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Mps, più tempo per la cura: in estate il piano, poi l’aumento

Il fabbisogno di 2,5 miliardi potrebbe salire: tra giugno e luglio il verdetto

di Luca Davi

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I punti chiave

  • Il nuovo piano di capitale
  • Quanto serve a Mps
  • Il nuovo piano industriale

3' di lettura

Il punto finale sul fabbisogno di capitale verrà messo solo nei prossimi mesi, realisticamente tra giugno e luglio, una volta che il nuovo piano industriale (il terzo nel giro di poco più di un anno) sarà stato scritto e lo scenario macro, si spera, si sarà fatto più chiaro.

Il nuovo capital plan

A tracciare la rotta futura della banca senese è oggi il ceo Luigi Lovaglio, subentrato lo scorso 7 febbraio a Guido Bastianini. Toccherà infatti all’ex numero uno del Creval redigere nei prossimi mesi il nuovo piano industriale della banca e concordare nel frattempo, d’intesa con il Mef e le Authority coinvolte, ovvero Bruxelles e Bce, anche l’ammontare di capitale necessario a mettere al sicuro gli indici patrimoniali della banca senese. Di certo entro il 31 marzo la banca comunicherà alla Bce il cosiddetto capital plan – ovvero la strategia per mettere al sicuro gli indici patrimoniali nel rispetto dei vincoli definiti dai requisiti Srep - assieme alle coordinate di massima in tema sulla pulizia creditizia. Per ora si riparte dall’ultimo capital plan, basato però sul precedente piano industriale scritto dall’ex ceo Bastianini che, come comunicato a giugno 2021, prevedeva un’operazione di rafforzamento patrimoniale di 2,5 miliardi di euro con l’emissione di nuove azioni entro marzo/aprile 2022. Un aumento di capitale «solo ipotetico», come specificato dalla stessa banca nella relazione sulla gestione 2021 appena pubblicata, e che oggi in termini quantitativi potrebbe rappresentare un punto di partenza, più che un punto di arrivo.

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Quanto serve a Mps

Se gli elementi sicuri sono pochi (l’aumento dovrà essere fatto a condizioni di mercato e con tutta probabilità in autunno), sulla dimensione della ricapitalizzazione finale vidimata da Bce e Bruxelles è ragionevole attendersi una revisione, sebbene sia presto per dare numeri definitivi: sul mercato nelle scorse settimane erano circolate stime di un rafforzamento da 3 miliardi, cifre però non confermate dalla banca. Del resto il capital plan presentato da Mps lo scorso anno (e mai approvato da Bce) poggiava anche su premesse e scenari macro che oggi appaiono a dir poco superati. L’invasione russa in Ucraina avvenuta lo scorso 24 febbraio, e le sanzioni economiche contro Mosca, rischiano di produrre di riflesso impatti tutt’altro che banali sulle imprese esportatrici e sull’economia italiana, ma con magnitudo ancora non del tutto chiare. A questo si aggiunge un’incognita ancora più grande, se possibile, che è determinata dalle conseguenze di breve e medio periodo generate dall’innalzamento dei prezzi: fattori che rischiano di cambiare, e di molto, le prospettive macro economiche, con conseguenze rilevanti sulla crescita e sulla tenuta del tessuto imprenditoriale.

Il nuovo piano industriale

Dubbi e perplessità che oggi portano inevitabilmente a guardare con grande attenzione, e un pizzico di cautela, alla definizione del nuovo piano industriale, fronte su cui si deve esercitare oggi il management di Mps. Appena insediatosi, Lovaglio ha subito preso contatto con le strutture per verificare lo stato di salute della banca e arrivare a definire la nuova strategia per i prossimi anni. I dialoghi con Mef e DgComp in questo senso stanno proseguendo in maniera intensa in queste settimane con l’obiettivo di rimettere profondamente mano al piano approvato dalla banca lo scorso 17 dicembre 2021: un piano targato Bastianini, manager entrato in collisione con il board e per questo rimosso dal suo ruolo, e che a sua volta sostituiva integralmente il precedente piano strategico 2021 - 2025, approvato dalla banca nel dicembre 2020 e redatto nella previsione di un’aggregazione con UniCredit da realizzare nel breve periodo, ipotesi poi fallita.

Mps arriverebbe così a scrivere il terzo piano industriale nel giro di poco più di un anno. In quel contesto si definirà anche la politica che il Tesoro, azionista con il 64%, seguirà nella futura dismissione della partecipazione. Tema, anche questo, oggetto di interlocuzioni con la Commissione europea in vista di una «congrua proroga», probabilmente pluriennale, del termine originariamente previsto per fine 2021.

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