale contratto di finanziamento era garantito da pegno costituito dal 100% delle quote di Zaim Express. Sulla base di un presunto inadempimento di tale debito, il credito è stato ceduto ad un terzo che ha fatto rispettare il pegno privando Zaim Credit dei propri beni.

L’importo del prestito non eseguito era di circa 400.000 sterline.

Per non ripagare 400 mila di sterline dunque, che potevano essere liquidate utilizzando le risorse in pancia all’asset russo, si è preferito far andare in default l’esposizione facendo scattare il pegno e privando la società quotata dell’unico bene in portafoglio.

«Ci troviamo di fronte a un improvviso annichilimento del patrimonio di una società quotata, attraverso un’unica operazione finanziaria che appare incongrua nella sua natura e disastrosa nel suo esito. Tale operazione è stata stipulata dal cda di Zaim con una banca in rapporti d’affari sia con la Zaim (in quanto precedente proprietaria) sia con gli amministratori di Zaim (impegnati in primis nel finanziamento della società quando controllata da Nokssbank e successivamente nella sua ristrutturazione attraverso la quotazione all’Lse)», è scritto nell’esposto che precisa ancora «segnaliamo quanto sopra nell’ottica del suo ruolo di supervisione sulle attività di negoziazione nei mercati finanziari regolamentati. Richiamiamo inoltre la Vostra attenzione sul caso stante la Vostra funzione di vigilanza sui Sindaci di società quotate, qualora emergesse una carenza di audit sulla custodia delle azioni possedute da Zaim Credit e delle relative informazioni di bilancio».

A questo punto la palla è nel campo della Fca per le necessarie risposte.

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