Mosca: ecco la vera storia del Metropol, l’hotel delle spie
Da Rasputin a Michel Jackson, da Marlene Dietrich a Mao, da Lee Oswald a Barack Obama, passando per membri del Politburo, oligarchi e boss della mafia russa: Gianluca Savoini è solo l’ultimo della lunga gallery di ritratti che hanno popolato il più celebre hotel di Mosca, a due passi dal Bolshoi. Ecco cosa racconterebbero i muri dell'albergo se potessero parlare
di Enrico Marro
2' di lettura
Dopo zar, spie, attrici, cantanti, mafiosi, killer, giornalisti e politici, anche Gianluca Savoini è entrato nella lunga ed eterogenea gallery di ritratti del celebre Hotel Metropol di Mosca, denso di leggendarie spy stories e “cimici” (quella del Kgb).
Se l’albergo moscovita, inaugurato nel 1905, potesse parlare, ne racconterebbe di tutti i colori: dal codazzo di artisti, ballerine e intellettuali della Russia zarista ai festini organizzati da Rasputin tra i candelieri di cristallo, fino a quando in odor di sollevamento popolare il cantante d’opera Fyodor Chaliapin saltò su un tavolo chiedendo agli ospiti dell’hotel di dare un contributo economico ai lavoratori più poveri.
Travolto dalla Rivoluzione d’Ottobre, il Metropol divenne prima una caserma dei militanti controriformisti dell’Armata Bianca, poi il quartier generale dei bolscevichi, che sostituirono i tavolini intarsiati e i candelieri di cristallo con ruvide panche di legno e lampade di cherosene. Nell’ex albergo tennero comizi infuocati leader del calibro di Vladimir Lenin o Leon Trotsky.
Poi, nel 1931, il Politburo decise di rimettere in sesto l’ormai malridotto Metropol “bolscevico” per riaprirlo come prestigioso hotel di lusso destinato ai visitatori occidentali. L’albergo divenne un ingranaggio fondamentale della propaganda sovietica, accogliendo in eleganti e spaziose suite i leader occidentali, ovviamente sotto il discreto ma strettissimo controllo del Kgb, e famosi simpatizzanti comunisti come il drammaturgo George Bernard Shaw, l’attrice Marlene Dietrich e un Mao Tse-tung in odor di diventare Grande Timoniere.
Come ha annotato il giornalista britannico Gareth Jones, in ogni camera c’era una radio ma non sempre la carta igienica, a riprova delle contraddizioni di un'Unione sovietica che persino per Winston Churchill rappresentava «un enigma avvolto in un mistero». Nell’ottobre del 1959 l’ex marine Lee Harvey Oswald alloggiò per qualche giorno nel Metropol dopo essere fuggito a Mosca chiedendo asilo. Tre anni dopo, a Dallas, assassinerà John Fitzgerald Kennedy.
Dalle spie ai nuovi oligarchi
Crollato il Muro assieme all’Unione sovietica, la lussuosa lobby del Metropol si svuota di funzionari del Politburo e si riempie di esponenti di spicco della mafia russa e di “nuovi oligarchi”, sperimentando nuovi eccessi probabilmente mai visti dall'epoca dei festini di Rasputin. L’hotel resta comunque uno dei luoghi simbolo della capitale russa, a due passi dal Bolshoi e a mezzo chilometro dalla Piazza Rossa: da Jacques Chirac a Elton John, da Michael Jackson e Barack Obama non si contano le personalità che negli ultimi decenni hanno alloggiato nelle suite del prestigioso hotel.
Tutto questo fino alla new entry di qualche settimana fa: Savoini. Assieme ai vecchi fantasmi di grigi funzionari dei partiti comunisti occidentali, a caccia di soldi nell’era sovietica dietro la promessa di rovesciare i regimi capitalistici, ecco spuntare tra i fantasmi del Metropol anche la sagoma del presidente dell'associazione LombardiaRussia. Cose da far tremare persino i muri del Metropol. Cimici comprese.
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