Milano è il principale hub degli showroom di moda al mondo
di Marta Casadei
2' di lettura
Sono oltre 180 gli showroom che compaiono sul sito della Camera nazionale della moda italiana, tutti con sede a Milano. E sono solo i principali. Realtà che lavorano dietro le quinte della moda ma fanno di Milano uno snodo commerciale decisivo a livello globale. «Milano, in termini di fatturato, è il principale hub degli showroom di moda al mondo. Dobbiamo continuare a spingere sull’internazionalizzazione», spiega Massimo Bonini, titolare dell’omonimo showroom, con sei sedi di cui quattro a Milano, una a New York e una a Hong Kong.
Con 40 dipendenti e i ricavi della stagione A-I 17-18 in aumento del 14% – trainati dagli ordini degli e-tailer – Bonini è uno dei nomi più autorevoli: gestisce le collezioni di accessori e calzature di brand di fascia alta, un mix ben equilibrato tra affermati (Versace, Roberto Cavalli), in piena crescita (N°21, Fausto Puglisi) ed emergenti di talento (Giannico).
Brand per la maggior parte italiani, tutti dall’alto potenziale commerciale: «In un mercato in forte cambiamento – spiega – hanno successo i prodotti che “bucano lo schermo”, perché il primo contatto con il cliente avviene sempre più spesso sul web, e che poi dal vivo mostrano la loro qualità». Tra i primi clienti di Massimo Bonini Showroom ci sono «Europa e Usa, questi ultimi in crescita a doppia cifra stagione su stagione. Poi l’Asia. I paesi arabi stanno andando benissimo e la Russia è in ripresa». Lo showroom non ha un ruolo puramente commerciale: «Lavoriamo con i brand a tutto tondo, aiutandoli a scegliere anche il giusto produttore», continua Bonini.
Riccardo Grassi, titolare dell’omonimo showroom milanese e di due temporary a Parigi e New York, conferma la leadership commerciale di Milano nella moda mondiale. Lui stesso, sei anni fa, ha voluto creare uno spazio innovativo, 4 mila metri in via Piranesi, che ospita le collezioni di abbigliamento e accessori di Puglisi, Msgm, Paula Cademartori e molti altri. «Ho voluto aprire un punto di riferimento per i buyer internazionali a Milano, che all’epoca era in crisi, selezionando marchi “indispensabili” da vedere per chi voleva fare ricerca», dice Grassi.
La formula, più strategica rispetto a quella dello showroom tradizionale, ha funzionato: «Per le collezioni P-E 17 e A-I 17-18 abbiamo avuto 13mila ordini da 2mila compratori in 70 paesi», sottolinea. E la crescita più marcata, del 25-30%, arriva, come per Bonini, dai grandi e-tailer.
Per vendere bene sul web, secondo Grassi, «i prodotti devono avere un’estetica riconoscibile e iconica, nelle forme e nei colori». Altro tema fondamentale è quello dei prezzi: «Oggi conta moltissimo il rapporto qualità-prezzo: il consumatore non compra più solo per il brand». Il made in Italy, da questo punto di vista, è ancora un valore aggiunto: «Conta, sì. Ma non sulla parola, sul prodotto».
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