Moncler alla prova del modello di business. Pro e contro della strategia del brand
Investimenti capitalizzati al 6% del giro d’affari. Focus su qualità e contemporaneità del prodotto. I rischi di inflazione e riscaldamento climatico
di Vittorio Carlini
I punti chiave
6' di lettura
Il modello di business. Cioè: in parole semplici, l’insieme di soluzioni organizzative e strategie che un’azienda concretizza per sviluppare l’attività e acquisire vantaggio competitivo. Tutte le imprese ce l’hanno, o dovrebbero averlo. Moncler, di cui la Lettera al risparmiatore ha sentito i vertici, ha sviluppato il proprio modello d’affari. Si tratta di un approccio dove, evidentemente, il gruppo persegue la qualità, innovazione e contemporaneità del prodotto. «Oltre a ciò, però - spiega Manuela Balli, direttore del Metaverse Marketing Lab del PoliMi ed esperta di lusso- l’azienda punta, da una parte, a mantenerne la stessa esclusività; ma, dall’altra, ha spinto per conseguirne anche inclusività».
Cioè: creare un senso di appartenenza del «cliente all’habitat di valori legati al marchio» in modo da individuare «un preciso stile di vita». Si tratta di duplice obiettivo «complesso da concretizzare - aggiunge Emanuela Prandelli, Direttore Master in fashion, experience e design management della Sda Bocconi- il quale, tra le altre cose, viene conseguito attraverso il rafforzamento delle comunità dei clienti». Gruppi di utenti che, per l’appunto, «si identificano in quelli che sono i valori espressi dal brand».
Le community
Già, le comunità dei clienti. Queste sono varie ed articolate. Non di rado possono, per alcune caratteristiche, sovrapporsi le une sulle altre. In generale, comunque, - rispetto al marchio Moncler - vengono richiamate tre community cui corrisponde la triplice dimensione del brand stesso. Così c’è la generazione X/Millenials (30-50 anni) per Moncler Collection. Poi, la generazione Active Millenials (30-40 anni) cui fa rimento Moncler Grenoble. Infine: la Z generation (20-30) legata alla collezione Genius.
Proprio rispetto a quest’ultima può richiamarsi un esempio recente di come Moncler punti a rafforzare la community: la collezione Moncler Genius x Pharrell Williams. In quest’occasione la società del lusso ha concretizzato la co-creazione. In altre parole: la realizzazione dei capi è interna all’azienda. Il design, invece, è condiviso e ispirato da un soggetto terzo - qui il noto cantante- che appartiene ad un mondo diverso dalla moda (ad esempio musica, cinema, o fotografia). In tal modo, il gruppo rafforza la community del brand attraverso il dialogo/narrazione proposto- nel caso in oggetto - ai fan del musicista. Ma non è solo la generazione Z. Il fil rouge della comunità è presente in altri contesti. Nella Moncler collection (indirizzata ad una clientela più vasta) uno strumento sfruttato è quello delle cosiddette sotto-collezioni. Cioè: prodotti che, all’interno dei paradigmi generali della collection stessa, sono contraddistinti da nuove caratteristiche in modo da soddisfare i cambiamenti del gusto (solitamente) di una parte della comunità stessa.
Di più. Il tema trasversale riguarda anche i negozi fisici (per la strategia sulle boutique vedere box sotto grafici) e la modalità con cui si pongono e sono realizzati . Un esempio? La prossima apertura di una boutique a Saint Moritz, la quale ha soprattutto l’obiettivo di “parlare” alla comunità degli sciatori esperti, che vivono l’esperienza sulla neve in maniera tecnica. In conclusione: la community è rilevante per Moncler.
Un discorso che vale anche per Stone Island? Qui a ben vedere - provenendo il brand da un business basato sui distributori- l’obiettivo primario è costruire la cultura del retail. Ciò detto, però, il fil rouge “delle comunità” è presente. Basta ricordare il concerto del rapper Dave che, a Glastonbury, ha cantato davanti a oltre 200.000 persone vestendo i capi del marchio della “rosa dei venti”. Una situazione in cui, di nuovo, la comunity del pubblico del rapper viene in “contatto” col brand controllato da Moncler. Insomma: appare chiaro come il gruppo - secondo gli esperti più di altre aziende - metta al centro le comunità dei clienti. Al che si domanda: la strategia funziona? Unitamente ai dati di vendita in crescita, la società sottolinea un aspetto. Dopo l’evento tenuto a Londra lo scorso febbraio (di cui fa parte la stessa Moncler Genius x Pharrel Williams) gli utenti della Generazion Z che si sono loggati (collegati) al sito moncler.com sono aumentati di circa il 60%. Il segnale, dice il gruppo, che la strada è quella giusta.
Il mondo digital
Dalle community al mondo digitale. Anche il digital fa parte (ovviamente per altre stesse società del lusso) del modello di business di Moncler. «Su questo fronte - riprende Prandelli - la strategia obbligata», e perseguita dall’azienda, «è quella dell’omnicanalità». In primis perché il consumatore del lusso «è sempre più “nomade” nell’interazione con il marchio, accedendovi attraverso diversi punti d’ingresso». E, poi, perché «è una modalità grazie alla quale la società, nei limiti posti dalle leggi, comprende a tutto tondo comportamenti e desideri del consumatore. Con il che è possibile gestire al meglio la relazione con lui e, di conseguenza, vendere il prodotto». A fronte di un simile contesto non stupisce che Moncler confermi da un lato, per l’omonimo marchio, circa il 25% dei ricavi dal digitale al 2024 ; e dall’altro indichi, seppure forse traslato sul 2025, fino al 20% delle vendite per Stone Island (inclusi direct e e-tailers). Peraltro, va sottolineato, il mondo digitale non si limita ai canali distributivi. Un’importante attività di marketing (per ulteriori dettagli vedere box in alto) e story telling avviene, infatti, nei social network. Piattaforme - di nuovo il fil rouge compare - dove spesso le community si muovono, si espandono ed interagiscono.
Sennonché il risparmiatore esprime un dubbio. La spinta sul digitale, in tutte le sue forme, crea un forte rischio: quello che si realizzi la diluizione del brand, la perdita dell’ “allure” del medesimo. Moncler rigetta il dubbio. La paura, viene spiegato, poteva aversi diversi anni fa quando il digital è comparso per la prima volta nel settore. In realtà, dice sempre il gruppo, la strategia che si è affermata è l’omnicanalità. Vale a dire: il digitale e il fisico, nelle loro diverse forme, interagiscono e si integrano a vicenda. A fronte di ciò, è l’indicazione, la vera sfida è perseguire la coerenza -rispetto al marchio e i suoi valori - tra i vari canali e touch point. Ma qui, conclude il gruppo, i risultati raggiunti mostrano che la strategia è corretta: a fine 2022 circa il 16% dei ricavi è generato dal digitale e, nel primo semestre del 2023, il canale in oggetto cresce a doppia cifra percentuale e spiega la strategia dell’attenzione alle opportunità offerte dall’hi tech.
Conto economico e inflazione
Al di là di ciò il risparmiatore guarda anche al conto economico. Nella prima metà dell’anno, il giro d’affari del gruppo si è assestato a 1,137 miliardi (+24% a cambi costanti). L’Ebit è di 217,8 milioni (erano 180,2 un anno prima) con l’Ebit margin in linea (da 19,6 a 19,2%). L’utile netto reported, infine, è in calo. Qui, però, va ricordato che, nel primo semestre del 2022, c’è stato un beneficio fiscale straordinario di 92,3 milioni legato a Stone Island. Ciò detto il risparmiatore richiama, comunque, un rischio: l’inflazione. Il timore è che questa incida sulla redditività. L’azienda, pure conscia del tema, invita ad un’analisi articolata. Il problema, viene spiegato, c’è stato nel 2022 sia con le materie prime che con il costo del lavoro. Tanto che, lo scorso anno, si è avuta la salita del 10% degli oneri operativi. Adesso però Moncler indica che, da una parte, l’incremento delle materie prime è alle spalle; e che, dall’altra, la dinamica complessiva è stata controbilanciata con il passtrough. Al di là di ciò, tuttavia, può ulteriormente obiettarsi che prospetticamente persiste il rialzo dei salari. Vero, afferma il gruppo il quale, però, aggiunge: la questione, pur strutturale, ha un impatto minore. E poi c’è comunque spazio per eventuali altri ritocchi dei prezzi. Un approccio, quest’ultimo, che peraltro è accettato dalla clientela. Il lusso - conclude Mocler - è un business tendenzialmente anelastico rispetto alla variabile in oggetto.
Infine: il clima. Il marchio, ad esempio con Moncler Grenoble, è legato alla montagna e al concetto di freddo. A fronte di ciò il riscaldamento climatico in atto può essere un freno all’acquisto dei prodotti della società. Moncler rigetta il timore. Rispetto, ad esempio, alla linea Grenoble è già stata presentata una collezione primaverile, più leggera. Inoltre, nonostante ci sia un trend strutturale di rialzo delle temperature, ciò cui presumibilmente si va incontro -spiega l’azienda - sono forti oscillazioni di temperature e fenomeni anche estremi. Con il che la richiesta di capi per il freddo, o contro il maltempo, presumibilmente rimarrà forte. Ciò considerato quali, allora, le prospettive, più sul breve periodo, per fine 2023? Il gruppo conferma il target dell’Ebit margin intorno al 30% con Capex a circa il 6% dei ricavi.
Per approfondire:
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