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Milano fashion week, Gucci archivia le sfilate dell’iper classicismo

La settimana della moda milanese chiude lanciando un messaggio: il nuovo classicismo. E adesso il testimone passa a Parigi

di Angelo Flaccavento

3' di lettura

La giovinezza imperitura è una delle più durevoli utopie della narrativa modaiola. Anche il nuovo classicismo, che è il più chiaro messaggio uscito dalla fashion week milanese conclusa ieri, è suonato come un inno al fanciullino invece che un richiamo all’ordine dell’adulto. Invecchiare, del resto, è brutta cosa, con la cravatta oppure senza.

Passerella quasi punk

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Da Gucci, la maison che sotto la guida di Alessandro Michele, da cinque anni esatti, estremizza, esacerba e teatralizza i tratti più dirompemti e progressivi del contemporaneo, l’infantilismo che avanza raggiunge l’acme e si torna a scuola. Alle elementari, addirittura, anche se il set, con un minaccioso pendolo di Foucault al centro a scandire il ritmo della regressione, ricorda piuttosto un’aula magna universitaria. Poco importa: il lessico di Gucci è spurio, stratificato e confondente, quindi meglio lasciarsi suggestionare che cavillare sul dettaglio.

L’invito, scritto con la grafia tonda e incerta, parla di “quinto rave di compleanno”; le note di collezione sono affidate al foglio protocollo piegato, come i vecchi temi in classe. In passerella, nuovi accessori del desiderio, tra le sporte a fiorellini di Liberty e le T-shirt di Richard Hell, ci stanno le borsette di latta come scatole di biscotti, e i sandaletti con l’occhio di bue messi con i calzettoni grossi, perché dopo tutto di collezione invernale si tratta. E poi ci sono gli abiti: striminziti, risicati, senza sesso e riproporzionati, con un vago sapore di anni Settanta - pantaloni a zampa, magari di pelle argento, blazer dalle spalle insellate - e quell’aria dei classici da adulto, adattati al guardaroba puerile per essere indossati di nuovo da adulti alla moda. Una carpiatura molto attorcigliata, di quelle in cui Alessandro Michele eccelle. L’intento, per nulla celato, è di sferrare un attacco frontale, quasi punk, ai codici della mascolinità normativa.

Gucci, ritorno all’infanzia dove tutto è concesso

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Lo spirito romantico

«All’asilo siamo tutti sullo stesso piano, maschi e femmine, ma presto si viene chiusi nella gabbia delle regole - spiega Michele, esausto ma soddisfatto alla fine dello show -. Con questa collezione ho voluto suggerire un ritorno a scuola per imparare un modo diverso di essere uomini. Non voglio decostruire il maschio, ma ampliare le possibilità della narrazione, senza escludere quella mainstream ma esplorando una nuova complessità. Lo spirito è romantico, perché ai bambini è concesso tutto». Poi certo, sempre di moda si tratta: convenzione e ribellione si intrecciano senza soluzione di continuità per cui l’antinorma di Alessandro Michele è essa stessa una tipizzazione, che dal rockabilly a Kurt Cobain con la vestina include tutto, persino un paio di cloni di Michele stesso, remixati in una celebrazione dell’ibrido e del meticcio.

Dal sartoriale allo sportswear

Una certa guccificazione, di cast e di look, è evidente da Marco De Vincenzo, ed è un peccato, perchè il lavoro sulla distorsione dei classici - dal loden plissettato all’abito glitterato - è egregio, e meritevole di una attenta considerazione.

Luca Magliano, che nella moda si firma con il solo cognome, trent’anni non li ha ma è nostalgico di quel magma che furono gli anni settanta/ottanta, ovunque in Europa. Sfila in una losca bisca in Porta Genova, tra biliardi e luci basse, componendo un mosaico di tipacci malavitosi che è sartorialmente stimolante, ma a tratti costumistico.

Le sorti dello sportswear, che non è mica tramontato, sono tenute vive da Iceberg, dove James Long si conferma un fuoriclasse, come da Samuel Ross, che da A Cold Wal l porta tutto in una direzione più adulta e sartoriale, e convince.

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