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Mossa di Autostrade: Spea fuori dai controlli su viadotti e gallerie

Dopo la bufera sui report edulcorati sulle condizioni dei viadotti, Aspi cambia controllore, scegliendo fuori dal gruppo Atlantia. E mette 360 milioni aggiuntivi per anticipare i lavori su 350 strutture da risistemare. Ma molti costi saranno comunque scaricati sui pedaggi

di Maurizio Caprino

Report "ammorbiditi" su stato dei viadotti gestiti da Autostrade

5' di lettura

Fuori la collegata Spea dai controlli su viadotti e gallerie, subentra «una primaria società del settore di livello internazionale, la cui selezione è già stata avviata». Così Autostrade per l’Italia (Aspi) cerca di alleggerire la propria posizione nelle inchieste collegate sul crollo del Ponte Morandi e sui report edulcorati per altri viadotti. Una mossa che - seguendo il ragionamento messo nero su bianco dalla Procura di Genova - potrebbe servire anche per limitare i rischi di perdere la concessione.

Anche perché è accompagnata dallo stanziamento di oltre 360 milioni di euro aggiuntivi e da impiegare in tempi dimezzati rispetto ai programmi di manutenzione precedenti, ma che almeno in parte verranno scaricati sulle tariffe dei pedaggi.

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Il siluramento di Spea
L’annuncio è stato dato il 22 ottobre dall’amministratore delegato di Aspi, Roberto Tomasi, al cda della società. Ma la novità era stata anticipata a magistrati e organi di controllo ed era nell’aria almeno da metà settembre, quando sono scattate le misure cautelari (tre arresti domiciliari e sei interdittive) nei confronti di manager e tecnici sia di Aspi sia di Spea (che si occupa di progettazioni e controlli): si è posto il problema di distinguere - se possibile - le responsabilità tra le due società (che fanno entrambe parte del gruppo Atlantia) ed è stata subito chiara la strategia di penalizzare proprio Spea (Aspi è fondamentale per i conti della holding Atlantia) mentre i pm continuano a indagare per capire se i presunti aggiustamenti dei report siano stati indotti da pressioni di Aspi.

ROBERTO TOMASI, A.D AUTOSTRADE

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Il sistema precedente era stato già messo in discussione dalla stessa Aspi a ottobre 2018 (due mesi dopo il crollo del Morandi), quando aveva affidato a società di ingegneria esterne verifiche e asseverazioni su tutte le 1943 opere d’arte della sua rete (l’attività si chiuderà entro fine anno).

Anche il ministero delle Infrastrutture, che a livello tecnico si è quasi sempre mantenuto prudente, ha rilevato le possibili anomalie legate al ricorso a un controllore interno al gruppo. La questione è affrontata anche nella relazione della commissione giuridica incaricata a marzo 2019 di valutare pro e contro di un’eventuale revoca della concessione ad Aspi, le cui conclusioni hanno ancora suggerito prudenza.

La ministra prende tempo
A livello politico, il ministero ha invece avuto un atteggiamento più articolato. Con il precedente ministro, Danilo Toninelli(M5S), minacce pubbliche roboanti ma non accompagnate dall’effettivo avvio di una procedura di revoca. L’attuale ministra, Paola De Micheli (Pd), ha subito escluso la revoca, ma di fronte a varie critiche ha corretto il tiro, dicendo che è in corso una procedura (notizia al momento non verificabile) e che la decisione finale sarà presa collegialmente in Consiglio

PAOLA DE MICHELI MINISTRO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

dei ministri.

Nella partita della concessione hanno un ruolo le scelte su nuovi controlli e lavori annunciati il 22 ottobre. Secondo la richiesta di misure cautelari della Procura di Genova (quelle scattate a metà settembre), nella precedente gestione di Aspi (ad Giovanni Castellucci) per evitare problemi con il concedente si puntava a nascondere i problemi. Logico concludere che, ora che non possono essere più nascosti, si debba quantomeno dare l’impressione di risolverli o minimizzarli. In ogni caso, il procuratore di Genova, Francesco Cozzi, il 22 ottobre si è detto fiducioso sul nuovo corso di Aspi.

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Il nuovo sistema
Da maggio scorso Aspi ha iniziato lo sviluppo operativo di un «innovativo sistema digitale per consentire la più efficiente gestione del patrimonio infrastrutturale, dalla fase di ispezione fisica fino al completamento delle attività di manutenzione». Un sofisticato sistema di elaborazione, in cui andranno immessi dati rilevati con metodologie che si stanno iniziando a concordare con ministero delle Infrastrutture effettuando prove su un viadotto dismesso dell’A16 con la collaborazione dell’Università di Trento.

Ma i risultati non arriveranno presto: le metodologie vanno studiate a fondo, per conciliare attendibilità scientifica e omogeneità a livello nazionale. Quindi passano dalla fattibilità anche su infrastrutture gestite da enti con poche risorse (come le Province) e dall’effettiva entrata in funzione dell’Ansfisa, l’agenzia prevista d’urgenza dal decreto Genova un anno fa e ostacolata da resistenze interne al ministero.

I 360 milioni in più
In attesa della revisione delle metodologie, va avanti il piano avviato da Aspi a inizio 2019: 360 milioni aggiuntivi rispetto al piano economico finanziario in corso per 350 interventi su opere d’arte, in buona parte già previsti ma in tempi doppi rispetto a quanto fissato ora. Un anticipo che di fatto è il segnale atteso dopo le accuse di rinvii nei lavori venute dalla commissione ministeriale ispettiva sul crollo del Morandi e dalla magistratura. Ma che rischia di creare ingorghi per la presenza di troppi cantieri, già ben avvertibile su tratti come quello tra il sud delle Marche e l’intero Abruzzo dell’A14. Il ministero delle Infrastrutture dovrebbe valutare se i livelli di servizio di autostrade in queste condizioni siano ancora tali da giustificare il pagamento del pedaggio.

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Ben 70 degli interventi sono previsti nella zona di Genova, come segno di attenzione al territorio colpito dal crollo del Morandi e, soprattutto, per allentare la pressione della Procura di Genova, che ha avviato indagini su vari viadotti, soprattutto intorno alla città.

Misure cautelari respinte
Proprio in quest’ultimo ambito e sempre il 22 ottobre, il gip di Genova ha respinto la richiesta di ulteriori misure cautelari in carcere per 11 indagati nell’inchiesta sui report edulcorati. Tra essi, l’ex amministratore delegato Antonino Galatà, sostituito a settembre, che a metà ottobre ha subìto anche una perquisizione in casa. Il pm, Walter Cotugno, si opporrà al Tribunale del riesame.

Il rischio rincari dei pedaggi
Non è stato specificato come i 360 milioni verranno suddivisi tra manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria e investimenti. Un elemento importante, perché i costi riconducibili a queste ultime due categorie vengono riconosciuti ai fini degli aumenti tariffari annuali e quindi non gravano sulla società ma vengono coperti con i pedaggi. Il risultato finale dipenderà dall’efficacia della vigilanza ministeriale sulla contabilità dei lavori.

Resta poi da affrontare il capitolo dell’adeguamento delle gallerie lunghe oltre 500 metri alla direttiva europea 2004/54, che lo imponeva entro lo scorso aprile. Ma il problema è nazionale, tanto che il ministero sta negoziando con Bruxelles un rinvio in cambio dell’impegno a mettersi in regola entro il 2021, che i gestori vogliono spostare al 2022.

Altrettanto da affrontare la messa in sicurezza dal punto di vista sismico, prevista fin dal 2003 dall’ordinanza n. 3274 della Presidenza del Consiglio (adottata dopo il terremoto del Molise del 30 ottobre 2002) e ancora oggi largamente disattesa da vari gestori (anche il Ponte Morandi era privo di valutazione del rischio sismico).

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