Milan troppo bello per essere vero, ma per il Napoli è buona anche la settima
Il Milan vince facile contro l’Atalanta, ma i partenopei guidati da Spalletti vincono anche contro la Fiorentina e mantengono due punti di vantaggio sui rossoneri
di Dario Ceccarelli
I punti chiave
4' di lettura
È un Milan perfino troppo bello per essere vero. Così inarrestabile da far sembrare molto facile una cosa di solito molto difficile: strapazzare a Bergamo l'Atalanta permettendosi perfino qualche leggerezza nel finale.
Finisce 3-2 per rossoneri ma il risultato non deve ingannare. Le due reti dei padroni di casa (Zapata su rigore e Pasalic in pieno recupero) arrivano quando i giochi sono ormai fatti e i giovani diavoli di Pioli, narcisi come tutti i ragazzi, si rimirano allo specchio per vedere quanto sono belli dopo aver dominato un avversario di solito famoso per far venire il mal di denti agli altri.
L’Atalanta capitola in 28 secondi
Ma in questo caso a soffrire è invece Gasperini che, già dopo 28 secondi, prenderebbe volentieri un antidolorifico vedendo l'Atalanta capitolare malamente per una rete di Calabria propiziata da un banale errore di Musso.
È l'inizio di una serata scintillante per il Milan quanto traumatica per l'Atalanta, quasi mai in grado di opporsi alla spinta propulsiva dei rossoneri che tagliano il campo in velocità. Una spinta che manda in affanno gli uomini di Gasperini. Con Tonali, sempre più incisivo a centrocampo, che strappa il pallone a un frastornato Freuler e raddoppia indisturbato. Ancora più spettacolare il terzo gol di Leao, un potente destro a giro di cui Musso avverte solo un lontano fruscio.
Giovani rossoneri in crescita esponenziale
Difficile dare un giudizio oggettivo su questo Milan così spavaldo e reattivo nonostante la fresca sconfitta con l'Atletico in Champions. È una squadra che trasmette in ugual misura potenza e leggerezza con tanti giovani in crescita esponenziale. Tonali è quasi da nazionale maggiore, Leao praticamente incontenibile. Lo stesso Kessie, che sembrava un problema, è tornato ai suoi livelli abituali, dopo l'iniezione di fiducia di Pioli che a Bergamo l'ha fatto subito partire titolare.
In coincidenza del 40esimo compleanno di Ibrahimovic, viene quasi da pensare che del suo totem il Milan non ne abbia più bisogno. È un Milan che con i suoi giovani fa il Diavolo a quattro. Con un'unica perplessità: che finora in Europa questa linea verde non ha ancora funzionato. Qui forse può ancora servire il vecchio Ibra.
I conti con il Napoli
Del Milan, secondo a due punti dal Napoli, ora che arriva la sosta della nazionale bisogna chiaramente ribadire una cosa: che questo Napoli, vincente anche a Firenze, non è una sketch della Smorfia, o una sceneggiata di Lello Arena con le canzoni di Nino d'Angelo. No, il Napoli è una realtà ormai consolidata con cui bisogna fare i conti.
Bisogna dirlo perchè sette vittorie su sette - cioè 21 punti - sono già un tesoretto che la dice lunga sulla forza di una squadra che ha battuto anche la Fiorentina rimontando il vantaggio dei viola prima con Lozano e poi con una prodezza di Rrhamani, sempre più pilastro centrale dei partenopei.
Bisogna ripeterlo perché se al posto del Napoli ci fosse la Juventus, l'Inter o lo stesso Milan, saremmo già qua tutti a magnificarne le gesta, con titoloni e dibattito annesso sul campionato già ucciso dopo neanche due mesi. E invece il Napoli - pur ammettendo tutti che Spalletti fa un ottimo lavoro, che Anguissa e Osimhen sono due fenomeni e ogni cosa gira quasi alla perfezione - viene preso poco sul serio.
Era bastato il passo falso con lo Spartak Praga in Europa League per ridimensionarlo prefigurando disastri quando, in gennaio, Koulibaly e compagni saranno impegnati nella Coppa d'Africa. Poi Spalletti, che quando parla non è proprio Cicerone, ci ha messo del suo dicendo che le «nazionali devastano i club dal punto di vista delle potenzialità».
Queste schermaglie non cambiano però il quadro d'insieme: e cioè che il Napoli merita di guidare la classifica. E che finora è stata la squadra più convincente per gioco e risultati. La considerazione conseguente è che in Italia, anche nel calcio, il Nord la fa da padrone. Se la Juventus perde si fanno i titoloni contro Allegri. Se vince si fanno i titoloni sempre contro Allegri. La zuppa è sempre la stessa. Adesso, con la vittoria nel derby di Torino, i bianconeri sono alla terza vittoria consecutiva, e già si sentono i sussurri: la Juve sta cambiando pelle, torna a far rumore, eccetera.
Eppure, diciamolo, Madama con il Torino ha vinto di misura, un golletto di Locatelli e via. Certo, tre successi consecutivi, più quello con il Chelsea in Champions, sono già qualcosa. Però con una rosa così ampia, risalire la classifica è il minimo sindacale. Che poi nel derby ci fosse tutta la panchina dei bianconeri a incitare la squadra la dice lunga. Diciamo allora che con Pirlo sarebbero stati tutti seduti…
Anche l'Inter, sempre magnificata, non brilla particolarmente. Con il Sassuolo i nerazzurri hanno visto le streghe. Solo dopo quattro cambi, e soprattutto l'ingresso di Dzeko, l'Inter ha cambiato faccia. Ma senza il bosniaco, che nel giro di mezzo minuto pareggia di testa, e poi propizia il rigore alla mezz'ora della ripresa, l'Inter avrebbe rischiato un fragoroso capitombolo.
È la terza rimonta in trasfera per Inzaghi, che evidentemente in panchina ha una certa propensione alla sofferenza. Dopo il tecnico ha rimediato con dei cambi azzeccati. Dopo. Ma quanti rischi, quanti episodi “al limite” finiti bene solo grazie alla generosità (a senso unico) dell'arbitro Pairetto.
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