ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùGli eventi di giugno

Moda maschile, il ritorno del vestirsi “bene” spinge il fatturato delle aziende

L’industria del menswear made in Italy ha chiuso l’anno superando 11,3 miliardi di fatturato (+20,3% sul 2021), in salita di 1,2 miliardi sul 2019.

di Silvia Pieraccini

3' di lettura

La moda italiana, e in particolare quella maschile, ha girato la boa del 2022 con tanti segni “più”, sospinta dal vento del post-Covid che ha stimolato viaggi, eventi, cene e feste, e dunque acquisti di abiti, scarpe e borse. Si apre col sorriso Pitti Uomo, la più importante fiera al mondo di moda maschile che da oggi al 16 giugno presenta, alla Fortezza da Basso di Firenze, le collezioni per la primavera-estate 2024 di 825 marchi, per il 41% esteri, e attende almeno 15mila compratori (più migliaia di altri addetti ai lavori). Cina e Russia restano gli “osservati speciali”, sia per le dinamiche politiche che per le strategie d’acquisto.

Secondo le stime di Confindustria Moda, l’industria tricolore della moda maschile (che aggrega l’abbigliamento in tessuto e pelle, la maglieria, le camicie e le cravatte) ha chiuso l’anno superando 11,3 miliardi di fatturato (+20,3% sul 2021) e, soprattutto, recuperando e migliorando i livelli pre-Covid: rispetto al 2019 l’aumento delle vendite è di 1,2 miliardi, valore che incorpora l’incremento dei prezzi legati a materie prime, energia, trasporti e inflazione.

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Traino dall’export grazie agli Stati Uniti

A trainare è stato l’export (+24,8% a quasi 8,3 miliardi), arrivato a pesare il 73% del fatturato: la moda maschile italiana è sempre più apprezzata oltreconfine, con gli Stati Uniti vero Paese-superstar capace di segnare +68,6%, toccando 858 milioni di euro. Prima degli Usa si piazzano la Svizzera, con la sua natura di piattaforma distributiva, la Francia e la Germania.

Il 2022 ha visto schizzare verso l’alto anche l’import di moda maschile (+43,9% a quasi 5,8 miliardi), tanto che il saldo commerciale è sceso a 2,5 miliardi (-115 milioni). Nei primi due mesi del 2023 l’export ha continuato a crescere (+21%), ipotecando un altro anno positivo per le aziende italiane; stesso trend in aumento prosegue per l’import (+24,6%). Ma è proprio quando le cose vanno (abbastanza) bene, che si deve pensare a migliorare. Il primo terreno su cui la moda ha bisogno di farlo è quello della sostenibilità, che fino a oggi è stato affrontato più sul fronte marketing che su quello produttivo-distributivo, e che è alla vigilia di grandi cambiamenti in grado di redistribuire le carte.

Il settore moda alla sfida green

Come spiega l’economista Marco Ricchetti, che da anni analizza il settore moda, la direttiva europea in arrivo sul greenwashing imporrà il passaggio da un sistema dominato da scelte volontarie a un sistema di norme stringenti che abbraccia le informazioni da fornire al consumatore, i requisiti necessari per certificarsi, il tipo di certificazione “ammesso”. E queste regole varranno per tutte le aziende, anche se sono previste salvaguardie e condizioni più flessibili per le piccole e medie imprese. Il rischio dunque è che i “piccoli”, che non hanno risorse per fare investimenti, siano tagliati fuori dal mercato, e che il divario tra grandi e piccoli si allarghi ancora di più.

Ma i vincoli legati alla transizione ecologica arriveranno anche dal regolamento europeo (ancora a livello di proposta) sull’eco-design, che introduce requisiti sulla durata e riparabilità dei prodotti per evitare lo spreco, e prevede l’obbligo del passaporto digitale con le informazioni sulla composizione dei prodotti per renderli più facili da riciclare e riparare e più sicuri; e dalla direttiva Csrd che dal 2024 estenderà l’obbligo del bilancio di sostenibilità (contenente le informazioni ambientali e sociali, accanto a quelle economiche) a tutte le aziende con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore a 50 milioni e un bilancio annuo di almeno 43 milioni. Nel giro di qualche anno, dunque, il settore della moda sarà investito da cambiamenti radicali nel nome della trasparenza e della tutela dell’ambiente: se non vogliono essere tagliate fuori, le Pmi italiane devono cambiare visione e cambiare azione. Anche le fiere come Pitti possono stimolarle.

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