Milano, Feltri in campo. Primo obiettivo da consigliere: via le piste ciclabili
Il direttore editoriale di Libero ha accettato di candidarsi con Fratelli d’Italia al consiglio comunale. Un sì arrivato dopo che per anni si è parlato di un suo impegno con il centrodestra
di Riccardo Ferrazza
I punti chiave
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Sindaco no «perché mi romperei i c...oni a fare quel mestiere lì che non so fare», consigliere comunale sì perché «non è un lavoro, è una collaborazione»: Vittorio Feltri ha spiegato con il suo stile «diretto e sbrigativo» (autodefinizione) la scelta di candidarsi alle amministrative di Milano nelle liste di Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni al quale si è iscritto. «Una fuoriclasse che va ascoltata e seguita fedelmente, perché è la migliore del Parlamento e non solo di quello» ha scritto nel suo editoriale del 7 luglio su Libero.
La carriera giornalistica e i no alla politica
Una carriera cominciata quasi 60 anni fa all’Eco di Bergamo (città dove è nato nel 1943) e scandita da nove direzioni (Europeo, Indipendente, il Borghese, Il Resto del Carlino, tre volte al Giornale e altrettanti incarichi a Libero) e molte polemiche per i suoi articoli, i suoi titoli e le sue campagne. Poi la decisione che ha sorpreso molti non per la collocazione nel centrodestra ma perché l’impegno politico di Feltri è un’ipotesi ricorrente e smentita da almeno 25 anni anni. A Silvio Berlusconi ha sempre detto di no: nel 1998 lo stesso Feltri rivelò che il Cavaliere era arrivato a offrirgli un seggio sicuro al Parlamento europeo e, in caso di vittoria del Polo alle politiche, un posto di ministro. Nel 2000 anche l’allora leader di An Gianfranco Fini lo corteggiò parlando di lui come di un «ottimo candidato». Negli ultimi anni la posizione sempre più critica nei confronti del fondatore di Forza Italia si è accompagnata all’avvicinamento a Lega e Fratelli d’Italia (con una parentesi renziana al tempo del referendum costituzionale). Fino al sì alla proposta di Meloni. «Se me lo avesse chiesto qualsiasi altro, non avrei accettato» ha precisato il direttore editoriale di Libero (incarico che continuerà a ricoprire in caso di elezione).
La candidatura al Quirinale
Le lusinghe del centrodestra arrivarono fino alla candidatura del giornalista per la presidenza della Repubblica: nel 2015, con il Parlamento riunito in seduta comune per eleggere il successore di Giorgio Napolitano, Lega Nord e Fratelli d’Italia concentrarono i loro voti su Feltri, considerato come alternativa-bandiera preferibile alla scheda bianca. Feltri ottenne voti in tutti e quattro gli scrutini (49, 51, 56 e 46). Sergio Mattarella venne eletto con 665 voti. «La consapevolezza che non sarei entrato al Quirinale non mi ha impedito di fantasticare» scrisse Feltri in un articolo su “Tuttosport” elencando cinque richieste all’allora premier Matteo Renzi per dimettersi da presidente della Repubblica una settimana dopo l’elezione immaginaria. Tra le proposte l’obbligo dell’antidoping a qualsiasi disciplina, inclusi l’automobilismo, il motociclismo, lo sci.
La battaglia contro il ticket anti-smog e le piste ciclabili
Fu sempre la Lega a presentare la candidatura di Feltri per l’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza milanese che gli venne assegnata nel 2006. Da consigliere comunale della città Feltri ha detto di avere «soltanto un paio di obiettivi molto forti: quello di eliminare le piste ciclabili che hanno paralizzato la città, di combattere i monopattini e cercare di restituire a Milano un’immagine anche esteriore che sia migliore di quella che è stata disegnata nell’ultimo anno e mezzo con il Covid». L’approccio anti-ambientalista è in fondo coerente con la battaglia ingaggiata nel 2007 contro il ticket antismog deciso dall’allora sindaco di Milano, Letizia Moratti: «Gli automobilisti sono oberati di spese - argomentò -. Intanto l’acquisto dell’automobile, poi il bollo cioè la tassa di possesso, l’assicurazione e i pedaggi autostradali. E noi per farli venire a lavorare a Milano affibbiamo loro anche una supertassa di accesso alla città».
I titoli, le campagne e l’addio all’ordine dei giornalisti
La carriera professionale di Feltri è stata caratterizzata da polemiche e una lunga diatriba con l’Ordine dei giornalisti, arrivata fino alla decisione nel 2020 del giornalista di lasciare l’organismo: «Fosse per me lo cancellerei domani mattina». Tra gli episodi degli ultimi anni il titolo sessista sulla sindaca di Roma Virginia Raggi (vicenda per la quale Feltri è sotto processo), l’attacco ad Andrea Camilleri («L’unica consolazione per la sua eventuale dipartita è che finalmente non vedremo più in televisione Montalbano, un terrone che ci ha rotto i coglioni almeno quanto il fratello Zingaretti, segretario del Pd»), l’editoriale sul caso dell’imprenditore milanese accusato di violenza sessuale su una 18enne («I cocainomani vanno evitati. Ingenua la ragazza stuprata da Genovese»), le frasi anti-Sud («I meridionali in molti casi sono inferiori»). Feltri incappò nella sospensione dall’ordine dei giornalisti per gli attacchi del “Giornale” da lui diretto contro l’allora direttore di “Avvenire” (quotidiano dei vescovi) Dino Boffo. Nel settembre 2009 Boffo si dimise in seguito a rivelazioni sul suo conto, risultate falsate. «Dopo aver fatto quest’esperienza, se tornassi indietro è chiaro che sarei più prudente» riconobbe anni dopo Feltri. Ma il “metodo Boffo” era già diventata un’espressione proverbiale.
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