Milan, l’impresa del «Normal One» e la corsa con l’Inter alla seconda stella
I rossoneri travolgono il Sassuolo, l’Inter si consola battendo la Sampdoria. Oggi passerella in Duomo
di Dario Ceccarelli
I punti chiave
6' di lettura
È un'onda di felicità incontenibile, stordente, cui non siamo più abituati dopo mesi di continui lutti e cattive notizie. Che restano, ovvio. Non sarà certo uno scudetto a farci dimenticare qualcosa che non possiamo dimenticare. Però a volte lo sport ha questa strana magia: che porta con sé una insostenibile leggerezza che candidamente, almeno per una notte, aiuta a risollevarci.
Perciò questo è la domenica del Milan, la sera del Milan, la tenera e travolgente notte di una squadra che dopo 11 anni di poco entusiasmante tran tran ha riconquistato (per la 19esima volta) il titolo di campione d'Italia. E lo ha fatto saltando con slancio l'ultimo ostacolo - il Sassuolo - che si frapponeva allo scudetto. Sarebbe bastato un pareggio, ma la squadra di Stefano Pioli, forse il massimo artefice di questa impresa, nell’ultimo rush non ha braccino corto. Le piace stupire, trascinare questa marea di tifosi (almeno 20mila) che hanno seguito i rossoneri nell'ultima missione, in questa ultima trasferta che dista 154 chilometri da Milano.
Leao incontenibile
Così, in meno di mezz'ora, il Milan si toglie il pensiero travolgendo gli emiliani con una raffica di colpi che stordisce i neroverdi. Il gol del vantaggio di Giroud (naturalmente su assist di Leao) è la crepa da cui entra un'onda anomala troppo potente per la difesa emiliana che, nell'ansia di mettere delle toppe, confeziona dei buchi peggiori. Leao è incontenibile.
Ogni volta che si muove sono guai per il Sassuolo. Il 2-0 arriva al 32' sempre su azione dell'asse franco-portoghese. E dopo quattro minuti ecco il tris sempre con Leao nel ruolo di feroce Velociraptor che strappa il pallone al povero Lopez invitando Kessie alla stoccata definitiva del 3 a 0. E qui non c'è altro da aggiungere perchè il secondo tempo è solo una passerella che prelude alla grande festa.
Il Sassuolo nel finale prende un palo, cerca il gol della bandiera, ma sono solo coriandoli di una giornata indimenticabile che però nessuno raccoglie. Come la rete annullata a Ibra per fuorigioco. Sarebbe stato un bel poker. Ma lo svedese recupera nella festa di premiazione presentandosi con un gigantesco sigaro e una altrettanto impegnativa Magnum di champagne. I Fenomeni restano Fenomeni anche nelle feste.
E mentre esplode il delirio che dalla via Emilia risale verso Milano, a San Siro l'Inter chiude l'ultima sfida con la Sampdoria con un tre a zero più agro che dolce e asimmetrico rispetto a quello rossonero.Tutti i gol infatti (uno di Perisc e due di Correa) sono arrivati nella ripresa dopo aver metabolizzato che il Milan aveva già asfaltato il Sassuolo. Qui però l'Inter ha avuto il merito di non disunirsi arrivando con onore alla linea del traguardo. E con oltre 70mila tifosi che l'hanno applaudita e quasi consolata per il mancato bis dello scudetto. Un esempio di passione da indicare a modello. Certo, l'Inter quest'anno si porta a casa una Super Coppa e una Coppa Italia. Non è male, per Inzaghi, come bilancio. Il dopo-Conte è superato. Però la vera festa è altrove, anzi è già sotto il cavallo di Vittorio Emanuele II in una piazza Duomo ormai pavesata di rosso e nero.
La papera che svoltò lo scudetto
Ma questo è il calcio, quello strano gioco che combina brutti scherzi, come la clamorosa papera di Jonut Radu, il portiere di riserva dei nerazzurri, che a Bologna fece svoltare lo scudetto verso la Milano rossonera. Poteva essere la gara del sorpasso, e invece fu quella della beffa. Mai dire che si può contare su una partita da recuperare. Quel famoso “asterisco” peserà per molto tempo nei ricordi dei tifosi interisti. “Ci rimane l'amaro in bocca” ha detto Inzaghi con Perisc che esce in stampelle per un infortunio al polpaccio. Resterà? “faremo il massimo” ha ribadito Marotta ben sapendo che, perdere lo scudetto, non è un buon viatico per far restare un asso di quel calibro. Ma intanto, mentre i diavoli fanno festa, e quelli del Biscione rosicano e metabolizzano (ah, che disdetta il derby di ritorno...) una certezza resta certezza: che questo scudetto alla Milanese, seppure targato Milan, è una cosa bella per tutta la città. Un trofeo da esportare in tutto il mondo perchè questo campionato con brivido final, ha portato lustro alla metropoli tutta, a qualsiasi naviglio essa appartenga.
Forse Milano non si può ancora permettere fenomeni come Mbappè, ma poco importa. Anzi forse è meglio così, visto le cifre folli che girano in questo pazzo mondo che ogni volta si stupisce delle sue follie.Milano rimboccandosi le maniche in due anni ha vinto due scudetti consecutivi. Ora Milan e inter sono entrambe a 19 titoli. Non male, come bottino. Trentotto scudetti in due. La prossima sfida, di questo infinito derby, sarà per la seconda stella. Che vinca il migliore. L'altra sfida importante è quella per lo stadio. Che sia San Siro o che sia un impianto completamente nuovo, non importa. Basta muoversi. Prendere una decisione anche perchè le Olimpiadi del 2026 (Milano assieme a Cortina) si avvicinano. E poi, come dicono i vecchi milanesi, piuttosto che niente è meglio piuttosto. Ma c'è tempo per questi discorsi. Ora è tempo di cori e brindisi, di canti e abbracci. Di allegria, soprattutto, ne abbiamo bisogno.
L’impresa del “Normal One”
Questo lunedi (alle 18) tutto il Milan è atteso dai tifosi per un omaggio finale nelle vie del centro. L’uomo che deve essere più festeggiato, per lo scudetto più imprevisto di sempre (almeno 2/3 squadre alla partenza erano più attrezzate del Milan), pensiamo sia Stefano Pioli, l'artefice di un percorso iniziato nel 2019 quando il Milan più che un blasone era un problema. Sia sul campo che nei libri contabili. Invece Pioli, nella sua particolare veste di “Normal One”, è riuscito a ricostruire una squadra che ormai viveva solo di bei ricordi. E qui bisogna dare atto anche alla società, al Fondo Elliot della famiglia Singer (presente al completo a Reggio Emilia), di aver lavorato bene dando fiducia al lavoro di Paolo Maldini, di Ivan Gazidis e di tutto lo staff rossonero. E va ricordato che nel luglio di due anni fa, dopo la strepitosa cavalcata post lockdown, Pioli venne riconfermato da Elliot quando il famoso “progetto” Rangnick (carismatico allenatore tedesco ) stava ormai prendendo forma.
Con quell'atto di fiducia, verso un allenatore che aveva ricompattato l'ambiente rossonero, il Milan ha cominciato il volo che l'avrebbe portato ad atterrare con destinazione scudetto al Mapei Stadium di Reggio Emilia. Stefano Pioli non è più giovanissimo. A 56 anni non aveva mai vinto un titolo. Proprio come i suoi giovani discepoli che, fino a qualche settimana fa, erano più o meno considerati ragazzi “interessanti “ma da far crescere. Invece con Pioli questi ragazzi sono cresciuti in fretta, molto in fretta. Prima con Ibrahimovic, poi facendosi coraggio da soli.
Pioli ha reinventato la difesa e non solo per la bravura del portiere Maignan, assoluta rivelazione insieme a Leao e Tonali. Il Milan vanta la miglior difesa del campionato e nelle ultime 11 giornate ha incassato solo due reti. Poi il gioco, sempre dinamico e costruttivo, mai conservativo. Tutti buoni motivi per far entrare Pioli in quel Pantheon milanista che ospita Rocco, Liedholm, Rivera, Baresi, Sacchi, Ancelotti, Capello e via elencando. Questo finale di campionato all’apparenza mediocre ma poi rivelatosi appassionante, può diventare uno spot mondiale della serie A. Tanto è vero che delle sue potenzialità (oltre agli 80 milioni che uno scudetto porta con sé), se n'è accorto Gerry Cardinale, 54 anni, fondatore della società d'investimenti Red Bird Capital, vicino all'acquisizione della maggioranza del Milan (Elliot resterebbe in minoranza).
Resto d’Italia in affanno
Gli americani si sono accorti che qui a Milano “c'è business”, che qui si possono fari affari unendo lo sport e i media, i diritti delle partite e le sponsorizzazioni, gli accordi commerciali e quel famoso marketing che funziona solo quando dietro ai cervelloni della pubblicità ci sono uomini in gamba come Pioli e Maldini. Campioni come Leao, Tonali ed Hernandez. E mentre slogan e botti rimbombano a Milano, il resto d'Italia, calcisticamente, è meno allegro. Il Napoli, arrivato a un onorevolissimo terzo posto, può mangiarsi le mani per aver buttato al vento troppi punti facili. E la Juventus, quarta con demerito, entra in Europa con una tristezza davvero avvilente “L'è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare” direbbe il grande Gino Bartali, ma il problema, a Torino, è che non si sa dove cominciare. Finisce male anche l'Atalanta, fuori dall'Europa dopo diversi anni entusiasmanti. Anche a Bergamo sono arrivati gli americani ma qui esultano meno. Gasperini è sempre più rabbioso, ma le sconfitte aumentano. E non è sempre colpa degli altri.
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