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Morto Charlie Watts, la «mano del Fato» sulla batteria dei Rolling Stones

A 80 anni se ne va uno dei batteristi più influenti della storia del rock. Che ha attraversato la storia della band amando la stessa donna e rimanendo (quasi) sobrio

di Francesco Prisco

E' morto Charlie Watts, leggendario batterista dei Rolling Stones

3' di lettura

La campagna acquisti: è sempre quella che ti fa capire le ambizioni di un progetto. Calcio o musica, non c’è differenza. E così, quando all’inizio del 1963, quattro scappati di casa della periferia di Londra decisero di tagliarsi il cachet per pagare lo stipendio al batterista dei Blues Incorporated, una specie di Juventus nella nascente scena blues londinese, fu chiaro a molti che sarebbero arrivati lontano. Era la mano del Fato. Questa storiella è un pezzo fondamentale del mito di fondazione dei Rolling Stones, la band più longeva della storia del rock. E il suo protagonista è Charlie Watts, morto a 80 anni appena compiuti.

La prima formazione degli Stones. Da sinistra: Charlie Watts, Brian Jones, Keith Richards, Mick Jagger e Bill Wyman (Afp)

La mano del Fato

Da grande appassionato di calcio - tifoso del Tottenham e simpatizzante del Milan, come testimonia la maglia rossonera indossata al Palalido nel 1970 - avrebbe sicuramente apprezzato la metafora: per qualche anno, nella casamatta degli Stones, il fuoriclasse è stato lui, con Jagger e Richards nel ruolo delle giovani promesse. È stato la mano del Fato sulla batteria della più grande rock and roll band di sempre, The Hand of Fate, come il titolo di uno dei pezzi più belli e sottovalutati del loro repertorio. Anche se, a chi gli chiedeva perché fosse entrato nel gruppo, a distanza di anni rispondeva con sarcasmo: «Per non pagare l’affitto, visto che mi trasferii a casa loro». Quando gli Stones sono saliti in cima al mondo, Charlie non ha mai preteso di essere il miglior batterista del mondo, perché era molto di più: era unico. E, a conti fatti, hanno dato molto di più alla storia del rock quel ritmo vagamente samba di Sympathy for the Devil o il campanaccio iniziale di Honky Tonk Women che le doppie casse di tanti velocisti dei tamburi.

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I Rolling Stones dal vivo nel 2019 per il «No Filter Tour»

Un jazzista prestato al rock and roll

I particolari, in musica come nella vita, fanno la differenza. E Watts, innamorato del jazz che è soprattutto musica dei particolari, importò questo approccio nel sound degli Stones. Proveniva da una famiglia di colletti blu del Nord di Londra. Dopo aver frequentato l’Harrow Art College, lavorava come grafico per un’azienda pubblicitaria locale suonando nel tempo libero. La City non era ancora «Swinging», ma si era ritagliata il singolare ruolo di capitale europea del blues, la musica nera per eccellenza.

Charlie Watts, addio al metronomo dei Rolling Stones

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Tutto merito di Alexis Korner, dj e musicista che aveva importato sulle rive del Tamigi il sound di Chicago: è lui a scoprire Watts e chiamarlo nei suoi Blues Incorporated, sarà ancora lui a convincerlo a passare negli Stones, nonostante la loro musica fosse quanto di più lontano si potesse immaginare dai gusti del giovane Charlie.

Charlie Watts con Mick Jagger (Epa)

La rockstar che se ne sta in disparte

Saranno Brian Jones e Richards, a colpi di 45 giri di Jimmy Reed e Chuck Berry, a fargli cambiare idea. «Keith Richards mi ha insegnato il rock and roll», raccontò. «Non avevamo niente da fare tutto il giorno e suonavamo questi dischi più e più volte. Ho imparato ad amare Muddy Waters. Keith mi ha fatto capire quanto fosse bravo Elvis Presley e fino ad allora avevo sempre odiato Elvis». Quando la band esplode con il successo di (I Can’t Get No) Satisfaction, Charlie se ne sta quasi in disparte. Non cede alle lusinghe del gineceo di groupie che segue il gruppo, anzi: dal 1964 è sposato con Shirley Ann Shepherd, madre di sua figlia. Alcol e droghe lo coinvolgono (le cronache narrano di qualche problemino con l’eroina negli anni Ottanta), senza travolgerlo. Tiene i piedi per terra: gli Stones sono il suo «daily job» grazie al quale, di notte, può portare avanti i suoi progetti jazz (The Charlie Watts Orchestra, The Charlie Watts Quintet, The Charlie Watts Tentet), conoscere i miti della sua giovinezza come Sonny Rollins, disegnare, dedicarsi alla grafica. A volte il giorno e la notte s’incontrano, come nell’artwork dell’album Between the Buttons o nell’inteludio jazz di Can’t You Hear Me Knocking.

Con la moglie Shirley alle corse dei cavalli (Afp)

Tutte le band durano una settimana. Poi due, poi tre...

A suo modo tipo singolare, di una singolarità diversa da quella dei Glimmer Twins: allevatore di cavalli arabi, non guida ma colleziona automobili, ama vestire elegante, stringe amicizia praticamente con tutti nell’ambiente (da Jimi Hendrix ai Beatles), resta fedele per 57 anni alla stessa donna. Coltiva l’ironia: memorabile la sua performance dell’anno scorso a «One World: Together At Home», concerto in streaming per le vittime del Covid, in cui accompagna gli Stones su You can’t always get what you want suonando la batteria... in airplay. Non sono note le ragioni del decesso, per quanto nel 2004 fosse stato operato per un cancro alla gola. Non sappiamo dove sarà sepolto, ma sulla sua tomba ci vedremmo bene queste sue parole: «Tutte le band in cui ero stato erano durate una settimana. Ho sempre pensato che gli Stones sarebbero durati una settimana, poi due settimane e poi, improvvisamente, sono passati 30 anni». E poi, ancora più improvvisamente, l’eternità.


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