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Minali: «Mai tramato per la Spa. La mia verità sul caso Cattolica»

Ho sempre svolto il mio ruolo nei limiti delle deleghe e con l’approvazione del cda. La joint venture nelle polizze con Ubi? Io ho proposto di rinunciare

di Alessandro Graziani

5' di lettura

«Ho sempre svolto il mio ruolo di amministratore delegato di Cattolica nei limiti delle deleghe che avevo e, come risulta dai verbali dei cda, non ho mai lavorato a favore della trasformazione della cooperativa in Spa. Il dossier Ubi? Io ho proposto al cda di non presentare l’offerta per la bancassicurazione perché avrebbe comportato un aumento di capitale oneroso per i soci di Cattolica Assicurazioni». A pochi giorni dal traumatico ritiro delle deleghe da parte del cda presieduto da Paolo Bedoni, l’ormai ex amministratore delegato di Cattolica Alberto Minali rompe il silenzio e illustra, in questa intervista a IlSole24Ore, la sua verità.

Partiamo dal suo arrivo a giugno 2017, che il mercato aveva interpretato come una svolta in una assicurazione tra le meno moderne in Italia. Che cosa voleva fare di Cattolica?
L’idea era di rilanciare la compagnia, sia dal punto di vista industriale sia nel rapporto con l’economia italiana e con la città di Verona. Con in più il sogno olivettiano di immaginare una terza via tra cooperativa e Spa che consentisse di dare maggiori benefici a tutti gli stakeholders.

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Il cda l’ha seguita sulla svolta industriale ma quando si è passati alla governance c'è stata la rottura. È così?
A livello industriale molto è stato fatto, anche grazie all'innesto di molti manager arrivati dall'esterno che hanno creduto nel progetto. Ci siamo mossi a livello distributivo, con il rafforzamento e ammodernamento digitale della rete agenziale e con la spinta alla bancassicurazione attraverso la nuova joint venture con BancoBpm e il rinnovo con Iccrea. Ma anche sul versante dei prodotti abbiamo innovato. Più in generale, la spinta è stata verso la modernizzazione della società puntando a trasformarla in una data driven company. Progetto che abbiamo ampiamente realizzato.

Sì, ma....la governance?
Abbiamo condiviso e approvato all’unanimità il passaggio a un sistema di governance monistico, con l’attribuzione dei poteri dell’ex collegio sindacale al cda e l’eliminazione del comitato esecutivo che doveva trasferire, come conseguenza, alcune deleghe operative all'amministratore delegato. Ma questo tema, che pure era stato deliberato dal cda di aprile scorso, poi non è mai stato affrontato né dal presidente né dal board.

Si dice che lei abbia «esondato» dalle sue deleghe. Cosa risponde?
Non so a cosa si riferisca chi fa questa critica. Il piano industriale è stato esaminato e poi approvato in quattro sedute del cda. Ricordo che nel 2017 il board si è riunito 28 volte, nel 2018 per 24 volte e nel 2019 per 23 volte. E sempre le decisioni, pur dopo discussioni, sono state prese all’unanimità. Ho sempre esercitato le mie deleghe senza travalicare i poteri assegnati e i budget approvati dal cda.

Alcuni retroscena riferiscono che lei spingesse per il maxiaccordo nelle polizze con Ubi, costringendo così Cattolica a un aumento di capitale realizzabile solo con la trasformazione in Spa. È vero?
È vero l’opposto, come risulta dai verbali del cda. Con Ubi avevamo già una joint venture, LombardaVita, estesa a circa un terzo della rete della banca. Nell’estate del 2019 è nata l’opportunità di valutare un’alleanza a tutto campo nel Vita, l’abbiamo studiata e abbiamo presentato un’offerta non vincolante. Poi, dopo un’attenta riflessione su costi e benefici per Cattolica e i suoi soci e azionisti, io ho proposto al cda di non presentare l’offerta definitiva e ritirarsi dalla gara. Proposta approvata all'unanimità. È agli atti. Se avessi voluto forzare la mano verso la Spa avrei proposto il contrario, non le pare?

Cattolica è una società quotata in Borsa. Il cda ritira le deleghe all’amministratore delegato e nessuno, almeno stando alle fumose comunicazioni ufficiali, capisce bene perché. Ci fa capire? C’è stata una battaglia sotterranea per la trasformazione in Spa?
Io ho già detto che il ritiro delle mie deleghe è stata una scelta sbagliata, oltre che ingiusta. E tuttora per me poco chiara. La storia della Spa è un’invenzione. Cattolica ha migliorato la sua redditività pur restando cooperativa. Ed esistono numerose mie dichiarazioni verbalizzate in cda da cui risulta la mia posizione che non è mai stata a favore della Spa. Non ho mai lavorato per sovvertire la cooperativa. Anzi, ho lavorato per renderla più efficace, più moderna e aperta a tutti i soci.

Il suo arrivo a Verona ha attratto molti manager dall'esterno. Ed anche molti investitori, tra cui alcune società di Warren Buffett che hanno acquistato il 9% del capitale. Da loro è arrivata una spinta alla Spa che ha intimorito il board?
Né da Buffett né dai fondi internazionali che si sono mossi in scia a lui è mai arrivata alcuna richiesta o segnale di andare verso la Spa. Hanno investito in Cattolica puntando alla redditività e al progetto avviato. Non mi meraviglio che ora esprimano preoccupazione.

Un gruppo di soci ha preannunciato la richiesta di un’assemblea straordinaria per modificare le regole della cooperativa: riduzione dell’età massima dei consiglieri e del numero dei mandati consecutivi. Lei era a favore? Era sospettato di collaborare con i “ribelli” per cambiare il presidente?
Io ho definito quella richiesta di accesso al libro soci legittima, ma sono stato e resto estraneo alla sua formulazione. Credo che una vera e sana cooperativa debba tenere in considerazione e valutare le proposte di tutti i soci. Rientra nello spirito di una vera cooperativa che forse qualcuno, certo non io, vuole negare. Altro che complotto.

Cosa pensa di fare nel prossimo futuro? Resterà in cda dopo il ritiro delle deleghe e, parlando del vil denaro, l’azzeramento dello stipendio?
Quando sono arrivato in Cattolica volevo allinearmi allo spirito della cooperazione e mi sono autoridotto lo stipendio di due terzi. Ho lavorato per un progetto e ci ho creduto anche investendo in azioni, pensi che ho circa lo 0,2% del capitale. Ho investito l'intera mia liquidazione di Generali. Quanto al futuro, è stato detto che sarà portato avanti il mio piano industriale: resto in cda per vigilare che quel piano venga davvero attuato. Poi io sono un uomo di mercato: vedremo se il mercato busserà alla mia porta…

Dica la verità, si è pentito dopo anni da manager di mercato di aver accettato l'incarico in una cooperativa dalle logiche territoriali non sempre virtuose?
È vero che arrivavo da esperienze diverse. Ma sono fortemente convinto che il legame con il territorio, se bene interpretato, possa essere una risorsa. In una regione ancora sotto shock per i casi di Popolare Vicenza e Veneto Banca, il mio impegno in Cattolica ha aperto la compagnia al mercato. Quello che mi dà più soddisfazione, e chi mi conosce sa che è la verità, è che in questi anni per chi lavora in Cattolica è cambiato l'ambiente interno: da azienda con poca coesione e scarsa meritocrazia, come dimostrato dalle indagini di clima, siamo diventati un “great place to work”. Spero lo resti anche in futuro.

Per approfondire
Cattolica, revocate le deleghe all’ad Minali. Titolo in netto calo

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