maESTRI DELL’ARCHITETTURA

Mies, architetto da fumetto

di Fulvio Irace

Una delle tavole della biografia a fumetti di Ludwig Mies van der Rohe realizzata dello spagnolo Agustín Ferrer Casa

4' di lettura

Il 2019 coincide col centenario della nascita del Bauhaus, la scuola d’arte, design e architettura di cui Walter Gropius fu fondatore e primo direttore. Ma coincide anche con il cinquantenario della morte di Ludwig Mies van der Rohe, che del Bauhaus fu l’ultimo direttore: dal 1930 all’11 aprile 1933 quando l’irruzione della Gestapo nell’ultima sede a Berlino, ne decretò la chiusura.

Molte mostre, convegni e pubblicazioni affollano l’agenda del turismo culturale attorno al Bauhaus; scarseggiano invece manifestazioni d’interesse per la figura di Mies, di cui però si sono singolarmente occupati però il cinema( con un film promosso da Rai Cultura) e l’illustrazione , con la graphic novel dello spagnolo Agustín Ferrer Casa, presentata il 6 aprile nel padiglione tedesco di Barcellona di cui ricorre, tra l’altro, il 90° anniversario.

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Nato ad Aquisgrana nel 1886, Mies aveva 47 anni quando nel 1929, sull’onda del successo del quartiere del Weissenhof a Stoccarda, fu incaricato dal governo tedesco di costruire il padiglione nazionale all’Esposizione internazionale di Barcellona: un’opera che rivoluzionava il concetto di spazio proponendo una versione radicale di quell’«abitare liberamente» che era stato il motto del quartiere di Stoccarda di cui due anni prima era stato il regista indiscusso.

Era dunque al termine di una maturità coronata da riconoscimenti significativi e da opere considerate oggi come tra le più rappresentative della fase eroica della saga razionalista. Dal grattacielo(irrealizzato) per il centro di Berlino alla casa Tugendhat a Brno(oggi magnificamente restaurata e assunta al rango di landmark universale), Mies aveva esplorato le potenzialità e le ambiguità del vetro e dell’acciaio come materiali di una nuova civiltà del costruire, di cui il padiglione per Barcellona fu una tappa determinante. Al punto che, nel 1986 se ne promosse la ricostruzione integrale a partire dalle sole tracce dei suoi esili pilastri di metallo: una resurrezione post mortem che implicava la sua ascensione nell’Olimpo degli immortali.

Anche lui, però, dovette fare i conti con la repressione del nazismo: anche se, diversamente dai sodali della rivoluzionaria scena tedesca, tardò sino al 1938 per emigrare in America, dove si stabilì a Chicago avviando una straordinaria carriera all’insegna di un successo internazionale. Negli USA Mies trovò la sua seconda patria, innestando nel mondo professionale statunitense i germi di quello spirito europeo pomposamente (alle orecchie americane) identificato con un hegeliano “spirito del tempo”. Il che non gli impedì di dettare le regole di un modello abitativo – il grattacielo di acciaio e vetro- che innestava nella dittatura del capitalismo avanzato l’inatteso principio dello spiritualismo medievale di Tommaso D'Aquino, quello per cui «la verità è la corrispondenza tra la cosa e l’intelletto».

Il racconto a fumetti di Ferrer Casa è costruito secondo uno scaltro storyboard che immagina l’architetto in viaggio da Chicago a Berlino – l’ultimo provvisorio ritorno in patria – sul cantiere del suo testamento materiale: la Neue National Galerie, di cui si completa quest’anno il paziente restauro da parte di David Chipperfield per la riapertura nel 2020.

Una biografia romanzata – ha spiegato l’illustratore spagnolo – basata su numerosi scritti e frasi dell’architetto e romanzata «perché con questo libro ho cercato di rappresentare non solo una parte del suo lavoro, ma la sua stessa vita, la sua personalità . Ciò che insomma l’ha reso un grande architetto e ciò che ha lasciato dietro la sua ambizione a costruire».

Introdotto da una insipida presentazione di Norman Foster, il libro si raccomanda, come è ovvio, per la qualità della rappresentazione grafica , sostenuta da una accanita lettura della storia e delle sue interpretazioni e drammatizzata per tagli , salti cronologici e scelte figurative che cercano di convogliare l’estetica del momento e il dramma umano nascosto tra le pieghe delle architetture.

Nel volo verso Berlino, Mies fa un bilancio della sua vita e dei trascorsi bellicosi di un secolo breve, ma guerriero, raccontando al nipote – l’architetto Dirk Lohan- i retroscena del suo pensiero e le verità umane di una folla di amanti, clienti, collaboratori amici, avversari, progetti.

Una vita intensa riassunta nelle nervose sequenze delle tavole a fumetti: la storia trascolora nella fiction con un indubbio effetto di nervosa attrazione che si avvantaggia della fascinazione che gli architetti moderni – a partire da Corbusier - nutrirono per i new media del ’900, il cinema e i comics, al punto da assumerne il tono declamatorio e pubblicitario tipico della prosa corsara di chi si credeva all’arrembaggio del nuovo mondo.

L’esperimento non è nuovo – basti pensare al Le Corbusier architecte parmi les hommes del 2010 e al recente “L’attrazione di Lucas Harari , omaggio in forma di thriller all’opera di Peter Zumthor - e neanche privo di interesse per i modi insoliti della narrazione. Ma non dissipa il dubbio che forse la storia, alla fine, sia più intrigante della sua sintesi per fumetti: la necessità di semplificare per drammatizzare funziona solo se al servizio di una forte idea. Altrimenti corre il rischio mortale di diventare come la didattica dei “Bignami”. Una sintesi sbrigativa che nasconde una sostanziale aridità dietro la brillantezza dei colori e delle figure.
Mies, Agustín Ferrer Casa, Grafite Editorial, pagg. 176, € 25

Riproduzione riservata ©

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