otto imputati

Mose, il pm chiede 6 anni per Matteoli e 2 anni e 3 mesi per Orsoni

Il cantiere del Mose

2' di lettura

Sei anni per l’ex ministro Altero Matteoli, 2 anni e tre mesi per l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Queste le richieste formulate oggi dai pm Stefano Ancillotto e Stefano Buccini per due degli 8 imputati rimasti nel processo per le tangenti del Mose (gli altri accusati, tra cui Giancarlo Galan, hanno nel frattempo patteggiato). Complessivamente la Procura ha chiesto per gli otto imputati 27 anni e 3 mesi di carcere; 4 anni la richiesta per l'ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva. L’ex sindaco Orsoni - che si dimise in seguito al coinvolgimento nell’inchiesta Mose - è accusato di finanziamento illecito dei partiti, Matteoli di corruzione.

Le altre richieste del pm
Le altre richieste di condanna avanzate dai pm veneziani riguardano l’imprenditore Erasmo Cinque (5 anni), l’architetto Danilo Turcato (2 anni 6 mesi), considerato vicino all’ex ministro Galan, e l'ex europarlamentare di Fi Amalia Sartori (2 anni e mezzo milione di multa), accusata a sua volta di finanziamento, l’imprenditore Nicola Falconi (3 anni) e l’avvocato Corrado Crialese (2 anni ne 4 mesi). Oggi in aula, ad ascoltare la requisitoria dei rappresentanti dell'accusa, erano erano presenti Matteoli, Piva e Cinque. «Tutti sapevano che Giovanni Mazzacurati, ex presidente e dominus del Consorzio Venezia Nuova, pagava tangenti, ma tutti hanno negato di averle ricevute», ha sottolineato il pm Ancillotto.

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Matteoli: mai commesso illeciti, ho fiducia nella giustizia
«Sono dispiaciuto che il rappresentante della Pubblica accusa nella sua requisitoria non abbia preso atto dei dati oggettivi emersi nel processo, limitandosi a richiamare le precedenti ipotesi investigative come se nulla fosse accaduto durante il dibattimento. Nel ribadire che non ho mai commesso illeciti nella mia attività al servizio dello Stato, ispirata esclusivamente al perseguimento dell'interesse generale, attendo con rispetto e serenamente la decisione del Tribunale di Venezia, nella convinzione che la verità dei fatti possa imporsi con chiarezza e senza fraintendimenti», ha affermato il senatore Altero Matteoli, al termine dell'udienza.

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