Moda made in Italy, dai valori la spinta alla crescita globale
Le aziende del settore hanno combattuto contro la congiuntura negativa vincendo sul fronte dei ricavi e registrando una crescita sostenuta delle vendite all’estero. Merito anche dei valori del made in Italy che sono sempre più apprezzati. Necessitano però investimenti
di Marta Casadei
3' di lettura
Anticipiamo l’articolo di apertura dello Speciale Moda Donna di Moda 24 in edicola domani con Il Sole 24 Ore. Lo speciale di 28 pagine raccoglie i numeri e le interviste e racconta le sfide del settore nel 2023. Non mancano poi le nuove collezioni e i prodotti beauty in vetrina.
La moda italiana, insieme ai cosiddetti settori collegati, lo scorso anno è riuscita a vincere la battaglia con la congiuntura negativa e ha saputo creare valore economico: poco meno di 100 miliardi di euro di fatturato, 30 miliardi di surplus commerciale, dato che fotografa la differenza tra esportazioni e importazioni e, in questo caso, l’importanza strategica della moda italiana nel business globale.
Eppure le sfide non sono finite: il 2023 si è aperto con un cauto ottimismo legato all’abbassamento del prezzo del gas e alle previsioni positive sull’inflazione in calo, ma sulle aziende della filiera pesa l’aver assorbito i rincari per evitare di riversarli sul consumatore finale. Che ha dovuto fare i conti con un calo del potere d’acquisto dovuto all’aumento del costo della vita, dalle bollette ai viaggi aerei. E i ricavi, secondo i Fashion economic trends di Camera moda, sono previsti in crescita del 4% contro il +18% del 2022.
Il sistema moda deve dunque fare i conti con una frenata all’orizzonte. Ma anche con la consapevolezza di essere uscito in qualche modo rafforzato sia dal biennio pandemico sia dall’anno di guerra che ne è seguito; il made in Italy ha saputo imporsi oltre confine con crescite a doppia cifra in pressoché tutti i mercati, spinto “tecnicamente” dalla debolezza dell’euro ma anche dall’apprezzamento sempre maggiore che i clienti internazionali dimostrano verso il “fatto in Italia”. Interesse che è confermato dalle operazioni di M&A che hanno visto grossi gruppi (Lvmh in prima fila) acquisire storici façonisti nel tentativo di assicurarsi un tratto di filiera “intatta”.
Come raccontiamo nelle pagine di questo speciale dedicato alla moda donna i valori sono ciò che “traina” gli acquisti da parte delle nuove generazioni: valori globali (come appunto la qualità e la sostenibilità), ma anche locali: lo hanno capito le aziende, che (anche solo per finalità di marketing) realizzano ad hoc collezioni benaugurali per il Capodanno cinese o per il Ramadan, ingaggiano come global ambassador star del pop coreano, e stanno faticosamente cercando di trasformare un mondo che per ora ha brillato per apparenza - con ideali di bellezza che, seppur diversi a seconda dell’epoca, sono stati a loro modo standardizzati - in un mondo di sostanza.
La forza del made in Italy è l’essere, di per sé, sostanza: 60mila aziende e circa 600mila addetti; un tessuto imprenditoriale dalle lunghe radici (alcune delle aziende che raccontiamo in queste pagine hanno oltre 100 anni di storia alle spalle) e una filiera che produce guardando a valori come la creatività, la qualità, l’innovazione e l’attenzione alla sostenibilità. Che non è solo un trend relativamente recente: per molte aziende che lavorano in sinergia col proprio territorio di riferimento è una conditio sine qua non. La scommessa, dunque, è proprio rimanere il più fedeli possibile a questi valori - che, finalmente, dopo anni di ubriacatura da fast fashion collimano con quelli dei consumatori - per crescere sempre di più a livello globale.
Come spesso accade, sembra semplice ma non lo è affatto: coltivare questi valori comporta investimenti in tecnologie - la tracciabilità, di cui molto si parla, è uno degli strumenti per certificare la provenienza (e quindi la sostenibilità) dei prodotti - in capitale umano e in formazione: decine di migliaia di persone che oggi ricoprono ruoli tecnici nelle aziende di moda (addetti al cucito, modellisti, sarti, orafi) nei prossimi anni andranno in pensione e vanno poste le basi per il ricambio generazionale.
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