Morto Karl Lagerfeld, il visionario che ha saputo parlare a un’audience globale
di Angelo Flaccavento
2' di lettura
Poteva scomparire, ottantacinquenne, solo in un momento topico della moda, ossia alla vigilia dell'apertura della fashion week milanese, l'inimitabile Karl Lagerfeld, il kaiser con una visione a trecentosessanta gradi, il visionario che ha trasformato Chanel in una potenza del lusso con l'appeal pop e la capacità di parlare ad un uditorio davvero globale; lo sperimentatore che con le sorelle Fendi ha reinventato senza sosta l'idea stessa della pelliccia, status symbol imperituro celebrato e bistrattato in ogni maniera e in fine elevato a vero e proprio medium artistico.
Con Lagerfeld va via un pezzo significativo della vecchia guardia e dell'ancient regime modaiolo - anche se la fiera e indefessa dedizione al contemporaneo gli avrebbe reso invisa una simile affermazione - ovvero un modo di fare la moda nutrito in primo luogo di esperienza e di professionismo, lasciati deflagrare in una apertura di orizzonti capace di superare i limiti del mestiere.
Non a caso, Lagerfeld si è inventato fotografo, illustratore, persino scrittore, profondendo ovunque un gusto inimitabile, misto di espressionismo teutonico e grandeur francese. Ben prima che per l'illetterato glitterato di turno, privo di conoscenze ma ricco di follower, diventasse prassi assurgere al ruolo di image maker planetario, Lagerfeld è stato l'epitome del direttore creativo, del mida con i superpoteri responsabile non solo del progetto degli abiti, ma dell'ingegneria di tutta l'immagine di un marchio. Non è un caso che, da Chloé a Fendi a Chanel, Lagerfeld abbia fatto davvero successo applicando il proprio di punto di vista ad altro: a marchi storici, o di famiglia, quasi che il distacco, il non coinvolgimento personale aiutassero i pensieri e le idee a volar leggeri.
La linea eponima Karl Lagerfeld, invece, è sempre rimasta un esperimento piccolo e laterale, in fondo di nicchia, marchiato da un tocco a tratti plumbeo. Per le maison per le quali ha lavorato, in primis Chanel, ma anche Fendi, Lagerfeld ha invece precorso i tempi puntando su una gadgettizzazione irridente e pop, antesignana dell'attuale febbre del merchandising: dal portabottiglia di catena alla pelliccia fumetto, ha fatto davvero di tutto, sempre con grande libertà. È proprio questa assoluta mancanza di timore per il giudizio altrui il suo lascito forse più duraturo e necessario.
Certo, Lagerfeld era il Kaiser, e poteva facilmente infischiarsene di stroncature e note dolenti. La verità però è che fin dall'inizio della lunghissima carriera è sempre stato assolutamente sicuro di ogni scelta. Mai pavido, in ogni occasione articolato, tagliente, irridente. L'esatto contrario dello strisciante conformismo, mascherato da libertà creativa, che impera oggi. Mancherà parecchio.
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