Minatori, nel contratto risanamento ambientale e 165 euro di aumento
di Davide Madeddu
3' di lettura
Il futuro delle miniere? Nei minerali industriali scavati a cielo aperto. Perché mentre quelle tradizionali, con pozzi e gallerie, progressivamente si riducono, resistono quelle di superficie.
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Per i minatori impegnati nei siti che chiudono, invece, si apre la porta del risanamento ambientale. Una novità, inserita nel rinnovo del contratto di lavoro del settore che, tra le altre cose, prevede un riconoscimento (trattamento economico complessivo) di 165 euro per il prossimo triennio.
Accordo, considerato positivo da più parti, per un settore che conta, secondo i dati elaborati dalle organizzazioni sindacali, poco meno di 4mila addetti (contro i 7mila del 2010) distribuiti in una sessantina di siti ancora produttivi presenti in 14 regioni e con una maggiore concentrazione in Piemonte, Sardegna e Toscana.
«Oggi i minatori delle imprese associate ad Assomineraria sono circa 1.800 – dice Mario Diluca della segreteria nazionale Filctem – a questi se ne devono sommare circa 1.500 impiegati in aziende non associate ad Assominiere». Addetti ai lavori, «altamente specializzati», come rimarca Diluca «che lavorano in siti a cielo aperto ben lontani dall’immaginario collettivo che vuole le miniere fatte solo di pozzi e gallerie».
La produzione (il 58,5% del totale nazionale proviene da Sardegna, Toscana e Umbria) supera quota 13 milioni di tonnellate di materia prima distribuita tra circa 5,7 milioni di tonnellate di “minerali ceramici e industriali” e 5 milioni e mezzo di tonnellate“marna da cemento”. I materiali spaziano dal talco alla fluorite, continuando con le sabbie silicee il carbonato di calcio, carbonato di sodio, feldspati, quarzo, argilla, salgemma e barite. Elementi che dopo le opportune trasformazioni hanno un utilizzo nella quotidianità. Non a caso, proprio a questo aspetto l’Assomineraria ha dedicato un cortometraggio in cui ogni gesto quotidiano ha una corrispondenza con le materie prime estratte nei diversi centri d’Italia.
«Il futuro delle miniere non potrà che essere quello dei minerali industriali – chiarisce Antonio Martini, rappresentante Assomineraria e amministratore unico dell’ultima miniera di carbone ora in fase di chiusura - perché producono materie prime che possono essere lavorate in Italia, nell’ambito di un ciclo produttivo che minimizza il costo dei trasporti». Quanto alle miniere «intese storicamente» formate da gallerie e pozzi (ad eccezione di quelle già ferme e trasformate in siti turistici), Martini, che è anche ingegnere minerario, chiarisce: «di quelle ne sono rimaste attive poche. C’è la miniera della Imerys, società francese che vicino a Pinerolo che produce talco, miniera Imi Fabi vicino a Sondrio e qualche cosa in Sicilia. E la miniera di carbone della Carbosulcis ».
Il sito estrattivo sardo dove è iniziata la fase di dismissione che dovrebbe concludersi nel 2027. «Nel frattempo sono stati avviati dei progetti per dare un futuro al compendio minerario, andando oltre la trasformazione in sito museale e pensando a un futuro produttivo industriale». E mentre, nei centri che si avviano alla fine del ciclo produttivo si studiano progetti di riconversione tra scienza, ricerca e bonifica ambientale, a Gorno, nelle montagne della provincia di Bergamo la Energia Minerals Italia, proprietaria dello storico “Gorno Zinc Project” , sta procedendo alla definizione delle risorse disponibili con l’obiettivo di riavviare la produzione di piombo e zinco nel 2020.
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