«Misericordia: ciascun uomo è degno di essere salvato e curato»
Domenico Giani – 59 anni, già ufficiale della Guardia di Finanza e dei Servizi segreti italiani e, fino all’ottobre del 2019, comandante della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano – è il presidente della Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia: settecento confraternite con 670mila iscritti, un buon centomila dei quali impegnati ogni giorno in opere di carità al servizio degli altri
di Paolo Bricco
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«I lanzichenecchi erano soldati mercenari al servizio di Carlo V, l’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico che nel Cinquecento sognava di unire con la forza e con le armi l’Europa sotto una monarchia universale cristiana. Nelle campagne militari in Italia si macchiarono di mille efferatezze. Nel 1527, saccheggiarono per otto giorni Roma distruggendola e compiendo ogni tipo di crimine. I lanzichenecchi erano di origini tedesche. Non avrebbero saputo dove seppellire i loro compagni morti sui campi di battaglia. Per questo, i volontari della Misericordia andavano a prendere le loro salme e davano loro sepoltura. Oggi noi delle Misercordie di tutta Italia siamo impegnati a Korczowa, al valico della Polonia con l’Ucraina, per dare soccorso ai rifugiati, in particolare ai più fragili come i disabili e gli handicappati che scappano dalle loro case invase dai russi, e stiamo organizzando l’afflusso in Italia di donne e bambini, alcuni dei quali provenienti da orfanotrofi. Allo stesso tempo se, Dio non voglia, ci fosse un allargamento del conflitto, saremmo pronti a portare il nostro soccorso anche in Russia. Perché, per noi, nessun uomo è nemico per gli altri uomini e ognuno è degno di essere curato e salvato».
Domenico Giani – 59 anni, già ufficiale della Guardia di Finanza e dei Servizi segreti italiani e, fino all’ottobre del 2019, comandante della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano – è il presidente della Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia: settecento confraternite con 670mila iscritti, un buon centomila dei quali impegnati ogni giorno in opere di carità al servizio degli altri. Siamo a Firenze, dove nel 1244 la Santa Maria della Misericordia venne fondata da otto capitani, “uomini notevoli delle arti”, due per ogni quartiere della città (Santa Croce, Santo Spirito, Santa Maria Novella, San Giovanni): chiunque – contadino o nobile, servo o commerciante – abbia aderito alla Misericordia ha avuto, in questi ottocento anni, preghiere per la sua anima, visite mediche per il suo corpo e sussidi economici per la sua famiglia.
Oggi ci ospita, nel suo spazio riservato in via delle Porte Nuove, Guido Guidi, uno specialista di ricevimenti di alto profilo di Firenze: «La mia famiglia ha una tradizione storica nell’enogastronomia. Siamo partiti da una piccola bottega in questo quartiere che, ottant’anni fa, era alla periferia della città. Abbiamo preferito non aprire mai un ristorante. Così abbiamo potuto concentrarci sulla selezione dei fornitori della nostra cucina di territorio e sulla organizzazione di eventi e sulla fornitura di catering», dice Guidi mentre ci fa accomodare.
L’amicizia fra Guidi e Giani stempera per un attimo la tensione dei discorsi sulla guerra e sull’intervento delle Misericordie («ci hanno suggerito di non separare i diciotto bambini appena arrivati dall’orfanotrofio di Irpin, una città a cinquanta chilometri da Kiev – spiega Giani – ma di tenerli il più possibile uniti, così che possano soffrire meno la solitudine e il trauma»). Sono entrambi cattolici. Citano nomi di preti e di vescovi. Ironizzano sulle loro debolezze. Lo fanno però da toscani – Giani è di Arezzo – senza dunque pretendere che i religiosi siano molto più di esseri umani: sono entrambi privi di moralismi e, ascoltandoli, hai la sensazione di essere sempre sull’orlo di passare dai ricordi sul diplomatico della Santa Sede e arcivescovo a Firenze Giovanni Benelli e sul cavallo di razza della Democrazia Cristiana Amintore Fanfani («mio padre Averardo gli era molto amico») alle battute fulminanti, divertenti e terribilmente umane degli “Amici Miei” di Mario Monicelli.
Guidi ci fa servire, come antipasto, delle scaglie di parmigiano e mandorle tostate, dei crostini con fegatino e gelatina al – naturalmente – vinsanto, una polentina fritta con sugaccio toscano, delle verdure fritte e delle microscopiche e gustose milanesi di pollo. «Assaggia quest’olio», suggerisce Giani facendone scendere una piccola quantità su un piattino e aggiungendovi un pizzico di sale, intingendovi poi un pezzo di pane toscano. «È l’olio prodotto dalla diocesi di Firenze», interviene Guidi.
Giani ha un carattere rotondo, ma esprime anche la severità del militare che, nel 2019, si è dimesso da comandante della Gendarmeria assumendosi – con dolore, in silenzio e senza autocommiserazione – la responsabilità, che non era sua, della fuga di notizie sulla sospensione, collegata alle compravendite di immobili a Londra, di cinque funzionari della Santa Sede. In vent’anni di servizio – sette da vicecomandante e tredici da comandante con Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – ha costruito un sistema di relazioni internazionali e una visione globale che nascono dalla centralità del Vaticano nelle cose terrene del mondo e che affondano nella sua capacità di professionalizzare al massimo il nocciolo duro della sicurezza d’Oltretevere, connettendola ai servizi e alle forze dell’ordine nazionali e sovrannazionali: «Nel 2008, il Vaticano è entrato a fare parte dell’Interpol. I membri della Gendarmeria sono aumentati da 130 a 200, più una cinquantina di vigili del fuoco. L’addestramento è salito di livello, anche grazie alla collaborazione della Gendarmeria con il Gruppo di intervento speciale dei Carabinieri e con l’Fbi: sono stati istituiti il Gruppo di intervento rapido e l’Unità antisabotaggio. Ho partecipato a una ottantina di viaggi dei tre pontefici. Il più emozionante con Giovanni Paolo II è stato quello, nel 2003, a Banja Luka, nella Bosnia Erzegovina che aveva contato oltre centomila morti nelle guerre dell’ex Jugoslavia. Soltanto due anni prima, nel 2001, era finita la guerra in Macedonia, l’ultima di dieci anni di conflitti nei Balcani. Con Benedetto XVI, il viaggio più complicato da organizzare è stato quello del 2006 in Turchia, successivo alla lectio magistralis all’università di Ratisbona su fede e ragione che aveva provocato forti tensioni con le comunità islamiche. Molto complesso è stato anche il viaggio di Francesco nel 2015 in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, teatro di una guerra civile, etnica e religiosa che, nella capitale Bangui, si fermò durante la permanenza del papa».
In tavola, insieme a un Chianti Classico Cortine del 2017, ci viene servita una pappa con il pomodoro con olio al basilico e basilico fresco. La sua delicatezza si sposa bene con la raffinata rusticità del successivo mezzo pacchero con ragù bianco di cinta senese al profumo di alloro.
Il padre di Domenico si chiamava Averardo ed era un funzionario delle Poste. Sua madre Lucia era una maestra: «Aveva una artrite reumatoide deformante, la sua testimonianza di fede, di speranza e di dolore mi ha molto formato». La moglie Chiara è una docente di psicologia e pedagogia all’università Lateranense. Il loro figlio Luca, 31 anni, sta frequentando un master alla Kennedy School of Government di Harvard. La loro figlia Laura, 26, lavora a Londra per l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati.
A colpire, in Giani, è la normalità. Giani è un uomo d’azione. Non è un uomo di potere e, soprattutto, non ha l’atteggiamento del predestinato. Non ha la sicurezza del prescelto che, qualche volta, può trasformarsi in sicumera. Lui è stato notato, seguito e selezionato dal Vaticano dopo che, nel 1993, aveva aiutato i frati del santuario della Verna, il luogo della comparsa delle stimmate di San Francesco, a organizzare la visita pastorale di Giovanni Paolo II. «Non avrei mai pensato di entrare in un disegno provvidenziale così ampio. Mi vedevo come un semplice cattolico, padre di famiglia e buon militare nella Gdf e dei servizi. Ho sempre eseguito il mio dovere. Ma ho anche coltivato i miei dubbi. Alla fine della Prima repubblica, ho seguito molte inchieste. Ho preferito non partecipare alla spettacolarizzazione degli interventi che era frequente nel 1992. Non ho mai messo le manette a nessuno, a meno che non fosse necessario. Soprattutto non l’ho mai fatto a favore dei fotografi e degli operatori delle Tv. Ricorderò sempre gli occhi di un imprenditore mentre lo arrestavo. Il confine fra la corruzione eseguita e la concussione subita era molto labile», racconta mentre mangiamo un eccellente filetto di passapeso di chianina con salsa al vino rosso, su purea di patate, carciofi e cavolo croccante.
Con Giani si è sempre al confine fra la quotidianità e l’eccezionalità, la cronaca e la storia. La sua identità si è, appunto, formata al crocevia fra queste dimensioni differenti e complementari. I viaggi apostolici internazionali di tre pontefici e la toscanità più terragna, l’invasione russa in Ucraina e l’attività delle Misericordie d’Italia, le serenità di alcuni e le tragedie di altri, la gioia di molti e il dolore di tutti. E, mentre centelliniamo una grappa barricata riserva 903 di Bonaventura Maschio e beviamo un caffè doppio, mi tornano in mente la passione e la pietà con cui Giani, qualche ora prima del nostro pranzo, nell’archivio storico di Piazza Duomo mi ha letto i registri del 1360 con i nomi degli affiliati di Santa Maria della Misericordia, in cui «vedi, nella doppia identità di volontari e di beneficiari, ci sono sia i grandi esploratori come Amerigo di Ser Nastagio Vespucci e le nobili come Donna Monna di D’Uguccioni sia gli sconosciuti come Nana serva di Carlo Rucellai e come Domenico, senza nemmeno il nome della professione, ma semplicemente figlio di Piero. Perché tutti hanno diritto alla pietà e al soccorso. In ricchezza e in povertà. In ogni tempo. In guerra e in pace».
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