Morto Matteo Messina Denaro, la vita scaltra del boss trapanese
Scaltro e spietato, mafioso di rango per discendenza, Messina Denaro era amante della storia, della letteratura, delle donne e della bella vita
di Roberto Galullo
I punti chiave
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Per dipingere il profilo di Matteo Messina Denaro, morto il 25 settembre 2023, basti raccontare un solo episodio. Quello di quando – da poco latitante – per raggiungere una sua amante all’estero le fece recapitare la corrispondenza attraverso un ignaro trapanese scelto a caso nell’elenco telefonico da un suo fedelissimo. L’amante la prima volta fu tentata di non aprire quella busta il cui mittente - per lei - era un anonimo italiano ma il «cuore» la guidò ad aprirla e a leggere la lettera. E continuò a farlo senza che il mittente sorteggiato nulla sapesse.
Scaltro, scaltrissimo, furbo, furbissimo, spietato, spietatissimo. Ecco cosa era Messina Denaro, amante della storia, della letteratura, delle donne e della bella vita, mafioso di rango per discendenza. Suo padre - Francesco, nato il 20 gennaio 1928, fattore nelle tenute agricole della famiglia D’Alì, all’epoca proprietaria della Banca Sicula di Trapani e delle saline di Trapani e Marsala - succedette dal 1982 a Nicola Buccellato come capo della provincia mafiosa di Trapani.
Nel nome del padre
Dopo otto anni di latitanza lungo i quali Paolo Borsellino gli diede la caccia, il cadavere di don Ciccio – come era conosciuto – venne fatto trovare appoggiato al muro di cinta di un uliveto lungo le campagne tra Castelvetrano e Mazara del Vallo. Era il 30 novembre 1998, venne stroncato da un infarto ed era vestito con l’abito buono, pronto per essere adagiato in una bara.
Sino agli inizi degli anni Novanta gli inquirenti avevano scarne informazioni su Matteo Messina Denaro la cui figura emerse, sostanzialmente, solo in occasione delle indagini sulla faida di mafia a Partanna. Di certo era il braccio destro del padre - che secondo le dichiarazioni fatte il 13 febbraio 2023 nel carcere dell'Aquila ai magistrati di Palermo Maurizio De Lucia e Paolo Guido, lui considerava semplicemente un mercante d’arte - e già nel 1988 era qualcosa in più di un «vice».
La conoscenza della vera personalità di Matteo Messina Denaro è quindi venuta alla luce, così come per il padre, solo grazie alle parole dei collaboratori di giustizia. «La figura che emerge - si legge nelle motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta del 20 ottobre 2020 sulle stragi di Palermo, depositata il 27 luglio 2021 - appare del tutto in linea con quella, feroce, spietata e spregiudicata consacrata nelle numerose sentenze definitive che hanno condannato l’imputato alla pena dell’ergastolo per omicidi e stragi». Il 19 luglio 2023 - a 31 anni dalla strage di via D’Amelio nella quale perirono Paolo Borsellino e la scorta - la Corte d’Assise di Caltanissetta ha confermato l’ergastolo per il boss, come uno dei mandanti delle stragi siciliane.
Il battesimo del fuoco a 17 anni
Il 5 aprile 2019 il collaboratore Giuseppe Ferro racconta ai giudici di Caltanissetta il «battesimo del fuoco» di Matteo Messina Denaro, avvenuto quando lo stesso aveva appena 17 anni. Un omicidio. «Mi pare che Matteo ha detto che lui picciutteddu fu portato per sparare a qualcuno. Mi ha detto però che c’era suo padre. Non mi ricordo se l’ha detto lui, aveva diciassette anni, non mi ricordo se l’ha detto lui o se l’ha detto qualcun altro...».
Da allora fu un'escalation criminale che lo ha visto diventare pluriomicida (condannato all’ergastolo per una ventina di omicidi) e stragista. «Pur di perseguire il piano criminale diretto a destabilizzate lo Stato (piano da lui condiviso e supportato), non ha esitato a commettere, a titolo di concorso morale, le stragi per cui è a processo nonché le terribili stragi «del continente» (questa volta curandone anche la fase organizzativa)», si legge ancora nella sentenza del 2020.
Il quadruplice omicidio di Partinico
Ripercorrendo la storia giudiziaria del boss, va ricordato un anno: il 1993. Matteo Messina Denaro venne raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Palermo. Matteo Messina Denaro assieme al padre e ai vertici trapanesi e palermitani di Cosa Nostra avrebbe commesso un quadruplice omicidio a Partinico. L’impianto accusatorio si basava sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Baldassare Di Maggio, Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera. L’ordinanza, però, non venne mai eseguita, essendosi dato Messina Denaro Matteo alla latitanza sin dal 2 giugno 1993.
Nel ’93 e nel ’94, quando era poco più che trentenne, fu uno dei mandanti di tutte le più violente azioni criminali compiute nel Paese: dal fallito attentato contro il giornalista Maurizio Costanzo, passando attraverso le stragi di via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e Roma.
Il 23 gennaio 1994 vi fu il (fallito) attentato nelle immediate vicinanze dello Stadio Olimpico di Roma. Al termine della partita Roma-Udinese alla quale parteciparono 40mila spettatori, il mancato funzionamento dell’apparato ricevente all’interno dell’autobomba parcheggiata in via dei Gladiatori, evitò la morte di decine di Carabinieri in servizio di ordine pubblico e di numerosi spettatori che stavano uscendo dallo stadio.
Dal ’95 in avanti, altri collaboratori come Antonino Patti, Giovanni Brusca, Vincenzo Sinacori, Pietro Bono, Giuseppe Ferro, Francesco Geraci, Francesco Milazzo e Antonino Giuffrè raccontano il suo pieno inserimento nella famiglia mafiosa di Castelvetrano, la sua vicinanza con i corleonesi e, in particolare di Totò Riina (di cui era il «pupillo»), i suoi stretti legami con i fratelli Graviano, la sua rapida ascesa al vertice della provincia trapanese e dell'intera organizzazione mafiosa.
L’uccisione di Giuseppe Di Matteo
Un’ultima cosa vale la pena di raccontare del personaggio, mafioso per sempre. Nel verbale del 14 febbraio 2023 parla di Giuseppe Di Matteo, sequestrato il 23 novembre 1993 all’età di 12 anni in un maneggio di Villabate per far ritrattare il padre e dopo tre anni di sequestro sciolto nell’acido. Davanti ai pm De Lucia e Guido, Messina Denaro nega le responsabilità e scarica tutto su Giovanni Brusca ma i giudici di Caltanissetta scrivono nelle motivazioni della sentenza di primo grado del 2020, che «graniticamente risulta accertato che Matteo Messina Denaro ebbe a partecipare (evidentemente con il ruolo di capo-provincia), alle deliberazioni, succedutesi dal 1993 al 1996, riguardanti il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo».
Nel processo dinanzi alla Corte di Assise di Palermo (sentenza n. 1 del 16 gennaio 2012), le dichiarazioni di Spatuzza consentirono di appurare che «Matteo Messina Denaro partecipò tanto alla fase deliberativa quanto alla gestione del sequestro nel territorio trapanese. Ed infatti, proprio sotto il controllo diretto di Matteo Messina Denaro, il bambino venne portato e custodito per ben tre volte in provincia di Trapani, tra Castellammare del Golfo, Campobello di Mazara e Purgatorio-Custonaci».
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