Ponte Morandi, Mion (ex ad Edizione): «Se mi devono indagare lo facciano, decidano loro»
È un Gianni Mion provato ed emozionato quello che esce dall’aula del tribunale di Genova, dopo la testimonianza nell’udienza per il crollo del Ponte Morandi. Le difese: «È inattendibile»
di Raoul de Forcade
I punti chiave
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È un Gianni Mion visibilmente provato ed emozionato quello che esce dall’aula del tribunale di Genova, dopo la testimonianza resa ai magistrati, durante la quale ha affermato che i vertici del gruppo Benetton e di Autostrade per l’Italia sapevano bene, dopo una riunione avvenuta nel 2010, che il ponte Morandi «aveva un difetto originario di progettazione ed era a rischio crollo».
Il super manager, ex ad di Edizione, la holding della famiglia Benetton, ed ex consigliere di amministrazione di Atlantia, dimessosi dopo le intercettazioni in cui rivolgeva forti critiche alla gestione della vicenda del ponte (crollato il 14 agosto 2018 con 43 vittime), non ha esitato a parlare anche ai giornalisti che lo attendevano fuori dall’aula, come testimonia questo filmato raccolto dall’Ansa.
L’autocertificazione
Nonostante la riunione in cui venne evidenziato il problema, dice Mion, «nessuno pensava che crollasse, in realtà, il vero problema è quello lì». Sul fatto che la sicurezza del ponte potesse essere autocertificata dal gruppo Autostrade è netto: «Chi lo sa? Per me è una c…., una stupidaggine. Avrei dovuto far casino ma non l’ho fatto, perché non mi è venuto. Forse tenevo al posto di lavoro, chi lo sa».
Riguardo alla presenza di Gilberto Benetton alla riunione, Mion la conferma, come ha appena fatto con i giudici: «Sì sapeva che c’era quel problema e anche lui si è fidato di questa autocertificazione; a me faceva impressione perché mi sembra una stupidata; è andata così».
Poi ribadisce: «Io non sono intervento, non ho fatto niente. Provo dispiacere. Quante cose si fanno da stupidi che cercheresti di non fare». E a chi gli domanda se stimi ancora l'ex ad di Aspi, Giovanni Castelucci, risponde che «Castellucci è bravissimo». E interpreta il suo comportamento riguardo al ponte spiegando che «queste grandi società sono autoreferenziali, perché sono un riferimento per il settore. Si controllavano da sole perché il massimo della competenza era lì. Questo è il problema.C’è stata anche l’assenza del controllo statale. Secondo me (lo Stato) non ha verificato abbastanza».
L’azienda impreparata
Sul fatto che, nelle intercettazioni, abbia evidenziato un’impreparazione dell’azienda a gestire il settore autostradale, conferma: «Sì è così. Ma gli spagnoli, i partner industriali, sapevano molto bene come muoversi».
Mentre sulle critiche mosse, sempre nelle telefonate intercettate, alla gestione dei Benetton, le giustifica parlando di una sua «frustrazione» e aggiunge: «Questo lavoro è molto difficile. Noi dovevamo entrare (in Autostrade, ndr) al 4% poi siamo entrati al 18 perché sennò questo nocciolo duro non si faceva. E poi non abbiamo lavorato abbastanza per far entrare altri soci».
A chi gli chiede, poi, se ritiene una giusta conclusione il fatto che i Benetton siano usciti dal gruppo ottenendo otto miliardi, risponde: «Giusta? Se glieli hanno dato ci sarà un motivo. Questo vuol dire che avevano fatto un contratto di concessione molto buono. L’aveva fatto Castelluci paradossalmente».
La speranza di un finale diverso
E aggiunge: «Spero che adesso verifichino meglio del passato, lo spero per tutti. Io purtroppo non posso rinascere. Sono alla fine della mia corsa e speravo finisse meglio. Ho dovuto dare le dimissioni per le intercettazioni, cosa dovevo fare?». Nelle intercettazioni, gli ricordano, si era anche lamentato del fatto che i Benetton non avessero chiesto scusa subito. «Certo - risponde Mion - questo era importante. Sarebbe stato molto importante».
Alle richieste di commentare anche il comportamento di Castellucci, Mion non si sottrare: «C’è la strategia negoziale, gli avvocati. Ma penso che anche lui, che è una brava persona, se tornasse indietro non farebbe lo stesso. Però è andata così. Il problema vero è che questa cosa qui (la gestione di Autostrade, ndr) era troppo grossa per noi. Quanto a me penso sempre a tutte le cose di cui avrei dovuto preoccuparmi e di cui non mi sono occupato».
Mion afferma di non aver paura di essere indagato: «Se mi devono indagare lo facciano, decidano loro. Facciano quello che ritengono giusto. Non è detto che la giustizia trionfi sempre. Io quello che dovevo dire l’ho detto, quello che potevo fare l’ho fatto e poi c’è quello che dovevo fare e non ho fatto».
In merito, poi, alla possibilità che la società abbia pensato più ai dividendi che alla manutenzione del ponte, come lui stesso ha detto in un’intercettazione, Mion si difende: «I bilanci erano sotto gli occhi di tutti. Di segreto non c’è niente. Anche quelli che sono entrati adesso lo fanno per guadagnare, o no? Tutto quello che c’è è un contratto col concedente e ci sono i lavori straordinari che stanno facendo adesso. È la dimostrazione che potevamo farlo anche noi e non l’abbiamo fatto, perché evidentemente pensavamo che non fosse necessario. Così è andata».
La risposta della difesa di Aspi
Contro le dichiarazioni di Mion, si muovono, però, gli avvocati della difesa del gruppo Autostrade con una nota in cui si legge che «le difese rappresentano che le dichiarazioni di Mion sono risultate del tutto prive di riferimenti oggettivi e riscontrabili e rese da un soggetto che, all’esito dell’esame, si è dimostrato inattendibile».
Per certo, proseguono gli avvocati, «vi è che il signor Mion della riunione “memorabile” non ricordava il giorno, il mese, l’anno, la stagione e neppure i partecipanti e, ad espressa domanda della difesa, ha smentito la consapevolezza di qualsiasi rischio di crollo. Anzi ha confermato che gli uffici tecnici preposti avevano garantito la sicurezza della infrastruttura».
Del resto, scrivono gli avvocati, «nell’esame odierno una figura apicale di Aspi, quale l’ingegner Gennarino Tozzi (già direttore Sviluppo nuove opere di Aspi, ndr), ha escluso che, nel corso delle cosiddette induction e, in particolare, nella riunione di settembre 2010, siano mai emersi “difetti di progettazione” o rischi di alcun genere riferiti al ponte Morandi».
Infine, conclude la nota, «è ampiamente emerso a dibattimento come nessuno abbia potuto riferire a Mion di una “autocertificazione”. Infatti la sorveglianza sul ponte avveniva sia attraverso Spea sia attraverso altre società terze ed esperti qualificati che nel corso degli anni si sono avvicendati».
Ulteriori testimonianze
All’indomani della deposizione di Mion, in effetti, i magistrati hanno ascoltato la testimonianza di Tozzi, il quale, durante un incontro del comitato completamento lavori, lesse un documento di Spea sulle condizioni del viadotto che certificava come l’opera fosse sotto costante monitoraggio e che, in base alle attività d’ispezione, non si evidenziavano problemi strutturali.
Tozzi ha poi parlato di un «approccio prevaricatore» di Aspi su Spea e ha detto che era contrariato dal modo in cui venivano internalizzati dipendenti della controllata. Alcuni dirigenti, ha detto, «Portavano dentro chi piaceva a loro».
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