Mourinho piega la Juventus. La Roma aggancia il Milan
È stata una serata dolce e frizzante per la Roma che, battendo la Juventus (1-0) all’Olimpico, aggancia il Milan al quarto posto e cancella (parzialmente) il buco nero di Cremona
di Dario Ceccarelli
6' di lettura
È una sera dolce e frizzante per la Roma che, battendo la Juventus (1-0) all’Olimpico, aggancia il Milan al quarto posto e cancella (parzialmente) il buco nero di Cremona. Ed è una sera ancora più dolce per Josè Mourinho, l’uomo che non deve chiedere mai, ma ottiene sempre tutto. E che questa volta non solo riesce ad andare in panchina congelando la squalifica per l’espulsione di Cremona, ma riesce anche, con le sue invenzioni, a fermare la disperata rincorsa dei bianconeri alla Champions nonostante il meno quindici di penalizzazione. Rincorsa che, dopo questa scivolata, diventa davvero una missione impossibile, a meno di qualche intervento del Collegio di garanzia dello sport che ammorbidisca la sanzione. Le vie del calcio sono infinite, ma quelle di questo campionato, per la Juve di Allegri, sembrano davvero finite. A meno che…
Ma se del futuro non c’è certezza, è invece una certezza il super gol al 58’di Gianluca Mancini, una sassata da fuori area che sorprende la distratta difesa bianconera, non abbastanza reattiva a chiudere il magnifico fendente del difensore giallorosso, da due anni a digiuno di gol.
Una vittoria strana, quella della Roma, in una partita condizionata dalla scelta di Mourinho di optare per il “falso” centravanti con Pellegrini e Wijnaldum alle spalle di Dybala, ex bianconero salutato con calore dai vecchi compagni. Una vittoria strana sia perché la rete decisiva è arrivata da un difensore, sia perché la Juventus ha tenuto il pallino per buona parte della sfida, colpendo anche tre pali. Però non sono bastati. La Roma ha mostrato più continuità, più cattiveria, più voglia di centrare l’obiettivo. Che era quello, appunto, di lasciarsi alle spalle l’imbarazzante caduta con la Cremonese. «Ha vinto il carattere, ma il ko di Cremona ancora non mi va giù», ha precisato Mourinho ben sapendo che, se vuole puntare alla Champions, altre leggerezze non gli sono concesse. La Juventus, oltre a un Vlahovic poco incisivo, deve invece rimproverarsi i troppi errori in attacco. Sprechi non perdonabili in chi è impegnato in una rincorsa dove è vietato sbagliare. Come è imperdonabile lo scriteriato fallo di reazione di Kean, entrato nel finale ma espulso dopo soli 40 secondi per un calcione rifilato a Mancini dopo un banale contrasto di gioco. Una sciocchezza, quella dell’attaccante, che ha aggiunto altro sale sulle ferite di Allegri.
L’Inter scaccia la sindrome delle “piccole” (2-0 col Lecce)
Per la squadra di Inzaghi, dopo il ko col Bologna, una domenica liscia. Niente isterie, questa volta. Niente sedute dallo psicoanalista. I nerazzurri, battendo i pugliesi con una rete per tempo ( Mkhitaryan e Lautaro), centrano l’obiettivo di ritornare al secondo posto in classifica (grazie allo scivolone del Milan) evitando un’altra sbandata con una squadra non proprio irresistibile. Tre punti tranquillizzanti che, per il momento, mettono la parola fine a una settimana vissuta pericolosamente tra accuse e controaccuse per i tanti punti (almeno dieci) buttati al vento in partite sulla carta favorevoli. Il Napoli, pur sconfitto dalla Lazio, resta lontano (+15) e sfuggente come un miraggio. Ma non importa, quello che importa, soprattutto per Inzaghi, è ritrovare una linea di volo che gli permetta di evitare pericolosi vuoti d’aria. «Siamo stati intensi e mai disuniti. Nel calcio si pensa al domani», ha commentato l’allenatore nerazzurro ben sapendo che gli esami, all’Inter, non finiscono mai.
Il Milan con la testa a Londra
Distratto, svogliato, tutto proiettato verso la prossima sfida contro il Tottenham. Ad essere benevoli, questo è il giudizio che si può dare sulla sconfitta del Milan a Firenze (2-1) arrivata dopo le quattro vittorie di fila fra campionato e coppe. Ad essere più cattivi, si può invece dire che questa nuova battuta d’arresto, oltre a complicare la corsa per un posto in Europa, è un sinistro indicatore sullo stato di salute dei rossoneri. Vero che mancavano figure importanti come Leao e Diaz, vero che la Fiorentina ha premiato i suoi tifosi con una delle partite più belle dell’anno, però il Milan si è fatto dominare mostrando di nuovo imbarazzanti fragilità in difesa, che pure da quattro partite non incassava gol. Il fallo in area di Tomori su Ikonè, che ha permesso a Nico Gonzales di far passare in vantaggio i viola su rigore, si poteva evitare. Da bocciare anche l’atteggiamento troppo guardingo con De Ketelaere, ancora impalpabile. La rete del 2-1 di Teo Hernandez, peraltro travolgente nell’esecuzione, è arrivata in extremis, confermando che tenerlo inchiodato in difesa è stato un errore. Ora si vedrà nel ritorno col Tottenham. Anche la squadra di Conte, in lotta per il quarto posto, non brilla per continuità. Anche se il Milan parte con un gol di vantaggio,non sarà facile. «A Londra sarà tutto diverso», ha detto Pioli che sa benissimo, in questa seconda sfida, di giocarsi quasi tutta la stagione.
Anche il Napoli non è perfetto
Ormai è quasi metabolizzata, però la sconfitta del Napoli (0-1) con la Lazio ci ha quasi tramortiti. Possibile? È tutto vero? In effetti, dopo 8 vittorie consecutive, di cui le ultime 4 senza incassare un gol, la notizia che i partenopei siano stati battuti al Maradona fa un certo scalpore. È come l’uomo che morde il cane, la pioggia dopo la siccità, la neve nel deserto. Non accadeva dal 4 gennaio, quando i partenopei, dopo la pausa del mondiale, furono battuti dall’Inter a San Siro. Sembra passato un anno. Da allora una marcia trionfale, scandita dai gol (29) di Osimhen e Kvaratskhelia e da un gruppo di marziani quasi irrefrenabili. In ogni cosa c’è una crepa e da lì entra la luce, dice il saggio. E la luce questa volta è arrivata dalla Lazio, che con una prestazione perfetta è entrata nella crepa dei partenopei, sempre imbrigliati dalla soffocante ragnatela di Sarri, l’unico che poteva sapere come sbarrare la strada al Napoli. Splendido anche il gol di Vecino, ciliegina di una sera che non dovrebbe creare troppi contraccolpi al Napoli sia perché il vantaggio resta abissale sia perché gli inseguitori si ostacolano uno con l’altro.
L’Italia che va veloce
Meno male che ogni tanto, per tirarci su, arriva una bella notizia. Per esempio che gli italiani sono sempre più veloci. Di solito, soprattutto in Europa, siamo la maglia nera del gruppo. Lenti nelle riforme, lenti nell’applicare la giustizia, lenti e poco produttivi nel lavoro. Tanti luoghi comuni che però, qualche volta, hanno pure un fondamento. Da sabato, ma già lo avevamo visto alle Olimpiadi di Tokyo, siamo invece il Paese delle frecce tricolori su pista. Agli Europei indoor di Istanbul, nei 60 metri, abbiamo realizzato una doppietta che ci invidia tutto il mondo e che resterà nella storia dell’atletica. L’oro è andato a Samuele Ceccarelli, 23 anni, toscano di massa, nuovo astro nascente dello sprint oltre che mio omonimo. L’argento invece all’olimpionico Marcel Jacobs, il re di Olimpia che a Tokyo ha fatto sfracelli e che per due anni ha dato la polvere a tutti i suoi avversari. Il bello è che Samuele, già fresco campione italiano della specialità, è sceso in pista con un bel febbrone tenuto a bada da una aspirina, il doping dei poveri. Comunque, sia l’oro che l’argento restano in casa, in Italia, alla faccia di quelli che ci criticano dicendo che pensiamo solo alla moda o ai ristoranti stellati.
E invece, ormai è certificato, l’Italia, è diventata una fabbrica di atleti a tutti livelli come si è visto anche nello sci femminile con l’ennesimo successo di Sofia Goggia che per la quarta volta ha conquistato la Coppa del mondo di discesa. Una volta si diceva che eravamo un Paese di santi, poeti, navigatori, oltre che calciatori. Ora visto che nel calcio da un po’ di anni andiamo in bianco, siamo diventati dei numeri uno nella velocità. A parte naturalmente la Ferrari, dove anche senza Binotto non è che le cose, nel primo Gran premio del Bahrain, siano andate meglio. Tanto per cambiare hanno ancora dominato le Red Bull con Verstappen, davanti a Perez e a Ferdinando Alonso, rigenerato dalla nuova Aston Martin. Per il cavallino solo il mesto quarto posto di Carlos Saint. Leclerc si è invece ritirato al 41esimo giro per un guasto al motore quando era terzo. Il più felice era Ferdinando Alonso, in festa con i meccanici come se avesse vinto il titolo mondiale. «In gara sono stati di un’altra categoria», ha invece tristemente commentato Leclerc riferendosi alle Red Bull. «Dobbiamo essere più affidabili», ha sentenziato Vasseur, il nuovo team principali del Cavallino. In effetti, la sua è un’analisi perfetta.
Che dire? Consoliamoci con i superjet dell’atletica azzurra che almeno ci danno delle soddisfazioni. Tra l’altro sono ragazzi simpatici e comunicativi. Che non spiccano solo sulla pista. Samuele Ceccarelli, oltre che avere come modelli di riferimento Falcone e Borsellino, è un aspirante avvocato. Prima di correre, giusto per sfatare un altro luogo comune sui ragazzi italiani bamboccioni, aveva praticato anche il karatè. Insomma, meglio stargli alla larga.
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