birmania

Mohammed come Aylan, bambini immagine di una tragedia

di Alberto Negri

2' di lettura

L’immagine di Aylan, il bambino curdo siriano riverso senza vita su una spiaggia della Turchia, commosse il mondo e divenne il simbolo della tragedia dell'immigrazione. La foto di Mohammed Shohayet, annegato insieme alla mamma, il fratellino di tre anni e lo zio mentre tentavano la traversata del fiume Naf, tra Birmania e Bangladesh, è il fotogramma di un'altra tragedia: di una guerra che in realtà si è tramutata in una vera e propria pulizia etnica. Il piccolo era di etnia Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata dai militari birmani. Il governo, però, di cui è membro Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace nel 1991 e simbolo della lotta per i diritti umani, continua a negarne il genocidio.

Secondo stime dell'Oim, l'agenzia Onu per le migrazioni, negli ultimi mesi 34mila Rohingya sono fuggiti in Bangladesh attraverso il fiume Naf. Musulmani, di lingua affine al bengalese, sono circa un milione e vivono nello stato birmano occidentale di Rakhine. Le organizzazioni umanitarie denunciano che sono stati privati di diritti più elementari e la grande maggioranza dei birmani li considera immigrati provenienti dal Bangladesh, insediati illegalmente in Birmania. In realtà discendono dai commercianti musulmani che si stabilirono nel paese più di mille anni fa e gruppi di rohingya vivono anche in Bangladesh, Arabia Saudita e Pakistan.

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Shock per bimbo Rohingya morto. Birmania nega genocidio

Dal 2012 a oggi i rohingya e altri musulmani birmani hanno subìto violenti attacchi da parte della maggioranza buddista che ha incendiato interi villaggi e ucciso centinaia di rohingya: non solo il governo birmano ha formalmente annullato le carte d'identità temporanee che rappresentavano l'ultima forma di identificazione ufficiale privandoli anche del diritto di votare.

In autunno è iniziata un'operazione militare per eliminarli. È un'ombra pesante sulla nascente democrazia birmana dove i militari dietro le quinte comandano ancora. Ma è anche una macchia sull'immagine di Aung San Suu Kyi che sulla vicenda è rimasta in silenzio. Questa foto grida al mondo che non si può tacere.

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