dopo il #metoo

Molestie: l’ultimo grande segreto aperto

A lungo taciute non perché nascoste ma perché ritenute normali le molestie sessuali nel mondo del lavoro hanno un effetto profondamente discriminatorio. L’illuminante saggio curato da Patrizia Romito e Mariachiara Feresin

di Lara Ricci

(Thomas - stock.adobe.com)

4' di lettura

La psicologa Louise Fitzgerald dell’Università dell’Illinois le ha definite con un ossimoro: «L’ultimo grande segreto aperto». Come altre forme di violenza contro le donne, anche le molestie sessuali sono state infatti a lungo invisibili, non tanto perché nascoste quanto perché considerate normali, osserva Patrizia Romito, docente di Psicologia sociale all’Università di Trieste nel lucido e necessario saggio Le molestie sessuali . Riconoscerle, combatterle, prevenirle. Ritenute un prezzo che le donne devono pagare per frequentare luoghi pubblici, come la strada o i mezzi di trasporto, la scuola e il mondo del lavoro, sono invisibili anche per il modo fuorviante con cui sono spesso interpretate: non come un attacco alla libertà e alla dignità femminile, un atto spesso ostile e con gravi conseguenze, sia sul piano personale che su quello professionale, «bensì come scherzi o battute, complimenti, forme di corteggiamento o irreprimibili manifestazioni di virilità».

Fondamentale dunque, per iniziare a prenderne coscienza, delinearle chiaramente. Tra quelle proposte da Romito prendiamo la definizione sviluppata nel 1990 dalla stessa Fitzgerald, tra le prime a studiarle, dividendole in tre categorie principali: le molestie di genere, che possono includere commenti offensivi sulle donne, osservazioni inappropriate sull’aspetto fisico, allusioni sessuali, esposizione di immagini pornografiche; l’attenzione sessuale indesiderata, come nel caso di proposte insistenti di appuntamenti, contatti fisici indesiderati e che provocano disagio; e la coercizione sessuale, ad esempio minacce e ricatti sessuali, definiti anche quid pro quo (qualcosa al posto di qualcos’altro).

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Tre tipologie che, nota Romito, non trovano sempre corrispondenza fra i reati previsti dall’ordinamento giuridico italiano, dove manca una legge penale specifica per le molestie sessuali, nonostante siano ormai numerose le ricerche che mostrano «gli effetti devastanti» sulla salute (come sentimenti di rabbia, frustrazione e impotenza; sintomi di depressione, ansia e di disturbo da stress post-traumatico; desideri suicidari, disturbi alimentari, del sonno; mal di schiena; ipertensione; strategie di fronteggiamento malsane, come fumare, assumere alcol, droghe o farmaci psicotropi), il morale, e le performance delle vittime, donne o uomini che siano. Danni che da punto di vista giuridico si possono configurare come patrimoniali (quando si è costretti a lasciare il lavoro o a rinunciare ad avanzamenti di carriera), biologici, morali e esistenziali. Danni anche per la società, per il mancato contributo di intelligenze che le persone messe da parte e depotenziate potrebbero dare, anche per riequilibrare lo sbilanciamento di potere cui le molestie sono connaturate (in particolare la gravissima situazione emersa dall’indagine della Fnsi sulla presenza pervasiva delle molestie verso le giornaliste nei media italiani può spiegare perché nel nostro Paese se ne parli così poco).

C’è voluta l’esplosione - purtroppo non in Italia - del movimento MeToo (fondato nel 2006 da un’attivista afroamericana, Tarana Burke) - quando nel 2017 l’attrice Alyssa Milano, subito seguita da molte altre, ha denunciato le aggressioni e i ricatti sessuali subiti dal potente produttore cinematografico Harvey Weinstein con un post che ha generato 24 milioni di risposte in 24 ore (e ancora si moltiplicano) - perché ci si rendesse conto delle proporzioni del fenomeno delle molestie, del fatto che è «un trauma sistemico» e uno dei principali freni all’ingresso e alla progressione delle donne nel mondo del lavoro, nonostante questo aspetto fosse già stato chiaramente messo in luce negli anni ’70 dalla giurista statunitense Catharine MacKinnon, che aveva sviluppato una teoria delle molestie sessuali come forma di discriminazione di genere contro le donne sul lavoro, un approccio ratificato nel 1986 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, che le ha dichiarate illegali proprio in quanto discriminatorie. «Lungi dall’essere una forma “minore” di violenza maschile (rispetto alle violenze da parte del partner o agli stupri) le molestie sessuali, per la loro ubiquità, la banalità che viene loro attribuita, nonché le funzioni che assolvono, rappresentano un elemento portante del sistema patriarcale», scrive Romito.

C’è voluto il MeToo perché si cominciasse a parlare della dimensione sociale del problema, ma anche perché molte donne riuscissero semplicemente a verbalizzare e a contestualizzare quel che da sempre hanno subìto. Riconoscere le molestie sessuali implica infatti, a livello personale e sociale, un percorso di consapevolezza che può essere lungo e complesso. Uno dei molti pregi del saggio Molestie sessuali, costituito dai contributi di alcune brave studiose del fenomeno, è proprio il saperlo delineare, tramite una parte di contestualizzazione storico-sociale che riassume i principali studi sul tema e una parte di ricerca che si avvale di interviste svolte presso il Laboratorio di psicologia sociale e di comunità dell’Università di Trieste, e che mostrano come per le donne, e in particolare le ragazze, sia ancora difficile dare un nome alle molestie, difendersi efficacemente e denunciare. L’incapacità di denunciare e di difendersi delle donne, sottolineano le studiose, non è imputabile a queste, come già messo in luce da Simone de Beauvoir nel 1949, ma connaturata al sistema patriarcale. E identificare la resistenza delle vittime nella capacità di fare denuncia è «una semplificazione fuorviante che rischia di danneggiare le donne, facendo pagare loro, sul piano simbolico o concreto, il prezzo dell’incapacità sociale a prevenire le violenze o a sostenere chi le ha subite». A completare questo quadro tanto ricco e articolato avanziamo un suggerimento: iniziare a considerare anche la violenza indiretta, ma non involontaria, cui i superiori gerarchici sottopongono le donne promuovendo le loro amanti a discapito delle altre. Una forma più velata ma molto diffusa di ricatto sessuale.

Le molestie sessuali

a cura di Patrizia Romito
e Mariachiara Feresin

Carocci, pagg. 198, € 17

Riproduzione riservata ©

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