Migranti, come funziona il «processo di Roma» spinto da Meloni e Ue
La Conferenza del 23 luglio ha avviato un «piano d’azione» per arginare i flussi con accordi e finanziamenti. Cosa prevede e perché è contestata
di Alberto Magnani
I punti chiave
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La premier Giorgia Meloni lo ha ribadito al vertice Onu presso la Fao, in occasione del suo intervento di debutto: l’obiettivo del suo governo è impostare «un modello di cooperazione non predatorio» con i Paesi africani, assicurando il «diritto a non dover emigrare». Tradotto, un contrasto al boom di sbarchi sulle coste italiane scandito sia da interventi sulle «reti di trafficanti» nel Mediterraneo, sia da una collaborazione che stimoli le economie più fragili e rimuova «le cause» dei flussi.
È la stessa prospettiva formalizzata nella Conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni che si è tenuta il 23 luglio alla Farnesina, in un vertice che ha raccolto l’adesione di oltre 20 Paesi da Africa subsahariana, Medio Oriente e Mediterraneo, oltre alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
Cos’è il «Processo di Roma» voluto da Meloni
Il summit, annunciato dalla stessa Meloni in occasione dell’accordo Ue-Tunisi, è sfociato nell’avvio del cosiddetto Processo di Roma: una «piattaforma di azione collettiva», per orchestrare un approccio condiviso sulle politiche migratorie. I dettagli saranno rifiniti lungo un «Piano d’azione» cadenzato lungo vari appuntamenti nella seconda metà dell’anno, come la conferenza Italia-Africa di novembre (quella che farà da vetrina al cosiddetto Piano Mattei), la riunione del G20 in India e la COP28 attesa negli Emirati Arabi Uniti fra novembre e dicembre.
Nell’attesa, le conclusioni del summit e le stesse parole di Meloni offrono un quadro sull’intelaiatura politica e finanziaria del «processo» che il governo Meloni si sta intestando. Sul fronte politico, l’ambizione è quella di «sconfiggere l’immigrazione illegale», avviando una cooperazione improntata a contrasto delle «organizzazioni di trafficanti», migliore gestione dei flussi migratori, supporto dei richiedenti asilo e «aiuti ai Paesi d’origine». Su quello finanziario, l’obiettivo «di medio termine» è la creazione di un fondo finanziato da Paesi e organizzazioni inclusi nel processo.
Il nodo dei finanziamenti e le accuse sul modello
Le «direttrici prioritarie di finanziamento», ha detto Meloni, dovrebbero riguardare «soprattutto gli investimenti strategici, le infrastrutture, perché quello è il modo più duraturo di fare, cooperazione». Al momento l’unico impegno tangibile sono i 100 milioni di euro annunciati dal presidente emiratino Mohammed Bin Zayed, mentre il resto dei finanziamenti dovranno essere via via elargiti in base alle rispettive disponibilità dei singoli Paesi. La presidente della Commissione von der Leyen ha dichiarato che l’intesa siglata a Tunisi con il presidente Kaïs Saïed dovrebbe essere un «modello» per altri accordi con «Paesi della regione». Un esempio che può riaccendere le polemiche all’asse fra Bruxelles e Tunisi, contestato per le accuse di violazioni dei diritti umani e autoritarismo che pendono su Saïed . «Il tema centrale degli accordi tra Europa e Africa - ha dichiarato David Yambio, portavoce del movimento Refugees in Libya - dovrebbe essere il rispetto dei diritti umani. Ma così non è».
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