Migranti economici, sì alla protezione umanitaria quando la povertà lede la dignità
Respinto il ricorso del ministero dell’Interno secondo il quale la vulnerabilità economica non rientra tra i seri motivi per il permesso umanitario
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
2' di lettura
Via libera alla protezione umanitaria al migrante economico, se la povertà al suo paese è tale da ledere la dignità.
Partendo dal presupposto che la povertà estrema sia una buona ragione per offrire lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria o umanitaria, la Cassazione ha respinto il ricorso del ministero dell’Interno, contro la decisione della Corte d’Appello che, contrariamente al Tribunale, aveva concesso a un cittadino extracomunitario il permesso di soggiorno.
L’uomo aveva lasciato il suo paese, caratterizzato da una povertà diffusa e calamità naturali e faceva l’ambulante in Italia, vivendo presso una Fondazione caritativa. Lavoro che gli consentiva anche di estinguere alcuni debiti che aveva nel luogo di provenienza.
I seri motivi per avere la tutela
La Corte territoriale ha valorizzato il suo percorso di affrancamento da una situazione di indigenza.
Ma per il Viminale mancavano i “seri motivi” di carattere umanitario per concedere la protezione che era stata invece accordata al richiedente. La Corte territoriale aveva, a torto, fatto derivare la condizione di vulnerabilità da ragioni meramente economiche.
Ad avviso dei giudici di legittimità la Corte di merito ha ben operato. Sul riconoscimento o sul diniego della protezione umanitaria pesa, infatti, precisa il collegio «il concetto di “nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale” quale limite minimo essenziale al di sotto del quale non è rispettato il diritto individuale alla vita e all’esistenza dignitosa».
La difficoltà di provvedere ai bisogni fondamentali
La Cassazione invita dunque a valorizzare non solo l’esistenza di un conflitto armato, «ma qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo ad esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione dell’individuo al rischio di azzeramento o riduzione al di sotto della predetta soglia minima».
Con la conseguenza «della possibile rilevanza anche di una condizione di povertà estrema (nella quale non si disponga, o si disponga con grande difficoltà o intermittenza, delle primarie risorse per il sostentamento umano come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione) del paese di provenienza».
Situazioni da considerare «unitamente a quella di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, il ricorrente sarebbe esposto in caso di rimpatrio, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporlo a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali».
Per queste ragioni conclude la Corte si deve «ritenere configurabile, anche in ipotesi di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, con relativo onere del giudice di merito di un tale accertamento, in adempimento del proprio obbligo di cooperazione istruttoria».
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