Mimmo Lucano: cinque anni in un labirinto senza uscita
Dopo la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria che ha ridotto a un decimo la pena, parla l’ex sindaco di Riace che riparte dal Villaggio globale
di Donata Marrazzo
I punti chiave
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Mimmo Lucano stanotte ha dormito. Dopo anni di ansia e notti trascorse a rigirarsi nel letto, nella sua umile casa di Riace, è riuscito a riposare: «Ho avvertito un senso di sollievo e, sì, anche una grande gioia, la sensazione netta di un incubo finito. Ma nell’attesa della sentenza ho vissuto tanti stati d’animo diversi». In quelle otto ore di attesa, dal ritiro dei giudici della Corte d’Appello in camera di consiglio alla lettura del dispositivo, ha ripercorso con la mente tutti i suoi cinque anni di calvario: «Quel suono insistente del citofono la mattina presto del 2 ottobre 2018, quando mi hanno messo ai domiciliari, quando ho aperto la porta e ho visto tante persone. Tutti quei finanzieri che mi chiedevano se fossi il sindaco di Riace e io rispondevo, sì, certo, sono io il sindaco. E mi dicevano, siamo venuti per arrestarla. E mi mostravano notifiche e mi elencavano reati. È stato l’inizio di una storia incredibile. Ieri l’ho rivissuta per intero».
La condanna ridotta a un decimo della pena
Dalle indagini della Guardia di finanza condotte nell’ambito dell’operazione Xenia, Lucano veniva accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Poi i reati sono aumentati. La truffa, il peculato, l’abuso d’ufficio, l’associazione a delinquere, relativa alla gestione del sistema dell’accoglienza. Il processo, un lungo dibattimento e una sentenza di primo grado, emessa dal tribunale di Locri, con una condanna di 13 anni e due mesi. Poi il ricorso in appello, a Reggio Calabria, con la procura generale che, nella sua richiesta, riduceva di poco la pena, ovvero a 10 anni e qualche mese. Infine, il 20 settembre, le arringhe della difesa, quelle dell’avvocato Giuliano Pisapia e del collega Andrea Daqua. Daqua, in particolare, ha svolto un lavoro certosino, in punta di diritto: non ha tirato in ballo l’umanità di Lucano, la sua generosità, la sua dedizione a una pur nobile causa. È entrato nel merito delle questioni giuridiche, contestando punto per punto le fasi del dibattimento e poi smontando pezzi salienti della sentenza, dall’uso scorretto delle intercettazioni all’utilizzo dei fondi, sottolineando anche il linguaggio denigratorio con cui i giudici, nelle 900 pagine del dispositivo, si esprimevano a proposito del suo assistito. E così, ieri, dopo otto ore di camera di consiglio, i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno ridotto a un decimo la condanna: 1 anno e sei mesi per un reato di abuso d’ufficio relativo a una determina del 2017. Uno “sconto” che è risultato come un’assoluzione. Le altre persone coinvolte, diciassette, tutte assolte.
Cinque anni in un labirinto senza uscita
«Ero incredulo, spaventato - continua Lucano -. Non mi ero mai trovato in situazioni del genere, in un labirinto che sembrava senza uscita. Soffocavo ogni speranza e mi sentivo responsabile di aver deluso i cittadini di Riace, temevo potessero pensare che li avessi traditi. Solo l’idea che qualcuno potesse mettere in dubbio il mio operato, la mia onestà e la mia buonafede, mi mortificava. E montava l’ansia». Ma a sostenerlo è stata proprio la solidarietà di quanti hanno creduto in lui e nel suo senso di umanità, una vicinanza che lo ha sorretto nei momenti di maggiore sconforto. Ha ricevuto incoraggiamenti e supporto da tutto il mondo, cittadinanze onorarie in Italia e all’estero. In suo nome e per la sua causa sono state lanciate petizioni e raccolte fondi. Solo la politica nazionale è rimasta fredda e prudente, non si è sbilanciata. Anzi, in qualche caso lo ha attaccato frontalmente: nel 2018 il ministro dell’Interno Matteo Salvini gli diceva : «Sei uno zero». Per la destra, oggi resta «politicamente colpevole di aver proposto un modello di accoglienza insostenibile».
La mia storia è la storia di un paese del profondo Sud
«A vedere quanti ieri hanno sofferto e poi gioito con me al momento della lettura della sentenza, ho rafforzato la consapevolezza che quanto mi fosse accaduto non riguardasse solo me. Certo, avrei preferito un’assoluzione piena, ma va bene lo stesso. Ho avuto conferma che la mia storia, che poi è la storia di un paese del profondo Sud, con tutte le sue forti problematiche, le mafie innanzitutto, è stata avvertita dalla gente come una storia comune, che riguardava tutti. La differenza stava solo nel fatto che io fossi in prima linea. Ed è vero, quanto mi è accaduto non riguarda solo me. Ma io non ce l’ho con nessuno, non ho rancori. Se non verso la politica che, dopo aver criminalizzato il sistema dell’accoglienza, ora, con grande egoismo, criminalizza l’immigrazione. E lo so che tanti questo non lo condividono e non vogliono restare indifferenti».
L’accoglienza qui ce l’abbiamo nel dna
«Quello che abbiamo fatto a Riace, che è un piccolo borgo della Calabria ionica, ce l’abbiamo scritto nel nostro dna. Qui non siamo mai stati indifferenti alle difficoltà di chi ci sta vicino. Ci viene naturale. Del resto, il modello Riace non è stato frutto di strategie politiche, è venuto da sé, mi è capitato. E spontaneamente, a partire dal primo sbarco di curdi nel 1998, ci siamo organizzati per accudire quella gente che scappava da guerre e povertà, portandosi dietro le loro tragedie. Sono entrato nelle loro storie, ho partecipato alle loro vite, ma senza ambizioni. Ho capito che esisteva un modo diverso, alternativo, più umano, di accogliere chi veniva da lontano. Così a Riace il mio ideale politico è diventato prassi nella vita quotidiana».
A Riace si ricomincia
Per il momento Mimmo Lucano prende tempo, dice che ha bisogno di capire, di elaborare quanto gli è accaduto. E il danno subito. «Ma come hanno fatto ad accusarmi di peculato?», si chiede ancora. Quel reato di appropriazione indebita, da cui è stato assolto, gli brucia più degli altri. Ora vuole andarci piano, anche perché è consapevole delle sofferenze che ha procurato ad amici e familiari, in primis ai suoi figli Roberto, Eliana e Martina. Sotto sotto, però, chi lo conosce bene, avverte che Lucano è già pronto a ricominciare. Del resto a Riace, seppur con la presenza di pochi profughi, l’accoglienza non si è mai fermata. E per dare avvio a un nuovo inizio, già fervono i preparativi per una grande festa. L’appuntamento è il 29 ottobre a Riace.
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