Momentum: la Biennale Nordica sceglie il collettivo
La dodicesima edizione curata dal gruppo Tenthaus presenta 90 artisti, collettivi e istituzioni e mette in scena un’arte partecipata e collettiva: al centro libertà, ambiente, economia, identità e poesia
di Giovanni Gasparini
I punti chiave
4' di lettura
Giunta alle sua dodicesima edizione in 25 anni, Momentum la Biennale che ha sede nella bucolica campagna dell'isola di Jeloy a sud di Oslo, presso la organizzatrice Galleri F 15 di Alby (Moss) apre le porte e il parco dal 10 di giugno all’8 ottobre. Come già accaduto per l'ultima Documenta a Kassel, la direzione ha scelto di sperimentare il modello della gestione collettiva, coordinata dal gruppo curatoriale Tenthaus basato in Norvegia ma con partecipazione internazionale, fra cui Matilde Balatti trasferitasi in Norvegia da Lecco.
Il titolo ‘Together as to Gather' è un gioco di parole che richiama all'agire sociale come risposta alle crisi moderne, e il testo di invito ci chiarisce l'intenzione dei 90 fra artisti, collettivi ed istituzioni presenti: ‘Non vi è un tema di riferimento specifico, se non la scusa di riunirsi e condividere esperienze insieme'.
Per il direttore uscente di Galleri F15, Dag Aak Sveinar: <Questa 12ª edizione della biennale MOMENTUM, intitolata ’Together as to Gateher’, è la prima ad essere curata da un collettivo. Indubbiamente, questa collaborazione con Tenthaus ha reso ancora più evidente la missione di questa biennale, che è sempre stata quella di sperimentare modelli curatoriali innovativi e supportare pratiche artistiche originali, sia nel contesto nordico che a livello internazionale>.La ricchezza petrolifera e l'impostazione socialista del paese veicolano significativi fondi pubblici alla cultura, permettendo un esercizio libero dalle tipiche costrizioni del rapporto fra mercato ed istituzioni, ma allo stesso tempo può presentare un limite per lo visibilità internazionale.La concomitanza con il weekend delle gallerie aperte a Zurigo e l'inaugurazione della settimana di fiere a Basilea raffigurano questo conflitto che è anche di calendario.La gestione simpaticamente anarchica dell'evento è comunque istituzionalizzata dall'interiorizzazione delle regole tipica del paese, con un risultato godibile per lo spettatore anche culturalmente alieno. Ne è esempio il caos controllato del progetto in esterno ‘Rage Room' che invita a ‘sfogarsi' artisticamente imbrattando e distruggendo oggetti all'interno e all'esterno di un container, qualora la serenità della natura circostante non fosse sufficiente a rilassarsi.
La destinazione
La Biennale vive nella costante tensione fra radicamento sul territorio e dimensione internazionale.La sua localizzazione geografica la rende meta di destinazione dalla vicina capitale norvegese, oltre che al pubblico locale giunto per l'occasione, mentre l'apertura ad artisti e curatori da ogni parte del mondo attrae il mondo dell'arte contemporanea.La presenza di un collettivo artistico indonesiano e diversi partecipati da parti dell'Asia è ben narrata nello spazio di documentazione e biblioteca in cui campeggia una mappa con le distanze chilometriche dei luoghi di provenienza dei libri d'artista. È interessante la tensione che si percepisce fra l'approccio critico al sistema occidentale e capitalistico, lo stesso che allo stesso tempo proprio tramite commerci, ricchezza e libertà individuali permette lo sviluppo di attività che spesso sono negate nei paesi d'origine degli artisti stessi. L'aspetto ecologico è ovviamente uno dei temi in discussione, e la riflessione cade sul rapporto fra la riserva naturale in cui risiede la Biennale e l'intervento dell'uomo, in particolare nella gestione dell'acqua, tramite un progetto specifico che coinvolge autorità e popolazione locale, rappresentato artisticamente da una condotta da cui si sente scorrere l'acqua.
Le opere
Nonostante l'aspetto immateriale e performativo di molti progetti, la Biennale ha permesso la produzione di lavori fisicamente permanenti. Lo spirito collettivo è ben presente nei lavori promossi dall'artista tedesca Stephanie Luning, ‘Dipinti Collettivi' creati con la partecipazione del pubblico invitato a deporre su una tela assorbente dei ghiaccioli pigmentati con elementi naturali. Il risultato finale è sorprendentemente piacevole e poetico, tipico di un processo corale e non cacofonico, metafora della bellezza come prodotto della cooperazione. L'approccio poetico al colore si ritrova anche nei lavori di Thomas Iversen, che produce pigmenti con resti delle facciate di edifici, tramite un processo che celebra l'effimero e ricava arte permanete dallo sgretolarsi delle architetture nel tempo. L'approccio di Alessandro Marchi, ingegnere ed artista italiano da lungo basato in Norvegia, consente una partecipazione successiva al lavoro, invitando gli spettatori a commentare il suo complesso lavoro di mappatura delle realtà economiche del suo paese d'adozione. Il prodotto di questa ricerca è una grande mappa visiva di simboli tendenzialmente noti al grande pubblico, rappresentativi delle principali industrie del paese e grandi proprietari immobiliari, con una critica fattuale alle loro intenzioni di lasciare il paese a causa della possibile re-introduzione di una tassa sull'eredità cancellata nel 2014. Questi simboli sono ripresi da cinque totem in legno dispersi nel giardino, fondendo efficacemente cultura visiva tradizionale con la modernità dei rapporti economici e politici di oggi. Fra questi non può mancare la famiglia Fredriksen, grandi collezionisti d'arte: una serie di lavori contemporanei di grandi nomi della listo collezione è al momento in mostra al Museo Nazionale di Oslo.
La Norvegia gode di una radicata tradizione di collezionismo privato che in passato ha
sostenuto artisti come Munch. Nonostante la vicinanza storica e geografica, il tema della guerra è presente con una sola opera del 75enne scultore di origine polacca Marec Sobocinski ‘Slava' , scultura che combina frammenti di pietra, metalli contorti e il blu caratteristico della bandiera Ucraina. L'ispirazione dall'Arte Povera è evidente nel lavoro del settantenne artista di origine africana e da quarant'anni in Norvegia Germain Ngoma ‘Forest' che utilizza tronchi e pietre della vicina foresta trasformandoli in figure verticali: un'opera ‘a chilometro zero' che ben si integra nella realtà della Biennale. Non poteva mancare un lavoro relativo ai temi della identità politica e di genere, raffigurato dai tessuti di Jaanus Samma (artista 40enne basato a Tallinn) ‘National Utopia' che combinano i pattern colorati dei vestiti tradizionali norvegesi con le forme di indumenti intimi suggestivi di pratiche sessuali molto meno tradizionali. Si torna, infine, alle dinamiche collettive con il Progetto PRINT, un laboratorio di stampa accessibile ad artisti e visitatori, un omaggio alla libertà creativa. E proprio la libertà creativa è la vera protagonista della Biennale Momentum 12, una libertà a volte contraddittoria e paradossale, non facile da raccontare ma bella da vivere.
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