Missione Vietnam: 40 anni fa il salvataggio dei «boat people»
Il governo Andreotti decide l'invio di tre navi verso il Golfo del Siam: gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria e la nave appoggio Stromboli. Alla fine vengono tratti in salvo 907 profughi. È la fine di un incubo grazie a uno sforzo collettivo che resta forse un caso unico nella storia d'Italia per modalità e rapidità di esecuzione
di Carlo Marroni
4' di lettura
Era il tardo pomeriggio del 27 giugno di 40 anni fa, il 1979. All’incrociatore Vittorio Veneto della Marina Militare italiana arriva un cablo urgente: salpare da Tolone subito per Taranto. Lo stesso accade nella Andrea Doria, in quel momento a Barcellona. L’ordine che arriva dal comando è chiaro: una volta riunite le navi dovranno dirigersi verso le coste del sud est asiatico, a largo del Vietnam. L’obiettivo è salvare vite umane.
Le tv in quei giorni drammatici mandavano le immagini di migliaia di civili vietnamiti scappati dal regime comunista di Hanoi, che stava trasformando il paese in un gigantesco gulag. Queste persone, uomini, anziani, donne e bambini, respinti dagli stati confinanti, aggrappati a scialuppe fradice, sbattuti tra le onde del Mar Cinese Meridionale, in preda a burrasche e pirati, sono passati alla storia come “boat people”.
La decisione della Missione Vietnam fu assunta dal governo presieduto da Giulio Andreotti, alla guida del suo quinto esecutivo: in quell’estate l’esecutivo era alle prese con uno dei momenti più cupi degli anni di piombo e strangolato da un’inflazione alle stelle, ma non ebbe dubbi su quello che doveva essere fatto. Fu deciso l’invio di tre navi verso il Golfo del Siam: gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria e la nave appoggio Stromboli. La data di partenza fu fissata il 4 luglio. La guida “politica” dell’operazione fu affidata al ministro della Difesa, Attilio Ruffini, e al deputato Giuseppe Zamberletti, che già aveva dato prova di grande valore nella gestione delle emergenze. Era la prima volta che delle navi militari italiane andavano a salvare dei profughi, e certamente resta unica per la lontananza dei luoghi dell’intervento.
L’8 luglio le navi si riunirono a Creta e passarono il Canale di Suez (chi scrive era presente al loro transito nella tratta finale del canale, ndr). Dopo una sosta a Singapore le navi arrivarono in zona operazioni il 26 luglio, quando giunse la prima segnalazione di un’imbarcazione alla deriva nei pressi di una piattaforma petrolifera della Esso. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare dell’Italia e sono venute per aiutarvi. Se volete, potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi vi porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e infine assistenza e medici. Dite cosa volete fare e di cosa avete bisogno». Queste furono le parole - pronunciate da uno dei sacerdoti vietnamiti messi a disposizione dal Vaticano come intrepreti, assieme ad uno studente – usate per comunicare con i barconi, un pezzo di storia che va ricordata in questa fase delle vita nazionale che l’Italia impegnata a salvare profughi e migranti.
Furono effettuati poi diversi salvataggi, e ognuno sarebbe una lunga storia da raccontare, i percorsi compiuti dai profughi, gli attacchi dei pirati, gli stupri, le morti in mare, gli abbandoni da parte della marina malese, tutti fatti raccontati tra gli altri da monsignor Luigi Callegaro, cappellano capo della Squadra Navale che partecipò alle spedizione.
Le operazioni di recupero terminarono il 1 agosto , quando la disponibilità di spazio a bordo era al completo: fino a quel momento erano state percorse 2640 miglia ed esplorati 250mila km2. Erano stati tratti in salvo 907 profughi, la gran parte affetti da denutrizione, disidratazione, dermopatie miste e altre patologie. Un lieto evento fu salutato il 31 luglio con la nascita a bordo di un bambino, evento funestato dieci giorni dopo dal decesso di un altro bambino. In Italia sbarcheranno il 21 agosto 891 persone: alcune si fermeranno per cure a Singapore, e poi raggiungeranno l’Italia in seguito.
Lunedì mattina 21 agosto l’arrivo a Venezia. Ad accoglierli il ministro della Difesa Ruffini, Zamberletti e tutti gli alti gradi militari del paese (nel frattempo c’era stata una crisi di governo e si era insediato il Cossiga I, Ruffini era stato confermato, Zamberletti nominato sottosegretario). Ai membri della spedizione il ministro della Difesa disse con orgoglio: «La vostra è stata un’opera umanitaria apprezzata da tutta la Nazione».
I profughi furono subito messi in cura, una sorta di quarantena, la metà a Chioggia e il resto in strutture del Friuli. Era finito un incubo grazie ad uno sforzo collettivo che resterà forse un caso unico nella storia d’Italia per modalità e rapidità di esecuzione. Le navi, pur restando imbarcazioni da guerra, furono trasformate in grandi centri di accoglienza, e tutto funzionava a ritmo continuo: le infermerie, le lavanderie, le cucine. In mezzo 125 bambini, che scorrazzarono sul ponte di volo. Il momento di massima aggregazione – ricorda sempre Callegaro – era alla sera, al momento della Preghiera del marinaio. E chi è stato sulle navi, credente o meno, sa che quello è un momento speciale.
Scrisse anni dopo il ministro Ruffini: «Una vicenda che mi riempie ancora di commozione riguarda i vietnamiti fuggiaschi dal Vietnam del Nord. Scappavano via mare su barche, zattere, imbarcazioni di fortuna. Naufragavano a migliaia, e a migliaia venivano assaliti e uccisi da moderni pirati. Come spesso purtroppo accade di fronte alle tragedie degli altri tutti ne parlavano, tutti si commuovevano, ma nessuno faceva niente (…) Ricordo i visi di quelle persone e di quei bimbi meravigliosi, e i loro sguardi di gratitudine quando sbarcarono a Venezia. Mi dissi allora che potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici».
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