Migliora la salute delle supply chains, ma è un segnale di recessione globale
In un momento di tempesta mondiale, un segnale positivo sembra arrivare dal monitoraggio dello stato di salute delle catene di approvvigionamento
di Marcello Minenna
6' di lettura
In un momento di tempesta per l'economia mondiale, un segnale positivo sembra arrivare dal monitoraggio dello stato di salute delle catene di approvvigionamento (le supply chains), che sono le arterie pulsanti dell'economia globale.
Dopo un 2021 di enorme pressione sugli hub infrastrutturali di distribuzione merci, il 2022 si sta caratterizzando per una rapida normalizzazione dei fenomeni. Le code in entrata/uscita dai grandi porti, i tempi di consegna fuori controllo ed i costi di trasporto in crescita esponenziale causati dall'improvvisa fiammata della domanda globale che ha seguito i lockdowns generalizzati stanno sparendo dai radar di imprese e policy makers. Ma è realmente una buona notizia, o si tratta di un segnale che qualcosa si è inceppato negli scambi internazionali?
L'indice Global supply pressure (Gspi) è stato elaborato dalla Federal reserve di New York proprio per monitorare l'esplosione di questo fenomeno nel periodo di ripresa economica post-pandemica e tiene conto di fattori multipli e diversificati come costi, tempi e livelli di congestione delle infrastrutture. Dall'analisi dell'andamento di questo indice nel tempo (vedi il grafico), si osserva con un discreto colpo d'occhio la magnitudo dello stress imposto alle supply chains tra il 2020 ed il 2021 rispetto alla media storica degli ultimi 25 anni.Il picco della pressione sembra essere stato raggiunto a dicembre 2021 e da allora si osserva un trend di veloce ridimensionamento, che ha superato indenne anche lo shock energetico indotto dalla guerra russo-ucraina e la compromissione dell'approvvigionamento di commodities primarie (gas naturale in primis) che si collocano a monte (upstream) di molte filiere produttive. I livelli restano comunque ancora piuttosto elevati rispetto al periodo pre-pandemico.
Analizziamo in dettaglio i fattori determinanti di questa particolare dinamica, cercando di comprendere le cause sottostanti.
Il crollo dei costi di noleggio container
Nel 2021 il trasporto via cargo navale delle merci era diventato tremendamente costoso rispetto al passato. Durante lo shock pandemico, l'arresto di larga parte delle attività produttive e il crollo della domanda di moltissimi beni hanno spinto le imprese a vari livelli della catena del valore a ridurre le scorte e gli ordini ai fornitori.
La ripresa del settore manifatturiero dopo la prima riapertura dell'estate 2020 è stata rapidissima, grazie agli stimoli governativi e a un mutamento strutturale nella morfologia dei consumi globali dovuto alle misure di distanziamento sociale che ha spostato il potere d'acquisto dai servizi alle merci. Un'accresciuta domanda si è trovata pertanto di fronte ad un'offerta in stallo.
La ripartenza dell'offerta è stata limitata da un mix tossico di fattori: costi di trasporto elevati aggravati dalle misure di sicurezza anti-Covid, costo delle materie prime in ascesa, scarsità di container e porti congestionati. Anche la carenza di manodopera è stata un problema, costringendo le aziende manifatturiere e dei servizi a operare al di sotto della capacità potenziale e con pressioni persistenti al rialzo dei salari.Come risultato, tra giugno 2020 e dicembre 2021 i costi di trasporto navale dalla Cina all’Europa e agli Usa sono aumentati da cinque a sette volte.
La figura evidenzia come la crescita dei costi sia avvenuta in tre distinte fasi: in un primo momento le tensioni si erano concentrate solo su alcune rotte trafficate e ad alto valore aggiunto dalla Cina verso gli Usa (barre rosse/viola), poi nell'inverno 2021 i costi sono esplosi anche sulle tratte Cina-Europa (Shangai-Genova, Shanghai-Rotterdam, barre gialle/blu). A partire dall'estate 2021 il fenomeno è diventato globale con una crescita uniforme dei costi di noleggio container in tutti i principali porti internazionali e tassi di incremento enormi se proporzionati ad una base di riferimento molto più alta.
Dopo una fase di stallo di alcuni mesi, da maggio 2022 è iniziato un declino marcato dei costi, che nelle ultime settimane sta diventando precipitoso soprattutto lungo le tratte di collegamento Cina-Europa e Cina-Usa (barre rosse, blu e gialle), ma non viceversa. Le tariffe spot dei container da 40 piedi dalla Cina alla costa occidentale degli Usa sono in crollo conclamato e pochi giorni fa sono scese al di sotto di 3mila dollari. I vettori marittimi internazionali stanno annullando i viaggi delle navi per intero, ma sembra che non stiano ritirando dal mercato capacità di carico sufficiente per stabilizzare i prezzi. Cosa sta accadendo?
Il ruolo degli hub cinesi
Una ragione importante dell'inversione al trend di crescita dei costi di trasporto marittimo è la riapertura dei principali porti cinesi dopo i grandi lockdowns della scorsa primavera. Tra aprile e maggio a Shanghai - il porto più trafficato del mondo che gestisce il 14,4% dell'intero import della Cina ed il 7,3% dell'export - il numero delle navi in attesa di effettuare operazioni di carico e scarico nel porto di Shanghai era aumentato del 500%.Pechino ha dato priorità assoluta alla normalizzazione dell'attività dei porti rispetto ai problemi di debolezza della domanda e ai guai seri del comparto immobiliare, ed i risultati non si sono fatti attendere. Il porto di Shanghai in 3 mesi ha recuperato del tutto lo stop completo di aprile-maggio, registrando una crescita dello 0,2% annuo del traffico merci tra gennaio e agosto 2022. Dagli ultimi dati, sembra che settembre 2022 potrebbe essere il mese più trafficato di sempre, con il record giornaliero di attività già superato. Il congestionamento delle infrastrutture si è significativamente attenuato; di questo ha beneficiato tutto il settore asiatico, inclusa Taiwan che pare non abbia risentito della crisi politica con il governo cinese dello scorso agosto.
Se si guarda ai tempi di consegna merce verso Usa e Taiwan (vedi il grafico), emerge infatti un miglioramento continuo delle performance che stanno velocemente tornando ai livelli del periodo pre-pandemico.Inoltre un maggiore numero di vettori sta affluendo solo ultimamente sul mercato. A gennaio 2022, quasi il 14% della flotta commerciale globale era bloccato in congestionamenti di fronte ai principali porti internazionali. Gli ultimi dati di agosto 2022 mostrano che “solo” il 5,2% della capacità è bloccato in colli di bottiglia logistici. Nell’area portuale di Los Angeles/Long Beach, le file di oltre 100 navi presenti a gennaio sono de facto scomparse. Al crescere della capacità, i volumi di carico di ogni singola nave stanno pertanto diminuendo, in special modo sulle rotte a lunga distanza e questo influisce sulla dinamica dei prezzi.Ma ci sono altri fattori all'opera.
QUANTO CONTA L'INDEBOLIMENTO RAPIDO DELLA DOMANDA GLOBALE
Nel corso dell'estate le prospettive di un soft landing dell'economia globale si sono rapidamente assottigliate a fronte delle politiche monetarie delle principali banche centrali in forte inasprimento e di una generale attitude da parte dei governi a ridurre gli stimoli fiscali. Si stanno creando cioè le condizioni per un significativo shock alla domanda globale che potrebbe paradossalmente incidere positivamente sulle condizioni di stress delle supply chains.
La crisi energetica nell'area Euro è peggiorata e sta trascinando gran parte del continente in recessione a ritmi sostenuti. Anche se mancano ancora gli hard data a conferma su PIL e produzione industriale, gli indicatori anticipatori PMI (Purchasing Manager Index) segnalano già dal mese di agosto lo scivolamento in territorio di contrazione economica. L'economia USA è in condizioni migliori ma sta comunque scontando un forte rallentamento (PMI agosto 2022: 51,5), mentre la crisi del debito governativo nel Regno Unito potrebbe accelerare il deterioramento del quadro macroeconomico.
Sebbene sia presto per ipotizzare un impatto significativo del ripiegamento della domanda globale sulle supply chains, è già possibile osservare riflessi interessanti sui dati. Il rapporto tra gli indici manifatturieri PMI delle economie emergenti ed i sotto-indici PMI relativi agli ordinativi delle economie avanzate, rileva un crescente contributo del fattore domanda negli ultimi mesi.
Spieghiamo meglio. Quando questo rapporto è in territorio negativo gli ordinativi delle economie sviluppate (la domanda) sono tendenzialmente superiori alla produzione delle economie emergenti: i costi di distribuzione merci tendono a salire e gli indicatori di stress delle supply chains aumentano (barre rosse). L'indice storicamente è passato in territorio positivo a fronte di shock improvvisi della domanda, come il lockdown planetario di marzo-maggio 2020 (barre blu). La scala dei movimenti attuali è ovviamente più ridotta, ma la velocità di incremento dell'indice è particolarmente allarmante.
In definitiva, le supply chains respirano, ma non c'è stata nessuna ricetta magica che ha improvvisamente migliorato l'efficienza della rete globale di distribuzione merci globale: la disponibilità dell'energia e delle materie prime rimane contingentata, non ci sono previsioni di una significativa crescita della flotta mercantile commerciale ed il mercato del lavoro è diventato strutturalmente più rigido. I problemi restano lì in attesa della prossima ripresa economica: nel frattempo una forte recessione globale avanza.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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